Ombre di guerra tornano su Gaza e riemergono vecchi spettri ed antiche paure di destabilizzazione totale o di esodi apocalittici verso Nazioni già da tempo non più in grado di rispondere all’ emergenza. Inutili gli appelli da parte di Onu e Stati Uniti per cercare di fermare l’escalation di violenza. Tel Aviv vuole colpire tutti gli obiettivi di Hamas ed intensifica i raid aerei, causando la morte di numerosi i civili. A Gaza Hamas nasconde razzi nelle scuole ed annuncia di aver intenzione di combattere per mesi se Israele non rimuoverà il blocco dalla Striscia e non libererà i detenuti arrestati il mese scorso.
I razzi continuano a colpire la capitale e le principali città israeliane: 200 nelle ultime 24 ore, la più parte, si dice, di provenienza iraniana.
Un razzo è stato sparato anche dal sud del Libano, mentre le sirene sono tornate a suonare a Gerusalemme e nel sobborgo di Beith Semesch, in un crescendo di guerra per ora solo area, ma che rischia di allargarsi e degenerare a guerra totale, con l’ambasciatore israeliano all’Onu, Ron Prosor, che intervenendo alla riunione del Consiglio di Sicurezza sul Medio Oriente, ha sottolineato che il Paese sta portando avanti “un’operazione di autodifesa”, ricordando che negli ultimi tre giorni sono stati lanciati 442 razzi su Israele, circa uno ogni dieci minuti e concludendo che: “Nessun Paese avrebbe accettato la minaccia che Israele sta fronteggiando”.
Dopo l’anteprima del 27 giugno a Sarajevo, oggi (giorno del massacro di Srebrenica), sarà presentato alla Fenice di Venezia “Hotel Europe”, dramma in cinque atti del filosofo Bernard-Henri Levy che racconta la storia di un uomo, profondamente europeo nel cuore e nello spirito, che fatica a realizzare un discorso sull’Europa, chiuso in una camera a Sarajevo a cent’anni dal primo conflitto mondiale e a venti dalla guerra dell’ex Jugoslavia.
Il contrario dell’Europa dice Levy è l’inferno ed afferma che è necessaria una rivoluzione culturale e politica in Europa e come il nostro Renzi raccomanda ai politici di andare a cercare Dante, risvegliare Alberto Moravia, disturbare Pier Paolo Pasolini e farli incontrare con Goethe per costituire un governo serio, che non solo superi i problemi economici e occupazionali della contingenza, ma sia in grado di creare armonia e collaborazione fra uomini, rendono operante quella che gli ebrei chiamano legge, i cristiani amore ed oggi chiamiamo civiltà.
Ricorda la filosofia di Renzi l’intellettuale francese mentre prepara un discorso per le commemorazioni dei 100 anni dalla Grande guerra ed afferma che per ora viviamo in un continente “senza anima, dei burocrati, dei banchieri, che ha dimenticato cosa vuol dire davvero Europa”; mettendo parimenti in guardia dall’euroscetticismo che invece: “porterà miseria al caos e alla miseria”.
Subito dopo le ultime europee, Jean-Luc Goddard, maestro della Nouvelle Vague, personaggio-simbolo del ’68 parigino e vessillo della gauche, al quotidiano Le Monde ha dichiarato: “Speravo che il Front National arrivasse in testa”e chiamato a giustificare le sue frasi ha aggiunto “Affinché le cose si smuovano un po’, affinché si faccia almeno finta di smuoversi un po’, se non riusciamo davvero a smuoverci. Fare finta è sempre meglio che non fare nulla”.
Ed ha accusato di infingimento per primo proprio Bernard-Henry Levyero, definito solo animale televisivo, espressione quasi caricaturale dei salotti della capitale, portato ad esempio del divario ormai abissale che divide il francese medio, quello “vero”, dai ceti dirigenti della sinistra.
La pensa come lui Jean-François Kahn, giornalista conosciuto in area sinistra, ma senza mai il timore di andare controcorrente, in un libro intitolato: “Marine Le Pen vous dit merci”, come dire “Marine Le Pen vi dice grazie”, in cui accusa gli intellettuali francesi (e soprattutto parigini) della gauche caviar (radical chic) di aver fatto il gioco dei Le Pen descrivendoli da sempre in maniera grottesca o, peggio, ignorandoli, come hanno fatto i media per tanti anni.
In questo recentissimo saggio il giornalista, contestato da molti colleghi, punta il dito sul rifiuto degli intellettuali “di vedere certe realtà, soprattutto in materia di immigrazione e di insicurezza, causando, in maniera inconsapevole o addirittura consapevolmente, la facile vittoria del Fronte Nationale, favorito anche dal fatto che la Le Pen ha saputo abilmente distinguersi dal padre e dai suoi eccessi.
Certamente Henry Levy in un editoriale uscito in Francia su Le Point il 19 febbraio 2009, aveva preso le difese del terrorista italiano Cesare Battisti, affermando, bizantinamente, che nell’urgenza della lotta antiterrorista degli anni 1970, l’Italia si è dotata di un arsenale legislativo in cui figurava, in particolare, una legge sui pentiti capace di far acquistare a un uomo tutta o parte della sua impunità caricandone il peso su qualcun altro.
Ed argomentando che quanto è accaduto a Cesare Battisti si deve a questa legge e alla parola di pentiti (tra cui il capo del suo gruppo, il torbido Pietro Mutti) condannato al carcere a vitae concludendo che non si affronta un problema così enorme come quello degli anni di piombo italiani fabbricando un mostro, incollandogli sulla schiena la totalità dei crimini della sua organizzazione, cucendogli addosso, sulla pelle, l’intero ammasso dei peccati di un’epoca di cui fu solo una pallida comparsa, producendo insomma un capro espiatorio la cui esecuzione giudiziaria darebbe il sentimento di essersi sdebitati e assolti, con poca spesa, dal lavoro di rimemorazione e di lutto.
“A volte ritornano”, del 1978, è la prima raccolta di racconti di Stephen King, in cui si immagina un mondo pervaso da forze mostruose che lo trasformano in un luogo agghiacciante, un incubo, un allucinante tunnel di orrore.
Pensando ad Henry Levy mi vengono in mente i “cattivi maestri” di casa nostra, quelli che hanno di fatto ucciso i Piersanti Mattarella ed i Pio La Torre ed ancora, i Peppino Impastato e Mauro Rostagno, ma anche hanno soprattutto creato la deriva del “pensiero debole” di Vattimo e di quello populista ed adornato di Henry Levy, che continuano a blaterare, mentre il mondo si sbrana e le nazioni si frantumano, che la vera violenza è quella dello Stato che militarizza il territorio per realizzare un’opera inutile, mettendo addirittura in discussione gli agguati agli operai che lavorano nel cantiere di Chiomonte, per sviare la vera domanda che non dovrebbe essere di pensare alla legittimità di assaltare i cantieri con la gente che ci lavora dentro, ma chiedersi se è normale che i cantieri siano difesi da centinaia di agenti.
Insomma per Vattimo e Levy, esponenti di un pensiero contrario a quelli “forti” e dominanti, la verità deve adeguarsi alla dimensione umana che è necessariamente effimera e percorsa dall’errore, sicché la chiave per democratizzare sul serio la società, favorendo il pluralismo, la tolleranza e – lo si noti bene – la diminuzione della violenza.
Sennonché, leggendo le loro opere ed i loro numerosi interventi sui media, viene spontaneo esclamare: “Alla faccia del pensiero debole!”, perché questo dovrebbe essere ironico, leggero e disincantato, senza esaltare in alcun caso la violenza, mentre nelle loro cose, accade, come nel mondo vicino e lontano, esattamente il contrario.
Les Revenants è una serie francese scritta e diretta da Fabrice Gobert, prodotta da Canal+ nel 2012, che sui è fermata, nonostante il successo, alla prima stagione di soli 8 episodi.
In essi non si guarda ai non morti con sentimenti unicamente repulsivi; al contrario, essi rappresentano effettivamente il sogno utopico di resurrezione ed eternità finalmente realizzato. Il ritorno, seppure inquietante e inspiegato, per i vivi è spesso l’esaudimento di un desiderio a lungo nutrito. Tuttavia, allo stesso tempo, il reinserimento improvviso dei revenants in una linea temporale che è andata avanti senza di loro, pone i vivi di fronte alle contraddizioni del proprio desiderio nostalgico.
Ed è questa nostalgia per un vuota bailamme intellettuale che, credo, dobbiamo oggi e soprattutto evitare.
L’immagine migliore per descrivere l’atmosfera creata dalla prima stagione de Les Revenants è quella nebbia che avvolge la cittadina rendendo opache tutte le cose.
Ed è questa opacità che molti creano e che ci dobbiamo scrupolosamente togliere dagli occhi.
Carlo Di Stanislao
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