“La legge Severino è una legge che va applicata, è stata già applicata anche ad altri sindaci. Penso sia inevitabile che sia applicata”, dice il presidente del Senato, Pietro Grasso commentando il caso della condanna di De Magistris, ex magistrato ed ora sindaco di Napoli, che però non ha intenzione di mollare (come quasi tutti, nel nostro paese) e parlando in Consiglio comunale attacca: “Vorrebbero applicare per me la sospensione breve, in base alla legge Severino, un ex ministro della Giustizia che guarda caso è difensore della mia controparte nel processo a Roma. E la norma è stata approvata mentre il processo era in corso”; aggiungendo: mi chiedono di dimettermi per questa condanna, ma guardandosi allo specchio e provando vergogna devono dimettersi quei giudici”.
Gregorio De Falco, il capitano di fregata divenuto famoso per la telefonata con il comandante Schettino in cui gli intimo’ di tornare a bordo, dopo dieci anni termina l’incarico nel settore operativo della Capitaneria di Livorno: a fine settembre infatti sarà trasferito in altri uffici, sempre della Direzione marittima del Capoluogo toscano.
Il parlamentare Pd Federico Gelli ha annunciato un’interrogazione al ministro Maurizio Lupi per sapere la ragione di questa scelta che pare per lo meno bizzarra, nei confronti di u valente ufficiale che, fra l’altro, ha resistito anche alle seduzioni mediatiche che hanno portato Schettino ad insegnare all’Università.
De Falco dice di essere amareggiato per questa decisione, rendendo nota la stessa durante la conferenza stampa di presentazione di Liburnia 2014 che è l’annuale esercitazione di protezione civile che vede coinvolte le misericordie della Toscana e che grazie all’aiuto di De Falco quest’anno vedrà anche una prova simulata di emergenza a bordo di un traghetto.
Viene in mente che in Italia chi deve essere premiato viene rimosso e chi invece dovrebbe essere rimosso a termini di legge protetto.
De Falco, sui mezzi di informazione di tutto il mondo è diventato il simbolo dell’Italia che prova a dare un’immagine diversa rispetto ad un disastro del genere ed ora viene allontanato e silurato e non si capisce il perché.
Dice bene Serena Pradi: siamo il paese che mette Schettino in cattedra e giubila De Falco, un eccellente capitano di fregata con un curriculum impeccabile che, in un attimo, da primarie funzioni didattiche e di comando operativo, è trasferito al controllo di gestione e relazioni esterne, ruolo che alla Capitaneria di porto di Livorno è giudicato per pre-pensionati o principianti.
Siamo il paese del demerito a parimerito con Macedonia e Ghana, che inventa supercommissari che aumentano i demeriti invece dio appianarli, che modifica le norme al delitto di concussione per renderlo più agevole e protetto e che non investe neanche un pensiero sulla responsabilizzazione culturale del singolo, perché non basta per sconfiggere la corruzione per cambiare in meglio la società e per quanti processi di possano fare (e la nascita e la storia della II Repubblica si fonda sui processi) non è detto che le cose cambino in meglio: anzi, il passato ci ha insegnato che spesso le vicende giudiziarie che riguardano un intero sistema socio – politico vengono sfruttate al meglio solo da demagoghi senza scrupoli. Mark Wasabi, nel 2012, commentando i fatti della Concordia, Mark Wasabi, scriveva che siamo un popolo di “Fantozzi”, una nazione in cui non puoi essere semplicemente un professionista serio, preparato, competente e responsabile e se svolgi ben bene un ruolo operativo, qualunque esso sia, sei considerato l’ultima ruota del carro, uno sfigato, pura ed insignificante “manovalanza”; perché quello che conta è sempre e solo il leccaculismo, la cortigianeria, il legame col politico di riferimento, l’appartenenza alla confraternita giusta e via dicendo.
Siamo insomma un paese che si è sempre adeguato alle parole del Direttore Naturale, Gran Mascalzon, Lup. Man. Pez. Di Merd., Dott. Matteo Maria Barambani nel romanzo “Fantozzi alla riscossa”: “Ricordate figlioli di essere sempre disonesti, di essere sleali con i colleghi. Non praticate amicizie disinteressate, ma usate il ricatto, il leccaculismo. E praticate spesso delazione. Solo così potrete assurgere ai più alti livelli aziendali”.
Dovremmo aggiornare D’Azzeglio e dire che gli italiani sono fatti, ma fatti veramente male. Ma se vogliamo rendere giustizia a Massimo D’Azeglio dobbiamo rettificare il senso del motto. Nella prefazione del suo postumo “I miei ricordi” (1867) egli scrive: “Il primo bisogno d’Italia è che si formino Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani”; dunque non si riferiva il nostro marchese all’unità degli Italiani dal punto di vista politico ma alla loro maturità culturale, civile e morale. Ce ne dà conferma il ricordato Ferdinando Martini che ne “L’illustrazione italiana” del 16 febbraio 1896 (pag. 99) racconta che in una conversazione in pubblico a Montecatini il D’Azeglio avrebbe affermato: “Se vogliono fare l’Italia, bisognerà che pensino prima a fare un po’ meno ignoranti gli Italiani”.
Se non riusciamo a crescere culturalmente, daremo ancora ragione allo storico tedesco B. Giorgio Niebühr, diplomatico a Roma dal 1816 al 1823, il quale ebbe a scrivere: “… L’Italia è una terra di morti che camminano”, che riecheggia un altro celebre motto di Alfonso di Lamartine: “L’Italia è una terra di morti”, ribadito nell’apostrofe antitaliana: “Io cerco [in Italia] uomini e non polvere umana”.
“Polvere umana” è il titolo di un’opera di Primo Levi, che tratta dell’uomo denudato della sua identità, costretto a battersi come un animale per la vita, costretto a cambiare il suo codice morale.
Ed anche qui la salvezza è nella cultura, cultura non strile ma sociale, capace di farsi largo fra i cuori e di rinnovare una intera società, appianando le differenze e garantendo i diritti.
Venti anni fa Norberto Bobbio pubblicava: “Destra e sinistra”, dove si legge: “La spinta verso una sempre maggiore eguaglianza tra gli uomini è irresistibile. Ogni superamento di questa o quella discriminazione rappresenta una tappa, certo non necessaria, ma almeno possibile, del processo di incivilimento. Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali di diseguaglianza: la classe, la razza e il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini è uno dei segni più certi dell’inarrestabile cammino del genere umano verso l’eguaglianza”.
E se è vero, come commenta Daniel Chon Bendit, che la sfida si situa su un terreno più grande: quello del valore della politica e della fiducia nei confronti delle istituzioni democratiche rappresentative, vale a dire della classe politica tout court, il gesto di De Magistrisis che non si dimette non è meno grave di quello che giubila De Falco.
Una stagione che vive una eterna “Stagione all’inferno”, in una atmosfera che è quella della unica opera di cui Rimbaud seguì direttamente la pubblicazioni, amatissima da Verlaine che la lesse nel carcere di Don e in cui si dice che l’inferno nasce dalle diseguaglianze, ma soprattutto dall’accettarle senza colpo ferire.
Carlo Di Stanislao
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