La riforma della Pubblica Amministrazione passa al Senato con il voto di fiducia, ma con un margine non esaltante: 160 sì e 106 no, per poi tornare a Montecitorio.
E non si accontenta Renzi che continua a macinare incontri e dopo aver visto, stamani, il leader del Nuovo Centro destra Algelino Alfano, si prepara ad incontrare Berlusconi per la legge elettorale e le modifiche all’Italicum.
Scanzonato come sempre, dice che non vi è alcuna frizione fra lui e il Ministero della Economia, aggiunge che gli 80 euro in più sono serviti e molto e che, sebbene in ritardo, la crescita arriverà quanto prima.
Si gode il successo di una “politica che dimagrisce” e che, secondo lui, è “l’inizio di un cambiamento storico”, con una serie successiva di riforme a cui guardare fiduciosi perché “chi avrebbe pensato 20 giorni fa che ci sarebbe stato un Senato con più poteri alle Regioni e una politica meno costosa e meno persone che fanno politica?”.
Quindi il vento gonfie le vele della sua nave e lui dice che “terrà un passo da maratoneta”, ora che i primi segnali di riforma prendono corpo, c’è chi l’accusa di fare troppo in fretta e conclude dicendo: “gli italiani ci chiedono di cambiare e noi cambieremo”.
Intanto la “rivoluzione copernicana” (sono parole sue) della pubblica amministrazione si avvia ad una conclusione, di fare i modo che i cittadini non si rechino agli uffici pubblici ma accada l’esatto contrario, con un ruolo unico per i dirigenti e la possibilità di scambio di ruolo, con una omogenizzazione delle retribuzioni con semplificazione anche per le conferenze dei servizi per le quale si prevede una riduzione delle ipotesi di convocazione obbligatoria e un taglio dei termini previsti per la conclusione del procedimento ed il delinearsi chiaro, attraverso futuri decreti legislativi integrativi della inconferibilità e incompatibilità di incarichi sia presso le pubbliche amministrazioni che gli enti privati in controllo pubblico.
Con due emendamenti, invece, saltano lo sblocco per quattromila pensionamenti nella scuola (quota 96) e la soglia di 68 anni per i pensionamenti d’ufficio di professori universitari e primari e viene cancellato lo stop alle penalizzazioni per chi va in pensione a 62 anni.
In questo modo si mette fine allo scontro fra governo e ragioneria dello stato che si era allargato anche al dl Competitività, al punto da costringere la commissione Bilancio alla Camera che doveva fornire il parere al testo del decreto all’esame dell’Aula a sospendere i lavori, quando, dalla ragioneria, erano pervenuti dei dubbi su un emendamento sul fotovoltaico e su una norma che riguardava la Cassa depositi e prestiti.
La Commissione ha fatto proprie le osservazioni della ragioneria e ha costretto l’Aula a rimandare alle commissioni competenti il decreto, dove sono stati modificati questi due punti.
I due emendamenti “pacificatori” sono stati presentati dallo stesso governo e la ministra della pubblica amministrazione Marianna Madia ha commentato che “la quota 96 non c’entra nulla con la riforma ed è quindi è “stato giusto toglierlo di mezzo”.
L’iter, intanto, della riforma del senato, col il M5S che ha lasciato l’aula, ha assunto i connotati di un vero e proprio bollettino medico, con Roberto Calderoli con il braccio ingessato, Karl Zeller, al quale sono stati somministrati antibiotici da un collega medico autonomista valdostano, per non parlare di Maurizio Sacconi, che ha presentato una benda all’occhio sinistro, forse per l’effetto di una congiuntivite.
Alla fine Renzi c’è l’ha fatta, riducendo le funzioni del Senato, concentrando gran parte del potere legislativo nelle mani della Camera, decidendo che i nuovi senatori potranno godere sì dell’immunità e quindi non avranno un trattamento diverso rispetto ai deputati, ma abolendo i senatori a vita e l’indennità.
Tuttavia, sul Fatto Quotidiano e non solo, sono in molti a scrivere (o fare intendere), che per ora Renzi a “ridimensionato” piccole aree di privilegio (con anche delle linee guida che già preoccupano i sindacati di categoria per la responsabilità civile dei giudici), ma si è guardato bene di operare quelle riforme che porterebbero a scontare una larga fetta elettorale.
Insomma a spingerlo il desiderio di fare qualcosa di nuovo che però limiti i danni a pochi, in modo da non perdere il sostegno popolare.
A proposito della uscita di scena, piuttosto silenziata, di Ferruccio De Bortoli dal Corriere della Sera e del progetto di fusione tra La Stampa degli Agnelli e Il Secolo XIX dei Perrone, che sarebbe un tassello del nuovo “Big Game” nel mondo dei media italiani e che preannuncia una stagione ricca di colpi di scena e di rimescolamento di alleanze tra vecchi e nuovi nemici-amici, tra settori dei “Poteri forti” ieri in lotta e oggi sulla via della spartizione del prodotto merceologico che più conta nelle democrazie: la gestione dell’opinione pubblica, specie in una fase di forte crisi economica e produttiva e di rivolgimenti sociali e culturali; su Articolo 21 Gianni Rossi nota per quei settori, dei“Salotti buoni”, che fanno il controcanto alle “spending review” nella pubblica amministrazione, ai tagli e ai sacrifici, tanto cari al governo Renzi-Del Rio-Padoan-Napolitano, e che si affannano giorno dopo giorno ad elargire consigli, tramite autorevoli commentatori, economisti, polemisti e “maitres à penser” ben retribuiti, specie contro sindacati e movimenti che invece pretendono migliori retribuzioni, meno tasse e più equità sociale, che forse dietro a Renzi si nasconde ancora la vecchia Italia oligopolista, dagli intrecci proprietari a volte inconfessabili con banche assistite dallo stato, industrie che vivono con le commesse pubbliche e le “rottamazioni” periodiche, gli aiuti statali previdenziali, sempre in stato di crisi.
Il settore dei media, dove migliaia e migliaia di giornalisti, per lo più giovani, lavorano per 5/10 euro al pezzo al giorno, altri “più garantiti” con qualche speranza di contratti definitivi sui mille euro e altri ancora più “fortunati” che guadagnano poco più di 2 mila euro al mese con la scure sulla testa di licenziamenti, cassa integrazione e contratti si solidarietà, mentre gli Editori, non “puri” ma con interessi su tutt’altri settori, si spartiscono sfere di influenza politico-finanziaria e ricavi, tengono in piedi il totem del Renzi rinnovatore mentre, di fatto, vecchi nemici storici come De Benedetti e Berlusconi, ma anche gli Agnelli, hanno iniziato a “dialogare” nel promettente mercato della pubblicità “online”, per cercare di porsi come competitor a Google, Amazon, eBay, Microsoft e gli altri OTT (i cosiddetti Over the top, gli operatori web che detengono il monopolio di comunicazione, pubblicità e commercio online per decine di miliardi di dollari globali di fatturato e regimi fiscali agevolati); sicché dietro al paravento dell’Italia da cambiare, ci sarebbero i poteri forti che si vanno ricompattando, mentre continuano con gli “ola” nei confronti del governo Renzi per spingere in avanti campagne lobbistiche volte a far approvare questo o quel provvedimento più consono ai loro desiderata. Almeno fino alle nuove elezioni nel 2015.
Ma c’è anche chi è di parere contrario e dice che Renzi è mosso da lodevoli intenzioni, boicottato non tanto dagli ormai debolissimi partiti, ma dalle alte burocrazie pubbliche, allarmate dall’input di palazzo Chigi per porre un tetto agli stipendi non solo nella Pubblica amministrazione, ma anche negli organismi costituzionali come Camera e Senato; che ha generato una sorta di “rivolta dei mandarini”le cui resistenze vanno ben oltre la riforma del Senato e toccano ogni attività del governo.
Questo sarebbe tanto vero che per aggirare il blocco dei decreti attuativi, Renzi e il ministro Boschi hanno deciso di allestire un coordinamento presso Palazzo Chigi. Ma le resistenze sono grandi ed il coordinamento ancora non c’è. Con grande capacità mediatoria, il sottosegretario Delrio è riuscito a stabilire un rapporto di collaborazione con la Ragioneria generale dello Stato, che del mandarinato pubblico è la cupola. Ma non basta, poiché al ministero dell’Economia regnano sovrani una ventina di alti dirigenti che se ne infischiano delle esigenze del governo e mai deflettono dalla propria logica decennale.
Ed ancora, dicono quelli che difendono Renzi ed il suo operato, ricacciando indietro l’idea che esso attinga alla fonte melmosa dei poteri forti e trasversali, in barba al principio della separazione dei poteri, i magistrati (ordinari, contabili o amministrativi che siano) occupano ogni snodo vitale del governo e, pertanto, hai voglia a parlare di riforma della Giustizia.
La stessa cosa considerando i medici e soprattutto gli universitari. Nei giorni scorsi il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha lamentato gli interessi materiali che ispirerebbero certi alti burocrati ministeriali.
Ma la notizia è stata rapidamente smentita e poi subito cancellata.
Carlo Di Stanislao
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