C’è una bella notizia ad aprire questa settimana e viene dalla Nigeria, dove 63 delle 68 donne e ragazze che erano state rapite il 24 giugno scorso da miliziani jihadisti di Boko Haram a Kummabza, villaggio situato nel distretto di Damboa dello Stato federato di Borno, sono riuscite a fuggire e a tornare a casa, approfittando con coraggio della distrazione dei loro rapitori, impegnati in una operazione contro un commissariato nel capoluogo distrettuale, Damboa.
Restano comunque in mano ai terroristi 219 delle 276 studentesse catturate nella notte fra il 14 e il 15 aprile a Chibok, perchè soltanto in 57 sono riuscite a fuggire. Ieri gli attivisti del gruppo “Bring Back Our Girls” avevano cercato di marciare sul Palazzo Presidenziale nella capitale Abuja per reclamare dal governo maggiore impegno per liberare le giovani tenute in ostaggio, che i rapitori intenderebbero vendere al mercato come schiave, secondo una orribile mentalità che consente (è accaduto il 27 maggio in Pakistan), i famigliari di lapidare una donna incinta, rea di essersi sposata contro il parere della famiglia.
Sappiamo che in molti paesi islamici le donne hanno accesso alla politica e che possono ricoprire ruoli di dirigenza nelle aziende, diventare manager o docenti universitarie, che possono entrare nelle forze armate e che questo è considerato del tutto normale. E pur tuttavia, ci sono delle sacche, chiamiamole così, di totale “resistenza” all’emancipazione femminile e non solo nel caso dei criminali jiahidisti o di quelli di Boko Haram, ma in tutti quelli, estremamente più numerosi, in cui la legge islamica è usata come arma per schiacciare le donne verso ruoli di totale subalternità, impedendo di fatto alla parte femminile della popolazione di aspirare alla parità.
Ci scandalizziamo come occidentali, ma dovremmo tener conto delle nostre innumerevoli e ripetute contraddizioni che non paiono affatto placarsi nel tempo.
L’ultimo esempio quello dell’inchino della statua della Madonna durante processione di Oppido Mamertina, di fronte alla abitazione del capo riconosciuto della ‘ndrangheta locale, con un atto di deferenza che ha assunto un valore ancor più grave dopo la scomunica dei mafiosi lanciata da papa Francesco e resa pubblica proprio durante la sua visita in Calabria.
Ora saranno i pubblici ministeri a dover stabilire le contestazioni di reato, valutando se si tratti di un semplice oltraggio oppure se quell’inchino della Madonna delle Grazie rappresenti una violazione più pesante del codice penale.
Ciò che resta è la sensazione di intere aree della nostra penisola asservite ad un potere diverso da quello statale e a regole che non sono quelle della Nazione.
In un’intervista a Repubblica, il sindaco di Oppido, Domenico Giannetta, ha detto che “la processione si è sempre svolta nella stessa maniera” e che la statua della Madonna è stata girata “verso una traversa in cui vivono decine di famiglie”, che dunque il gesto non sarebbe stato un omaggio al boss Mazzagatti.
Ed ancora, sui giornali di ieri, la notizia di uno “sciopero della messa” da parte dei detenuti del carcere di Lariano, che dopo le dure parole del Pontefice hanno annunciato che se non avessero potuto “più prendere i sacramenti avrebbero smesso di venire alla messa”, con don Marco Colonna, cappellano del penitenziario, che ha comunque annunciato che continuerà ad amministrare la comunione ai carcerati.
Non meno rabbrividenti le notizie da Israele, dove sei persone sono state arrestate, sospettate dalla polizia israeliana di aver ucciso Mohammed Abu Khdeir, il ragazzo palestinese rapito a Gerusalemme est e bruciato vivo, come atroce risposta al rapimento e alla uccisione di tre adolescenti israeliani, rapiti ed uccisi in Cisgiordania lo scorso 13 giugno.
L’autopsia ha rivelato che il sedicenne è stato bruciato mentre era ancora vivo, poiché materiale da combustione è stato trovato nei suoi polmoni. Dopo questa raccapricciante vicenda di vendetta e fanatismo, ieri scontri fra israeliani e palestinesi sono avvenuti in tutte le città dove vivono in maggioranza gli arabi israeliani, che a differenza degli abitanti di Gerusalemme Est sono cittadini a tutti gli effetti dello Stato.
Nel nord e nel centro del Paese, i manifestati hanno bloccato le strade, vicino al villaggio di Qalansawe, un taxista ebreo è stato fermato, gli hanno ordinato di scendere e dato fuoco alla sua auto.
La situazione è incandescente e sembra spingere Hamas a rivedere le sue opzioni, che, fino a giovedì, erano quelle di spingere per un cessate il fuoco che ristabilisse la tregua fissata dopo gli otto giorni di conflitto del novembre 201; ma che da ieri sembra aver cambiato idea, con lanci di razzi dalla Striscia di Gaza e con due missili, intercettati dal sistema Iron Dome, che hanno mirato la città di Beersheba, con 200 mila abitanti, considerata la capitale del deserto del Negev.
Dopo questo il governo di Benjamin Netanyahu sembra intensionato a dare il via libera ad una offensiva, con Avigdor Lieberman, a capo degli Esteri, che propone di rioccupare la Striscia e Natali Bennett, ministro dell’Economia, che sostiene che alla guerra si arriverà comunque e allora: “”tanto vale essere noi a cominciarla”.
La situazione è molto tesa anche sulle alture del Golan, dove un colpo di mortaio sparato dalla Siria ha colpito il territorio controllato da Israele e i soldati israeliani hanno risposto al fuoco e dove, lo scorso mese, colpi di mortaio esplosi dalla Siria avevano provocato la morte del 14enne Mohammed Karaka, del villaggio arabo di Arraba nel nord dello Stato ebraico.
Altra terribile notizia dal Kenya, dove un attacco shebab ha causato la morte di 29 persone. Testimoni hanno riferito che uomini armati hanno fatto irruzione in un centro commerciale nel villaggio di Hindi, in Lamu, mentre un altro gruppo ha attaccato una stazione di polizia nel villaggio di Gamba e a Mombasa, tre uomini armati hanno aggredito una turista russa mentre stava visitando un sito storico della città (Fort Jesus, un forte portoghese del XVI secolo), in compagnia di altre due persone. La donna è morta in ospedale. E la polizia ha fatto sapere che è di nazionalità russa e che è in corso la caccia agli assalitori, che, secondo le ricostruzioni, hanno aperto il fuoco contro i turisti e rubato una borsa che conteneva macchine fotografiche e telefonini.
Scrivono i giornali che il gruppo estremista è lo stesso che lo scorso settembre attaccò il centro commerciale Westgate a Nairobi, che giustifica i ripetuti attacchi in Kenya come una vendetta per l’assassinio di vari imam nel Paese e per la presenza delle truppe kenyane nella vicina Somalia. Gli Shebab, che nel 2012 hanno annunciato la loro adesione formale ad Al Qaeda, controllano ampie zone del centro e del sud della Somalia, dove il fragile governo locale non è in condizioni di imporre la sua autorità.
C’è già chi parla, dopo una primavera araba, di una sanguinosa estate jidhaista, con attentati nel Bahrain, alleato di Washington e sostenuto da Riyadh, dove si agitano proteste e ripetuti episodi di violenza dai primi mesi del 2011, quando i primi tumulti delle Primavere arabe hanno iniziato ad attraversare molti Paesi nordafricani e mediorientali e dove motore del dissenso è la maggioranza sciita, vittima di sfruttamenti e abusi, che chiede all’élite governativa (di orientamento sunnita) maggiori libertà e riconoscimenti.
Situazione del tutto simile si vive nelle ultime settimane nel mai pacificato Iraq, mentre l’ Arabia Saudita deve fronteggiare derive interne legate al terrorismo islamico, con, il 5 scarso, due membri di al Qaeda che si sono fatti esplodere nei pressi di un complesso governativo, dopo essere stati circondati dalle forze di sicurezza.
Una recente ricerca pubblicata dal Pew Research Center, prestigioso ente di studi americano, condotta tra il 10 aprile e il 25 maggio, mostra che la paura dell’estremismo islamico sta crescendo anche nei Paesi con popolazione in maggioranza musulmana, in particolare nel Medio oriente e, ancora, come gruppi come al-Qaeda e Boko Haram, ma anche Hezbollah e Hamas, stiano vedendo diminuire il loro sostegno, così come è fortemente diminuito il consenso per gli attentati suicidi che colpiscono civili.
Ma intanto la paura cresce per i colpi di coda di un integralismo violento che non vuole capire altra via se non quella della violenza e della morte.
Tornando alle brutte storie da casa nostra, “l’inchino” della Madonna in provincia di reggio Calabria è la riprova che ancora oggi la ‘ndrangheta è una delle organizzazioni criminali più potenti, non priva di rapporti con uomini politici e servizi segreti deviati, meno esposta, rispetto a Cosa Nostra, alle infiltrazioni esterne ed al fenomeno del pentitismo, ma soprattutto con ramificazioni in tutta Italia: dalla Lombardia, al Piemonte, dalla Valle d’Aosta alla Liguria, dalla Toscana al Veneto, dall’Emilia Romagna e anche in mezzo mondo: dalla Francia, alla Germania, alla Russia, dalla Spagna alla Svizzera, dalla Bulgaria all’ex Jugoslavia, dalla Bolivia agli Stati Uniti, dal Canada all’Australia.
Una delle più efficaci definizioni sulla mafia calabrese l’ha data Julie Tingwall, sostituto procuratore dello Stato della Florida a Tampa: “È invisibile, come l’altra faccia della luna”, con una straordinaria capacità di mimetizzarsi, soprattutto all’estero, a cui si aggiunge la sottovalutazione del fenomeno, soprattutto in Italia, che ha fatto in modo che essa sia riuscita a prosperare, quasi indisturbata.
Fino a qualche anno fa, infatti, molti la ritenevano un’accozzaglia di criminali, dedita al pizzo ed ai sequestri di persona, mentre secondo una recente relazione della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, conta 155 cosche e circa 6.000 affiliati ed il rapporto tra popolazione/affiliati ai clan è del 2,7%, mentre nelle altre regioni il rapporto è rispettivamente di 1,2% in Campania, 1% in Sicilia e del 2% in Puglia.
Un fenomeno radicato nel territorio ed ampiamente infiltrato e colluso che, come scrivono Nicola Gratteri e Antonio Nicaso nel bel saggio: “Acqua santissima. La Chiesa e la ‘ndrangheta: storia di potere, silenzi e assoluzioni”, si è anche avvalso di una Chiesa bifronte, divisa tra Fra Cristofori e Don Abbondi, tra esempi di martirio e casi di complicità, che ci portano ad una riflessione su alcuni concetti come la conversione, il peccato; sicché, se è chiaro che la Chiesa deve perdonare, questo rischia di entrare nella testa dei mafiosi come una duplice giustizia, di Dio e degli uomini, mentre i mafiosi quando dicono di pentirsi non devono pensare che esista una conversione che non dia frutto alla società, perché, come diceva Mariano Arena ne “Il Giorno della Civetta”: la Chiesa è grande perché ognuno ci sta dentro.
Perché esistono vescovi e vescovi e sacerdoti e sacerdoti, alcuni più vicini alla Chiesa dell’amore altri alla Chiesa del potere. Don Antonio Polimeni e don Giorgio Fallara, don Italo Calabr e ancora preti che lottano e denunciano già nel 1862. E poi c’è la nuova speranza affidata a Papa Francesco, che sta mettendo in discussione lo Ior e sta spezzando i legami tra finanza vaticana e investimenti dubbi da parte di terzi, che sta portando la Chiesa ad un bivio tra amore e potere e ad allontanarsi dalle lusinghe che il potere tende.
Carlo Di Stanislao
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