Nella sentenza n.5603 pubblicata di recente, in merito al contenzioso che vedeva opposti un risparmiatore (Antonio Romano difeso dall’avv. Lucia Vitiello, delegata Adusbef Campania), che aveva investito in Buoni Postali Fruttiferi, confidando nel rendimento apposto nel retro all’atto della sottoscrizione pari a 8.399,25 euro, falcidiato e ridotto a 3.743,81 dai successivi tagli intervenuti, il giudice di Pace di Casoria dott.ssa Sandra Scotti, ritenendo illegittimo il comportamento, ha condannato Poste Italiane Spa a restituire la differenza di 4.657,44 euro oltre interessi, rivalutazione monetaria, 870 euro di spese legali, oltre 140 euro di spese forfettarie.
Moltissimi risparmiatori, titolari di buoni postali fruttiferi a termine, che hanno subito negli ultimi anni una gravissima ed ingiusta sottrazione di quanto pattuito all’atto della sottoscrizione (in media del 20 %), con la negazione del pagamento dell’importo che sarebbe stato loro dovuto secondo le condizioni riportate sui titoli, possono reclamare il pagamento pieno, in virtù di una sentenza delle Sezioni Unite di Cassazione n.13979, che ha dato ragione ai ricorrenti nel 2007,ma che pochi conoscono.
Il problema si è verificato con riferimento ai buoni postali fruttiferi a termine (di seguito per brevità BPF) appartenenti alla serie “AF”, “O”, “N” e “P, “AA” e “AB”. I buoni della serie “AF”, si caratterizzano per la possibilità di ottenere, alla scadenza, il doppio (dopo 9 anni e 6 mesi) o il triplo (dopo 14 anni) della somma investita al momento della sottoscrizione, come indicato sul retro dei medesimi, ove si legge che “l’importo raddoppia dopo nove anni e sei mesi e triplica dopo 14 anni al lordo delle ritenute erariali. Se riscosso prima, matura gli interessi lordi del buono ordinario meno mezzo punto”. Essi sono stati emessi fino al 23-06-1997 secondo le suddette condizioni e, successivamente – sempre utilizzando la medesima carta con stampata la medesima citata dicitura – alle condizioni di cui alla specifica tabella “Storico dei tassi applicati sui Buoni Fruttiferi Postali ‘a termine’ ”, in possesso delle Poste. Su tali ultimi BPF, per essere distinti dai precedenti, si sarebbe dovuto apporre un bollino adesivo timbrato e siglato dall’addetto all’ufficio postale emittente, cosa che però, spesso, non è stata fatta, facendo così acquistare al risparmiatore un buono che, già in quel momento, aveva a sua insaputa caratteristiche diverse rispetto a quelle sullo stesso indicate.
Poste Italiane infatti ancora oggi, forte di una legge del 1986 (detta Gava-Goria) cerca di decurtare gli interessi certificati sul retro dei BPF, adeguandoli ai livelli indicati da decreti ministeriali di emissione delle varie serie, incurante della sentenza della Sentenza di Cassazione del 15-6-2007 n° 13979 che impone il rispetto dei tassi “certificati” sul retro del titolo, che ha così stabilito:
“Nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono”.
Sezioni Unite di Cassazione, hanno precisato che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi, il rapporto tra Poste Italiane Spa e il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta acquistati. Quindi il contrasto tra le condizioni indicate sul titolo e quelle stabilite dal Decreto Ministeriale che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali che le condizioni alle quali le Poste si obbligano possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione. La Suprema Corte in questo caso valuta la questione sottoposta alla sua attenzione anche alla luce del più generale dovere di correttezza che sempre dovrebbe presiedere ai rapporti di debito/credito, specificando che “il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” – deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile.
Adusbef chiede a Poste di risolvere pacificamente il contenzioso con l’apertura di un tavolo con le associazioni dei consumatori, ma in caso di diniego, tutelerà i possessori dei BPF con una raffica di ricorsi in tribunale non escludendo una class action a tutela dei risparmiatori frodati.
Lo dichiara in una nota il presidente di Adusbef Elio Lannutti.
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