Cerco di toglierli dagli occhi e dal cuore l’ennesima esecuzione di un innocente da parte degli i jihadisti dello Stato islamico (Isis o Isil), che in Iraq e in Siria seminano il terrore e la morte, decapitando col solito rituale disumano e feroce, anche David Haines, cooperante scozzese, da mesi nelle loro mani.
Penso alle madri ed ai padri di queste vittime sacrificali, cadute in un gioco orribile e feroce, in cui l’integralismo islamico non più colpevole di un occidente presuntuoso e grifagno, che crede di poter imporre le sue regole e di poter badare, impunemente, al proprio tornaconto.
Cerco di scivolare via dalla nebbia angosciante della ennesima notte di tensione a Ferguson, in Missouri, dove la folla si è riunita ancora una volta per protestare per l’uccisione il 9 agosto di un ragazzo di colore disarmato, Michael Brown, da parte di un agente della polizia locale e ha dato l’ordine alla folla di disperdersi, mentre diverse persone hanno lanciato pietre e bottiglie contro gli agenti in tenuta antisommossa. Dopo nove giorni di disordini e numerosi appelli alla calma, anche da parte del presidente Barack Obama, ieri sera la manifestazione era iniziata in un’atmosfera diversa, in maniera pacifica.
Poi le cose sono degenerate quando, sul posto, alcuni manifestanti hanno iniziato a lanciare pietre contro la polizia, che ha reagito inviando i blindati tra la folla e in molti sono scappati correndo.
Cerco anche di non leggere gli strazianti resoconti delle molte vittime annegata a largo di Malta, in un mare che è diventata una tomba liquida per tanti mossi dalla fame, dalla paura e dalla speranza.
Esattamente il 14 settembre di otto anni fa moriva a Firenze Oriana Fallici, che come una profetessa inascoltata, come una nuova tragica Cassandra, aveva ammonito l’Occidente e lo aveva incitato a difendersi da quello che lei considerava il suo ultimo implacabile nemico: il fanatismo.
Nello suo scritto di La Rabbia e l’orgoglio ri-pubblicato sul Corriere Fiorentino di domenica per celebrare la ricorrenza della sua morte, non c’è uno scontro di civiltà, ma non c’è un occidente migliore dell’oriente, bensì la nostra libertà da salvare, contro una democrazia inculcata con la forza o contro l’assenza assoluta di democrazia come in certa cultura mussulmana.
Non mi calma questa lettura ed allora affronto “Ombra di giraffa”, ultimo romanzo di un grande della Rai,che ha iniziato come cameramen nel ’60 e poi è stato produttore esecutivo, conduttore, spalla in radio e in televisione e, ancora, attore in film e in fiction: Bruno Gambarotta, che, come romanziere mi aveva già appassionato con Torino lungodora Napoli (1995), Tutte le scuse sono buone per morire (1996) e Polli per sempre (2009), come questo, editi da Garzanti.
Le parole mi incantano subito e mi portano in un universo affascinante, dove nessuno più si ricorda di Ombra di giraffa, il cui vero nome era Felice Chiapasso, tecnico video, con trent’anni di onorato servizio al centro di produzione RAI di Torino ed un funerale in cui nessuno della RAI è venuto a porgere l’estremo saluto, tranne cinque arzilli vecchietti, ex colleghi determinati a rendere omaggio a quello che considerano un pioniere.
E la fortuna è dalla loro parte, perché, poco distante si tiene un convegno cui partecipano le teste coronate della TV pubblica e qando cinque telegrammi firmati da gloriosi registi del passato fanno la loro comparsa ringraziando Ombra di giraffa per il prezioso servizio reso all’azienda, tutti pensano a una bravata; ma si ricredono quando, poco dopo, in nome di un misterioso movimento contro la decadenza della RAI, viene rapito il direttore di RAI Fiction.
Naturalmente i primi sospettati sono i nostri cinque eroi, che, appena scagionati, ricevono un incarico folgorante: scrivere una sceneggiatura per ricordare Ombra di giraffa e tutta una generazione, la loro, di inguaribili romantici.
Il libro lo leggo d’un fiato, lo divoro, mi ci immergo e mi sento sollevato. L’ironia di Gambarotta, quella emersa nel 1987 grazie a Celentano e al suo Fantastico, riesce o a farmi sorridere e a pensare che al mondo c’è ancora qualcosa e qualcuno da salvare.
Per non perdermi questa atmosfera, chiuso il libro, corro in libreria e riapro Il Codice Gianduiotto, uno spassoso e colto divertissement in cui Gambarotta fa il verso al Codice da Vinci di Dan Brown; ed ho improvvisa una illuminazione.
Certo la Fallaci aveva ragione, ma la sua era una ragione dura, espressa in modo ruvido e corrusco, da fiorentina che rivendicava con orgoglio la sua appartenenza all’Occidente anti-totalitario e che al tempo stesso si sente sola e forse anche impotente nella sua strenua difesa.
Invece, inventando storie ironiche, Gambarotta ci costringe a pensare a quanti dubbi hanno sostituito i veri valori e a come, senza valori e senza vecchiezza e passato, quanto fragile e credulone sia diventato il nostro universo.
Leggendo le cronache degli inviati in Iraq, davanti alle immagini dei giustiziati dalla Jihad, ci vengono in mente le cronache e le parole della Fallaci, che certo non aveva previsto la nascita del Califfato e che indicava nell’Islam in cravatta, penetrato nell’ossatura dei Paesi democratici, l’insidia peggiore, il pilastro dell’imminente Eurabia.
Ed anche che questo Califfato islamico, nato sulle macerie del potere di Saddam Hussein, tra le convulsioni del Golfo Persico, in fondo non è diverso o meno spaventoso dalla creazione di uno Stato fondamentalista che vorrebbe destabilizzare tutta la regione per diventare un grande polo d’attrazione, indottrinamento e addestramento degli anti-occidentali di tutto il pianeta.
Ma è leggendo Gambarotta che penso che solo dei saggi anziani, con un arsenale di ricordi a disposizione, possono indicarci la via maestra per uscire dall’angoscia e dall’inganno.
Se non volete crederci leggete “Le ricette di Nefertiti” (uscito nel 2011) e fatelo soprattutto in un momento di totale sfiducia ed angoscia. Così, in breve, vi ritroverete col sorriso stampato ed il cuore leggero, nella invenzione che dai depositi del museo egizio di Torino fa emergere un documento straordinario (ed inesistente): dodici ricette annotate su papiro, le uniche ricette dell’Antico Egitto giunte sino a noi, ricette straordinarie perché opera della regina Nefertiti, una tra le donne più belle e affascinanti di tutti i tempi.
Leggendo scoprirete che, secondo alcune indiscrezioni, queste ricette sarebbero addirittura i manicaretti che la regina preparava per accendere il desiderio del suo sposo Akhenaton!
I dodici papiri sono affidati all’egittologo Paolo Maria Barbarasa, ma proprio quando il presidente della Fondazione dei santi Pasquale e Scolastica, che sostiene le sue ricerche, ha deciso di presentarli al pubblico, scompaiono improvvisamente per poi riemergere, accompagnati da sconvenienti messaggi erotici, fra le mani di dodici rispettabili signore.
La storia è surreale ed ironica ma i contenuti profondi e vivi e vivissima la morale. Per essere uomini occrere cercare di essere saggi e per farlo di essere colti e capaci di cimentarsi davvero col passato.
E’ quando la cultura ed il ricordo vacillano che i mostri della inciviltà ci germiscono e ci portano altrove.
Carlo Di Stanislao
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