Attendere, prego. La riforma del terzo settore non compare nel previsto Consiglio dei ministri di ieri, 30 giugno, ma si mette in coda per attendere il prossimo appuntamento, quello fissato per il 10 luglio. “Il testo non era pronto“, ha detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ci sono dunque dieci giorni in più per rivedere il testo, in particolare per definire al meglio le coperture economiche della riforma. E quindi, in pratica, per decidere quanti soldi metterci. Un particolare tutt’altro che trascurabile. In ballo ci sono almeno alcune centinaia di milioni, ma le cifre più ragionevoli riguardo al fabbisogno minimo arrivano al miliardo, per spingersi anche al miliardo e mezzo.
La parte strettamente normativa del testo, in verità, è pronta già da alcuni giorni e ricalca le Linee guida pubblicate un mese e mezzo orsono dal presidente del Consiglio Matteo Renzi: fra i temi, spazio al riordino delle norme civilistiche, al servizio civile, al cinque per mille, alla fiscalità compensativa, alle norme sulle imprese sociali. E’ invece l’indicazione esatta delle coperture finanziarie a richiedere un supplemento di attenzione: occorre definire l’ammontare complessivo delle risorse stanziate e occorre anche indicare le fonti per il suo reperimento. Scelte squisitamente politiche che la legge delega non può fare a meno di indicare, considerati anche gli obblighi in tema di pareggio di bilancio e di rispetto del patto di stabilità.
Che l’ordine del giorno della riunione di ieri del governo fosse quanto mai ricco è sotto gli occhi di tutti (già solo la riforma della giustizia e le linee guida del semestre di presidenza italiano della Ue che inizia oggi, 1 luglio, sono argomenti di grande importanza), ma al di là dell’intasamento di provvedimenti in Consiglio dei ministri la sensazione è che il rinvio di una decina di giorni sia stato accolto con sostanziale favore anche da quanti hanno lavorato al testo della riforma. Qualche giorno in più di tempo non dispiace praticamente a nessuno.
Il governo formalizzerà con la presentazione della legge delega l’ammontare delle cifre che intende investire, ma l’ordine di grandezza sul quale si ragiona è almeno di un miliardo di euro. Una cifra che non rappresenta una novità e che già da tempo era stata indicata come base da cui partire anche da alcune delle organizzazioni del non profit italiano. Edoardo Patriarca, deputato del Pd e grande conoscitore (dal di dentro) del terzo settore, spiega che questa cifra sarebbe sufficiente già solo a finanziare cinque per mille e servizio civile: “Uno degli obiettivi della riforma – argomenta – è la stabilizzazione del cinque per mille, per il quale nel 2014 si sono spesi 400 milioni ma che a pieno regime necessita di una somma che va dai 500 ai 550 milioni, massimo 600”. La stabilizzazione, è il ragionamento, dovrà evidentemente portarsi dietro anche la fine del meccanismo del “tetto”, che negli ultimi anni ha limitato il gettito destinato alle organizzazioni che usufruiscono del cinque per mille. Ai poco più di 500 milioni necessari al cinque per mille si aggiungono i fondi per il servizio civile universale: “E’ chiaro – dice Patriarca – che l’obiettivo del governo di arrivare a 100 mila giovani può essere raggiunto anche nel giro di due, tre o più anni, e che dunque la somma necessaria per il primo anno può essere ridimensionata sulla base dell’obiettivo concreto che ci si dà, ma il riferimento attuale è quello basato sulle circa 80 mila domande annue di servizio civile presentate e in gran parte non esaudite per mancanza di posti”. Ebbene, secondo i dati più attendibili, fatti propri anche dalla Cnesc, ferma restando la diaria giornaliera attualmente versata ai giovani del servizio civile volontario “la somma necessaria per 80 mila partenze è di circa 600 milioni di euro”.
Già solo con cinque per mille e servizio civile quindi si arriva (e si supera) il miliardo di euro. A queste due poste di bilancio (in qualche modo “indispensabili”), Patriarca aggiunge quella delfondo per l’impresa sociale, idea già avanzata dal ministro Poletti per favorire le start-up di nuove imprese sociali giovanili: sono altri 500 milioni. “Eventuali”, dice il deputato del Pd, “visto che la decisione di intraprendere questa strada è comunque facoltativa”. Deciderà il governo.
Facendo una rapida somma, cento milioni più, cento milioni meno, la cifra complessiva si aggira sul miliardo e mezzo. “Vedremo quale sarà la strada intrapresa dal governo – spiega Patriarca – ma ciò su cui insisto è che non mi piace la tesi secondo la quale, lo dico con ironia, visto che il terzo settore vive di niente o di gratuità, in questa riforma non ha bisogno di fondi”. “No, non è vero, contesto questa impostazione: si tratterebbe invece di un investimento forte perché le risorse messe nel terzo settore non restano in tasca a qualcuno ma tornano raddoppiate, se non triplicate, in opere e servizi per i cittadini”. Se ci sarà un miliardo e mezzo, quindi, “quel miliardo e mezzo non sarà una rapina di denaro pubblico, ma un investimento coraggioso”. (ska- RS)
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