Dopo l’assassinio del cooperante scozzese David Haines, decapitato dal già noto miliziano dell’Isis che uccise i due reporter Foley e Sotloff, l’intervento internazionale contro le milizie di al-Baghdadi appare sempre più vicino. Modalità e attori però restano indefiniti, mentre la Casa Bianca evita di commentare le notizie che arrivano dalla Siria: un accordo di non aggressione tra Isis e opposizioni moderate, quelle che attendono con impazienza 500 milioni di dollari dal presidente Obama.
I dubbi restano in merito all’eventuale bombardamento della Siria ed ad un allargamento dell’operazione in Iraq. Se ne tornerà a parlare oggi, dopo il summit della Nato e la riunione araba di Jeddah: oggi a Parigi, il presidente francese François Hollande e il suo omologo iracheno Fu’ad Massoun riceveranno una quarantina di ministri degli Esteri per delineare una strategia di attacco allo Stato Islamico in Iraq e per capire chi, tra gli stati europei e mediorientali che hanno dato il proprio assenso a un’operazione comune, vorrà impegnarsi sul piano militare oltre che politico. Tra gli invitati anche i rappresentanti di Nazioni Unite, Unione Europea e Lega Araba.
Nelle stesse ore, la Francia annunciava il via a voli di ricognizione e spionaggio coordinati con la Gran Bretagna sopra il cielo iracheno, per raccogliere informazioni sulle postazioni Isis e le strategie qaediste. L’Australia, che da settimane scalpita per intervenire, ha detto che invierà in Iraq 10 aerei da guerra e 600 militari negli Emirati Arabi. Un passo in più anche dai paesi arabi che nel meeting di giovedì a Jeddah si erano impegnati ben poco e avevano puntato non tanto a contrastare l’Isis quanto ad armare e rafforzare le opposizioni siriane al presidente Assad (un’intenzione palese che ha mostrato una volta di più come l’obiettivo del Golfo, Arabia Saudita in testa, sia quello di spazzare via il regime di Damasco e l’influenza iraniana dal Libano all’Iraq).
Ieri alcuni governi arabi hanno fatto sapere all’amministrazione statunitense che prenderanno attivamente parte non solo all’armamento di peshmerga, esercito iracheno e opposizioni siriane, ma anche ai bombardamenti Usa in Iraq (ed eventualmente in Siria), seppure l’ampliamento della campagna militare non sembri affatto imminente. Tra i paesi che potrebbero partecipare ai raid ci sarebbero, secondo indiscrezioni, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi (già scesi in campo nel 2011 nei bombardamenti in Libia) e il Qatar, che ospita una base dell’aviazione Usa.
C’è chi parla di un coinvolgimento del Libano che il mese scorso ha ricevuto armamenti da parte degli Stati Uniti per controbattere l’eventuale avanzata dell’Isis, dopo che alcuni miliziani erano sconfinati nella città di frontiera di Arsal. Certo è che Beirut ha firmato il comunicato di Jeddah nel quale promuove una cooperazione regionale militare contro lo Stato Islamico. Una firma che ha fatto infuriare Hezbollah, che ritiene la strategia occidentale e araba inutile a fermare l’avanzata jihadista.
Nei giorni appena trascorsi sia l’esercito di Baghdad che le forze curde hanno chiesto espressamente agli Stati Uniti di lanciare raid anche al confine tra Iraq e Siria, punto di passaggio di armi e miliziani dell’Isis che approfittano così del quasi totale controllo della frontiera. Immediata, ma poco soddisfacente, la risposta del Dipartimento di Stato: “Ci stiamo pensando”.
Insomma, tutti in campo contro i sanguinari dell’Isis, ma solo in Iraq. La conferenza di Parigi ha volutamente lasciato fuori la questione siriana, nonostante le milizie di al-Baghdadi lì controllino parte del nord est e importanti comunità come Raqqa. Resta fuori anche l’Iran, non invitato dalla Francia, nonostante condivida sia il principale riferimento politico del governo di Baghdad e sia effettivamente presente sul terreno con i pasdaran.
Sul terreno intanto proseguono i combattimenti e si inasprisce la guerra civile. Questa mattina terreno di scontri è stata l’università di Tikrit, diventata nei mesi scorsi quartier generale dell’Isis nella città natale di Saddam Hussein, presa grazie al fondamentale aiuto dei generali baathisti unitisi alle file dello Stato Islamico. Da tempo l’esercito iracheno sta tentando di riassumere il controllo totale di Tikrit, ma per ora interi quartieri restano in mano ai miliziani jihadisti.
Ieri, nel villaggio di al-Jamasa, vicino Tikrit, l’Isis ha giustiziato otto iracheni accusati di cospirazione con le forze governative contro le milizie di al-Baghdadi. Sempre ieri, teatro dei settarismi interni è stata di nuovo Baghdad: due autobombe sono esplose nel quartiere di al-Rashid uccidendo una persona e ferendone quattro. Nena News
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