L’economia italiana è in recessione tecnica e la conferma ufficiale è giunta questa mattina dai dati preliminari dell’Istat sul Pil nazionale del quarto trimestre, sceso su base congiunturale dello 0,7% dopo il -0,2% registrato nel terzo.
Per scongiurare questo evento Draghi aveva tagliato dell’1% i tassi di interesse per aiutare le banche a fare più prestiti alle imprese; ma non è servito, tanto che nel quarto trimestre la produzione è risultata negativa ed il tasso dei senza lavoro è cresciuto di un decimale.
Nella storia repubblicana abbiamo avuto poche grandi recessioni: 1974-1975, 1992-1993 e quella 2008-2009, anticamera della recessione 2012 che ancora viviamo più intensamente e con molte meno prospettive di altri paesi.
Sappiamo da due anni e sulla nostra pelle, che quando comincia la recessione i consumatori si spaventano ed anche quelli che potrebbero spendere non lo fanno, con rinvii soprattutto dei cosiddetti beni durevoli, come le automobili, per poi tagliare i semi-durevoli, dalle lavatrici ai forni a microonde ed infine risparmiare il resto, fino ai beni di prima necessità.
L’iter l’abbiamo seguito tutto ed una serie di governi (due tecnici ed uno giunto al potere direttamente), non hanno trovato alcuna valida soluzione.
Fabio Martini su La Stampa, acutamente nota che vi è una coincidenza eloquente nel fatto che sono le 11 in punto quando le agenzie battono l’attesissimo dato Istat sul Pil, proprio mentre a Palazzo Chigi Matteo Renzi si sta congedando da Silvio Berlusconi, al termine di ben tre ore di colloquio, di chiacchiere e di sorrisi, con stretta di mano altamente simbolica che dice in chiaro che loro due due si intendono perfettamente e per tacitare chi, anche da destra (vedi il falco irriducibile Brunetta), c’è l’ha con la politica economica del governo.
Matteo Renzi sta vivendo le ore più difficili da quando si è “preso” palazzo Chigi ed ha bisogno del sostegno di Forza Italia, tanto più in queste ore, non avendo ancora deciso come gestire la batosta in fase comunicativa, versante del quale Berlusconi ed i suoi conoscono tutti i segreti.
A rabbonire l’ormai ex- Cavaliere la necessità di tempo per completare la sua riabilitazione, per la quale è disposto a proporsi in modo blando sul fronte più scoperto per il governo, quello dell’economia.
Rincuorato da questo Renzi scrive una lettera aperta ai parlamentari della sua maggioranza dove dice: “Il 1° settembre partiranno i “MilleGiorni” che ci porteranno entro il maggio 2017 a disegnare un’Italia diversa, più efficiente e competitiva e “alla fine di questo percorso l’Italia tornerà ad essere la guida, e non il problema dell’Eurozona”.
Insomma rilancia, fa scivolare l’attenzione sulle principali riforme immaginate e solo alla fine parla della questione del giorno, avvertendo che: “i dati negativi sulla crescita non devono portarci alla solita difesa d’ufficio (ma l’anno scorso era peggio… ma a giugno la produzione industriale cresce…, ma gli occupati sono in aumento…, ma il problema è l’eurozona… eccetera ) e invece dobbiamo avere il coraggio e la voglia di guardare la realtà: l’Italia ha tutto per farcela e per uscire dalla crisi”.
Retorica pura e di stampo antico, inattesa per un innovatore come lui, senza un accenno ad un minimo di autocritica, ma semmai l’allusione al fatto che in fondo c’è un miglioramento, pur restando nel segno negativo.
Roba da far invidia alla peggior politica del “facciabronzismo” passato, ma comunque un argine per trovare una migliore soluzione comunicativa che, statene certi, sarà approntata a breve.
Fare politica è comunicare ripetono negli ultimi anni numerose compagnie che sulla comunicazione politica basano il loro business, aggiungendo che la politica, lungi dal realizzare, è mercato di idee ed anche di emozioni.
Esaminando la comunicazione dei vari leader del momento, da Obama al nostro Renzi, sono in molti a parlare di demagogia; una demagogia sottile e moderna che risponde ad una esigenza nuova della gente, quella di delegare a qualcuno competente, desideroso di fare un servizio e non di avere potere, almeno in apparenza.
Se ci rileggiamo però ciò che Boeri scrisse su La Voce già a marzo scorso, ci viene il sospetto che questi comunicatori poi, in fondo, non cambiano proprio nulla e sono funzionali al mantenimento di uno status quo che giova a pochi, ma che sono quelli potenti.
In effetti la storia di Renzi è una storia di promesse sempre maggiori e di sempre più evidenti rinvii. Un esempio per tutti.
Perché, ad esempio, non si è previsto che, una volta abolite le province sul piano costituzionale, tutte le funzioni e risorse passassero direttamente all’ente di governo di livello superiore, cioè le Regioni? Queste ultime, a loro volta, avrebbero potuto decidere come delegare funzioni e risorse: a proprie suddivisioni amministrative o alle nuove unioni di comuni previste dalla stessa legge. In attesa della riforma costituzionale, si poteva adottare qualche semplice criterio forfettario deciso dal Governo, basato sul costo storico delle funzioni rimaste alle province, per suddividere le risorse tra provincia e Regione, a cui potevano essere attribuite per default le funzioni non lasciate alle province.
Ma, naturalmente, questo non sarebbe stato un bel trofeo demagogico da esibire alle masse.
Carlo Di Stanislao
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