Si dice che il governo intende occuparsi dei giovani da avviare al lavoro, ma i fatti ci dicono il contrario. Nell’ultima revisione del Patto della Salute è stato cancellato il comma 14 dell’articolo 5, che avrebbe permesso ai giovani medici che si stanno formando in medicina generale di svolgere attività “professionalizzanti integrative remunerate”.
Pertanto da adesso non sarà possibili per incompatibilità, ottenere una fonte aggiuntiva di reddito, che avrebbe potuto integrare una borsa di studio che, attualmente, è esattamente la metà di quella percepita da chi svolge un’ altra specializzazione.
Se il comma non fosse stato cancellato i giovani medici avrebbero avuto dei benefit possibili senza oneri aggiuntivi per lo stato e con indubbi vantaggi sia dal punto di vista formativo che economico, per laureati costretti a vivere con una borsa di studio ai limiti della soglia di povertà e che versano in una condizione di iniquità contrattuale rispetto ai colleghi specializzandi.
Se a questo si aggiunge la riduzione di 12 mesi delle scuole di specializzazione (vedi: http://www.h-columbus.it/attachments/263_29_7_11_Sole24ore_InCorsia27anni.pdf ), si vede bene che, anche per questo governo “rinnovatore”, il mare che passa fra il dire e il fare è il più vasto degli oceani.
A ciò si aggiunga che, secondo Il ddl di stabilità varato nel Consiglio dei Ministri dello scorso 15 ottobre, nel biennio 2015-2016, il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale verrà ridotto rispettivamente, di 540 milioni di euro per l’anno 2015, e 610 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, con un risparmio legato alla riduzione di 1,150 mld sulla spesa per il personale sanitario, in particolare grazie al blocco dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2017 sui valori in godimento al 31 dicembre 2013 ed una serie di interventi sul trattamento accessorio.
Fra le altre promesse non mantenute dal governo Renzi quella dei 3 miliardi da destinare alla scuola, scesa ad appena 780 milioni con buona pace per edifici fatiscenti, aule cadenti, cancellerie prive di tutto ed altro ancora.
A 130 giorni dal suo insediamento, il governo del riformatore Renzi che, forte del suo quasi 41% chiede un cambio di passo al’Europa, facendo irritasi e non solo, di cose ne ha dette tante, accampando sogni e speranze, a fronte davvero di ben poche cose concrete realizzate o anche solo avviate.
Gli 80 euro sono arrivati, ma la riforma del lavoro, del fisco, della legge elettorale, sono allo stallo.
Che davvero si potesse fare una riforma al mese era praticamente impossibile, anche per mister 40%, ma adesso, dopo 4 mesi, ci si aspetta qualcosa di più di semplici parole e di atti che non vanno nella direzione attesa.
Ad esempio, il decreto Lavoro messo a punto dal ministro Poletti è diventato definitivamente legge il 15 maggio 2014, con tutte le sue modifiche in materia di assunzioni di apprendisti, innalzamento del tempo massimo in cui si può lavorare con contratto a tempo determinato (3 anni con 5 proroghe al massimo) e altro ancora; è solo la prima parte dell’annunciato Jobs Act, che deve ancora vedere la luce.
Quanto poi alla abolizione delle Provincie (ammesso che siano più inutili e dispendiose delle Regioni), ddl aprile è diventata legge la loro abolizione che però, a ben vedere, è solo un riordino che ha permesso che non si votasse per il rinnovo di queste il 25 maggio, con una sostituzione delle stesse con le città metropolitane e le aree vaste, che ancora non si capisce quale vantaggi organizzativi ed economici debbano portare.
Oltre allo scivolone sui giovani medici, oggi il Fatto Quotidiano, dice che anche il Piano Scuola si è rivelato un bluff ed una occasione mancata dall’attuale governo, con il l sottosegretario Reggi che propone un “nuovo” piano con istituti aperti fino alle 10 di sera, raddoppio dell’orario settimanale per tutti i docenti, premi a chi si impegna di più, con parità di stipendio ed incentivi fino al 30% per i docenti con incarichi aggiuntivi: vicepresidenza, coordinamento, laboratori o competenze specifiche su inglese o informatica, con risorse che arriverebbero, come nel caso dei medici in formazione, dalla riduzione da 5 a 4 anni del percorso delle superiori.
Insomma, una politica non diversa, nei fatti, da quella solita dei tagli, con la vecchia richiesta, di stampo montiano, di far lavorare gratuitamente i docenti dopo 7 anni di blocco dei contratti e licenziare i precari e la totale mancanza di idee sul modello di scuola pubblica, che, di fatto e tra non poche difficoltà, ha garantito sin’ora a tutti il diritto ad un’istruzione di qualità e che adesso deve lavorare di più a parità di risorse già al minimo, per integrare i diversamente abili, alfabetizzare gli alunni stranieri, progettare percorsi per i dislessici e per gli studenti con bisogni speciali.
Da giovedì primo maggio (data emblematica ogni oltre dire e che si è spesa molto bene mediaticamente), è partito il progetto di Garanzia giovani pensato per gli under 30, messo a punto dal ministro Poletti, “rivolto a tutti quelli che non studiano, non lavorano, non stanno seguendo nessun corso formativo.
Il programma annuncia con squilli di tromba che tutti saranno chiamati da un’agenzia per l’impiego regionale o privata convenzionata per un colloquio, da cui scaturirà un profilo e, in conformità a questo profilo, entro 4 mesi sarà fatta una proposta concreta.
Nei fatti, ad oggi, dopo oltre due mesi, la riforma, che doveva avvenire in due fasi, la prima, con un decreto, e la seconda, di portata più ampia, affidata a un disegno di legge delega resta solo un annuncio.
Come annunciate sono le soluzioni sulla pensione per i “quota 96” e per gli esodati, per non parlare poi della delusione dei lavoratori precoci e usuranti che si continuano a chiedere cosa Renzi, con Poletti che in una recente intervista a L’Unità si è mostrato assai cauto circa ipotesi di pensionamenti anticipati.
“Per cambiare le regole europee serve il rispetto dei partner europei”, a detto il ministro Padoan illustrando il programma che l’Italia intende perseguire nel suo semestre europeo di presidenza, dicendo che l’Italia si muoverà: “nel rispetto dei vincoli perché fa bene a noi e ci permette di cambiare gli altri” rivendicando che tale piano è organico, con “riforme che si completano a vicenda”.
Il fatto è, come visto, che queste riforme restano soltanto annunciate, con Germania e Olanda, avversarie sui campi brasiliani, alleate nel ricordare a noi italiani che con le parole e i debiti non si costruisce alcun futuro.
A un bel costruire metafore e dotte citazioni, da Anchise ad Enea, a Pericle, Cicerone ed ancora il Partenone il Colosseo, Aristotele e Dante Alighieri, Archimede e Leonardo da Vinci.
A Strasburgo il suo slogan disegnato tra storia, mito ed arte, destano la sveglia del capogruppo del Ppe Manfred Weber che chiede di continuare sulla linea di “rigore” e trova la solidarietà del collega olandese quando Renzi, accusando il colpo, risponde piccato e ripete quanto aveva già detto alla Merkel al Consiglio europeo la settimana prima: la Germania, quando ne ha avuto bisogno, ha chiesto e ottenuto “flessibilità” e, senza giri di parole, fa carta straccia del documento sull’uso “pieno della flessibilità” contenuta testo che il presidente uscente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy aveva costruito attraverso un lavoro di certosina mediazione con gli stati.
Di fatto Renzi può anche vantare vittoria a Porta a Porta, ma sa che adesso, né in Italia né in Europa, basteranno più sogni, prospettive e parole e dovrà concentrarsi a riempire di contenuti il messaggio di “cambiamento e coraggio” lanciato a Strasburgo, con le volate storico-letterarie planate sul mito di Telemaco e Ulisse e, dopo aver visto Silvio Berlusconi e il M5s ora le riforme le deve fare, oltre che annunciarle.
Carlo Di Stanislao
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