Arrivano inattese due autentiche bombe dal Sinodo sulla famiglia: la mano tesa verso i divorziati e lo sguardo comprensivo verso le coppie gay , che nelle pagine da 50 a 52 della relazione ufficiale redatta dal e Peter Erdo, sono riconosciuto come un possibile dono per la chiesa, degni di essere al centro di una speciale pastorale che non sono prenda atto della loro resistenza, ma li consideri cristiani al pari degli altri.
Da una parte i rigoristi, guidati dall’autorevole cardinale Mueller, prefetto della congregazione dei vescovi, e dall’altra i riformisti, capeggiati dal cardinale Kasper, teologo e autore di un monumentale studio sul concetto di misericordia, hanno dato vita ad un documento rivoluzionario tanto quanto il Papa attuale, che, circa i divorziati, non li esclude ed anzi li include in un progetto possibilista.
Davvero un fatto straordinario, perché prima d’ora, mai si era letto in un documento ufficiale prodotto dalla gerarchia ecclesiastica una frase come: “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”. Seguito da una domanda rivolta ai vescovi di tutto il mondo: “Siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?”. Mai vi era stato un riconoscimento diretto del valore stesso della coppia omosessuale come si riscontra in un altro brano: “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners”.
Vedremo ora se la stessa elasticità ed apertura rispetto ai tempi la mostrerà la Commissione Europea nei confronti di chi, Francia ed Italia, chiede di superare certe vincoli anacronistici dettati dalla austerità, che non hanno prodotto i frutti sperati ed anzi, affossando investimenti e lavoro, hanno ulteriormente aggravato lo stato delle singole Nazioni.
La Commissione Junker che ancora deve entrare in funzione, già agita carota e bastone e nel vuoto di potere del passaggio delle consegne a Bruxelles, Renzi tira fuori riforme come fossero ciliegie e la Merkel, che secondo il Fatto Quotidiano non ha paura di vedersi crescere un naso da Pinocchio, si dice sicura che l’Italia e la Francia rispetteranno gli impegni europei.
Aperture , dunque, anche da parte dei più duri e conservatori, mentre si aspettano, come Godot, i 300 miliardi di euro di investimenti del piano Juncker e ci prepariamo, come al solito, a vivere il consueto ‘tira e molla’ con la Commissione sul Def.
Renzi dice che questo non è ancora scritto ma lo sarà fra oggi e domani, presentato puntualmente il 15 ottobre, mentre Padoan afferma che i risparmi non andranno a ridurre il debito pubblico, ma a tagliare le tasse e creare lavoro.
In che modo ancora non è dato sapere, mentre le agenzie di reating mollano randellate a destra e manca e a Washington, dove partecipa alla riunione annuale del Fondo monetario internazionale, Padoan appare incline a non sbottonarsi, segnalando un incerto presente ed una crescita di appena lo 0,5 nel 2015.
Aperture inattese vengono invece dall’India che, nel caso dei nostri due marò sotto accusa per omicidio dal febbraio 2012, pare sia disposto a valutare una “soluzione consensuale” proposta da l’Italia, che sarebbe già all’esame del ministero dell’Interno di New Delhi e dei vertici della sicurezza.
Si sarebbe quindi aperto un canale di dialogo con il governo di Narendra Modi, salito al potere a maggio, come auspicato da tempo dalle autorità italiane e la conferma arriva anche da una non precisata ma credibile fonte, secondo la quale entrambi i Paesi stanno ora parlando per cercare una soluzione.
I conflitti si risolvono solo con il dialogo, lo sappiamo.
Tre giorni fa, con una mossa a sorpresa il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon è sbarcato a Tripoli, in una Libia “sull’orlo della catastrofe” insieme al ministro degli Esteri Federica Mogherini, prossima Lady Pesc per partecipare, congiuntamente, all’apertura della seconda sessione di dialogo politico in Libia sotto l’egida delle Nazioni Unite e cercare una soluzione pacifica in quella turbolenta regione.
Nel suo libro ‘Talking to terrorists, how to end armed conflicts’ (Dialogare con terroristi, come porre fine ai conflitti armati), Jonathan Powell, ex capo dello staff di Tony Blair e tra 1997 e 2007 capo negoziatore britannico per l’Irlanda del Nord, ripercorre la propria esperienza di negoziatore con l’Ira, traendo lezioni che a suo giudizio sono applicabili anche in altri contesti geografici e politici, non ultimo quello mediorientale, dove la minaccia dell’Is sta emergendo con sempre maggiore drammaticità.
La storia, scrive Powell, ci insegna che “i governi di tutti i colori politici e in tutti i Paesi affermano ripetutamente che non parleranno mai con i gruppi terroristi, eppure quasi sempre finiscono per farlo e alla fine di solito trattano i loro leader come gli statisti”.
L’importante è “tenere a mente che questi negoziati di solito all’inizio non hanno successo” e che “un accordo viene raggiunto solamente quando si verifica una fase di stallo, nella quale entrambe le parti capiscono che non potranno prevalere militari”.
Anche la recente, ennesima guerra a Gaza, chiusa il 26 agosto ma con scontro diplomatico ancora in corso, ci insegna la medesima cosa, con una strategia conflittuale, come quella di quella di Abbas e mosse unilaterali quando i colloqui bilaterali non procedono.
Carlo Di Stanislao
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