E’ un sabato uggioso, quando m’avvio verso Port Authority. Pioviggina fitto su New York. Con la pioggia la citta’ ha un volto melanconico, come tutte d’altronde quando piove. M’infilo nella metro, per la 42th. C’e’ ressa per scendere, alla fermata, una moltitudine s’affretta lungo il tunnel verso il Terminal bus. Sono in largo anticipo, come d’abitudine, sull’orario di partenza per Boston. E’ l’11 ottobre. Il mio autobus, della Peter Pan, e’ quello delle 9. Gate 84. Stesso rigore d’un aeroporto. Viaggiatori in attesa in file separate per decine. Check in alle 8:50. Partenza in perfetto orario. Il driver da’ il benvenuto a bordo e le informazioni sul viaggio dal suo altoparlante. Si parte. L’autobus va sulla 10 Ave, taglia il Central Park, prende la Madison per un bel pezzo in su fino al ponte omonimo, poi l’interstate verso New Haven. Viaggio tranquillo, traffico regolare, in America a nessuno viene in mente di sforare le 65 miglia, la massima velocita’ consentita. E infatti si nota, quasi nessuna auto e’ abbozzata, poco lavoro per carrozzieri. Altro che in Italia. Piove ancora, non viene voglia d’osservare, piuttosto di leggere si’: America Oggi e Repubblica. Dopo quattro ore e mezza arrivo a Boston, South Station. Mentre il taxi mi porta a North End, il quartiere italiano, la citta’ espone le sue gradevoli architetture. Non sono arditi e vertiginosi i grattacieli, che anzi ben si sposano con gli altri edifici di mattoni rossi. A Parmenter Street mi aspetta Domenico Susi, nel suo Meat Market. La macelleria Susi e’ un punto di riferimento a Boston. Sulle pareti sono allineati almeno una dozzina di riconoscimenti annuali “The best of Boston” all’esercizio commerciale. Lo si capisce da come tratta la carne nel taglio, assecondando il verso delle fibre e quasi accarezzandola. Domenico e’ il tesoriere della FAA, la federazione delle associazioni abruzzesi in Usa. Mi prega di aspettare, passera’ Rocco Di Renzo per accompagnarmi in albergo.
Non tarda molto Rocco ad arrivare. Con piacevole sorpresa scopro che c’e’ una delegazione dall’Abruzzo a Boston, giunta per il Columbus Day. E’ della Polizia di Stato di Pescara. La guida il dr. Paolo Passamonti, questore di Pescara, che incontro e saluto, in centro citta’. Tre pulmini della Police di Boston all’ora convenuta ci portano in hotel, un po’ fuori citta’, ma in mezzo al verde, in zona amena e tranquilla, lontana dal traffico. Ci verranno a riprendere per il meeting serale, che si tiene presso il Ristorante Filippo, una celebrita’ di Boston per qualita’ e singolarita’. Il proprietario, Filippo Frattaroli, e’ originario di Sulmona. E nella citta’ di Ovidio io l’ho conosciuto un anno fa nel corso di un evento culturale che trattava di emigrazione, con la presentazione di un libro, “La Merica”, scritto dagli studenti del Liceo Vico di Sulmona dopo un’accurata ricerca che li aveva portati anche negli States, a Ellis Island e poi a Boston, sulle tracce degli emigrati della Valle Peligna. Qui a Boston lo chef Frattaroli e’ un personaggio tout court. Mi riconosce e mi abbraccia all’ingresso del suo locale, una struttura su due piani di un migliaio di metri quadri, al 283 di Caseway Street, in un punto nevralgico della citta’. Le pareti interne tappezzate di foto, richiami a Sulmona e all’Abruzzo dovunque. Arredo un po’ “particolare”, dipinti murali – uno con i piu’ famosi presidenti degli Stati Uniti, un altro con Filippo e i suoi familiari – e persino “affreschi” sul soffitto. Ma nella colorita singolarita’ poi tutto si tiene. E forse e’ anche questo aspetto, oltre la qualita’ della cucina e la spiccata simpatia del ristoratore, la cifra del successo del locale.
Su al secondo piano e’ gran vociare, l’ampio salone e’ gia’ quasi tutto pieno. Sono quasi le 7 di sera. Nelle loro belle divise i funzionari ed agenti della Polizia di Stato di Pescara, in divisa con il grado di generale il questore Passamonti. In altro tavolo vedo il dr. Nicola Trifuoggi, vicesindaco dell’Aquila e per molti anni magistrato di spicco in Abruzzo, e Luigi Albore Mascia, fino a qualche mese fa sindaco di Pescara. Li saluto, felice d’incontrarli. Altra sorpresa piacevole di questa mia missione a Boston il loro incontro, del tutto inaspettato. Occupatissima Rosetta Romagnoli, presidente della FAA e per molti anni combattiva componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM), ad accogliere gli ospiti accompagnandoli ai tavoli assegnati. Arriva Annalisa Di Ruscio, guest star della serata. Giungono il Console Generale d’Italia, Nicola De Santis, e signora. Il diplomatico e’ da un paio di mesi arrivato a Boston. Ha avuto esperienze di lavoro nella guida del Consolato di Detroit (dal 2002 al 2006), all’Ambasciata di Caracas come capo dell’Ufficio economico, poi alla Farnesina. Ora, qui a Boston, si occupera’ del Massachusetts e degli altri Stati del New Enland. Siamo nello stesso tavolo, con Annalisa Di Ruscio, il prof. Andrea Boggio (Bryant University), Rosetta Romagnoli, e tre esponenti del Casit.
Inizia la parte ufficiale della serata, con gli inni nazionali d’Italia e degli Stati Uniti d’America. Molti occhi lucidi, all’estero Fratelli d’Italia e’ davvero un’altra cosa per gli italiani. Rosetta Romagnoli saluta gli ospiti d’onore, cita le delegazioni delle sette associazioni abruzzesi che fanno parte della FAA, giunte da varie localita’ del New England, da New York, dal Delaware, dalla Pennsylvania e dalla California. Invita il Console a dare il suo saluto. Non di circostanza l’intervento del dr. De Santis, che sottolinea il rilevante contributo dato dagli italiani, e dagli abruzzesi in particolare, al prestigio dell’Italia all’estero. Il suo servizio in un’area importante e densamente popolata di connazionali, qual e’ quella del New England, gli consentira’ di apprezzare ulteriormente il valore dell’emigrazione italiana e di metterne in rilievo gli indiscutibili successi in campo economico, sociale e culturale. “Il mio auspicio – conclude il Console – e’ che questo forte legame con la madrepatria continui a crescere e possa consolidarsi anche nelle nuove generazioni. I legami con la terra d’origine, quando sono forti come quelli che nutrite nei confronti della vostra regione, non si possono spezzare. Questi devono pero’ essere coltivati ed arricchiti, per poter essere tramandati alle nuove generazioni. Colgo l’occasione per congratularmi con voi per la continua sensibilita’ dimostrata nel corso degli anni nella promozione della lingua italiana, fattore portante della nostra identita’”.
La Romagnoli, con accanto Domenico Susi, chiama il questore di Pescara, Paolo Passamonti, per insignirlo del Distintivo in oro della FAA. Ne legge la motivazione. Rocco Di Renzo, affermato imprenditore originario di Manoppello e presidente dell’Associazione di Somerville, provvede alla consegna del riconoscimento all’alto dirigente della Polizia di Stato. Si consegnano, quindi, le borse di studio a due giovani studentesse distintesi nello studio della lingua italiana: sono Kha Huynh e Sarah Diettich. Sono state selezionate dall’insegnante d’italiano del loro College. Consegna le borse di studio il Console De Santis. Le due ragazze leggono il loro ringraziamento, in italiano. Commovente quello di Kha Huynh, una ragazza minuta con tratti orientali. Ha il padre vietnamita – che cosa puo’ riservare la storia americana di tutti i giorni a mezzo secolo dalla tragica guerra in Vietnam – e il nonno italiano. Kha conclude il suo ringraziamento affermando che lo studio della lingua italiana e’ stato il dono che lei ha voluto fare al suo amato nonno. Le borse ogni anno sono assicurate dalla donazione di Joe Pace, imprenditore, emigrato abruzzese e vero mecenate per la cultura italiana.
Ora tocca ad Annalisa Di Ruscio ricevere il massimo riconoscimento, la Medaglia d’Oro che la FAA ogni anno conferisce dal 1992 ad una Personalita’ abruzzese – il primo insignito fu il drammaturgo aquilano Mario Fratti – che si e’ particolarmente distinta negli Stati Uniti. Annalisa Di Ruscio e’ nata a Sulmona (L’Aquila) 35 anni fa. Laureata in Medicina e Chirurgia all’Universita’ Cattolica di Roma, specializzata in Ematologia, nel 2007 viene a Boston per il dottorato presso l’Harvard University, una delle piu’ famose universita’ del mondo. Consegue il dottorato ed inizia una collaborazione all’Harvard Medical School, nel gruppo del prof. Daniel Tenen, presso il Laboratorio di ricerca del Beth Israel Deaconess Medical Center. La dr. Di Ruscio, che gia’ in Italia aveva lavorato nell’ambito della ricerca di tipo clinico, inizia a Boston la sua collaborazione nella ricerca di base, completamente diversa da quella clinica. E’ un campo che serve a comprendere i meccanismi delle malattie e di conseguenza permette di sviluppare farmaci e cure. La scelta paga. E in sette anni di duro lavoro la giovane ricercatrice abruzzese, con la sua equipe, scopre un “interruttore” molecolare, in parole semplici, per accendere geni antitumore ed aprire nuove prospettive di cura nella lotta contro il cancro. La discrezione del progetto e’ certamente piu’ vasta ed impegnativa, rispetto a questa sommaria descrizione, ma il risultato conseguito e’ straordinariamente importante.
E’ il Console Generale d’Italia a consegnare la Medaglia d’Oro ad Annalisa Di Ruscio. Fiori e flash dei fotografi sono tutti per lei, bellissima ragazza, alta e slanciata, capelli lunghi, occhi molto espressivi e un sorriso accattivante. La sua bellezza non ha bisogno di trucco, naturale nella sua semplicita’ la conversazione ricca d’argomenti e di amore per il suo lavoro, appassionata di Boston e degli States. Ma legatissima alla sua bella citta’ natale, Sulmona, all’Abruzzo e all’Italia, dove conta di tornare appena possibile, in un Centro di ricerche in Piemonte. Chiedo ad Annalisa qualcosa in piu’ rispetto al futuro della sua ricerca, alla luce del risultato da lei ottenuto. “Ora puntiamo a sfruttare la scoperta – annota Annalisa – per sviluppare un farmaco geneticamente specifico e meno tossico. Colpendo una regione del Dna non dovrebbero infatti esserci effetti collaterali, invece associati agli attuali farmaci. Ci sono altri medicinali, ma sono tossici e specifici, in quanto agiscono su tutto il genoma”. Resteremo in contatto, Annalisa m’informera’ dei progressi della ricerca. Merita pienamente il riconoscimento che la FAA le ha conferito, sta onorando l’Abruzzo e l’Italia all’estero. L’esito del suo lavoro l’ha fatta conoscere in tutto il mondo scientifico in campo medico. Brava davvero.
Rosetta Romagnoli, segnalando ai convenuti la mia attivita’ in campo giornalistico e nelle relazioni con le comunita’ abruzzesi all’estero, cita l’ultimo mio libro L’Italia dei sogni, recentemente presentato a New York, e l’attenzione da studioso che riservo all’emigrazione italiana. Mi chiama per un intervento. Nel mio saluto richiamo l’intervento del Console De Santis, che ho apprezzato parola per parola. Richiamo l’esigenza che sempre piu’ necessaria sia la conoscenza della storia dell’emigrazione italiana, oggi poco presente nei programmi delle scuole e quasi del tutto negletta, sebbene sia parte cosi’ importante nella storia d’Italia. La classe politica dirigente del Paese dedica agli Italiani all’estero “un’attenzione molto distratta”, per usare un ossimoro, e molto superficiale e’ la conoscenza delle comunita’ italiane nel mondo, dello straordinario contributo che esse danno al prestigio dell’Italia con le testimonianze di vita dei nostri connazionali all’estero, delle potenzialita’ di sviluppo del “brand Italia” se solo il sistema istituzionale – Governo italiano e Regioni – sapesse investire sulla rete associativa degli italiani nel mondo. Ringrazio per quanto fanno gli Abruzzesi a Boston, e gli Italiani in ogni angolo del mondo. Loro sono la piu’ bella Italia, la migliore Italia. E se solo l’Italia dentro i confini conoscesse, riconoscesse ed apprezzasse gli 80 milioni d’italiani dell’altra Italia, davvero il nostro Paese potrebbe avere un ruolo assai rilevante nel mondo, sul cespite delle sue eccellenze in cultura, nell’arte e negli altri campi dove la creativita’, il talento e lo stile italiano primeggiano. E’ ormai sera, la cena invero molto gustosa. Mi aspetta Filippo all’uscita, come fosse un doganiere. Mi fa omaggio d’un dono “particolare”, in linea con la singolarita’ del personaggio. Si tratta d’un reperto che Filippo, in segno di riconoscenza del mio impegno assiduo per gli Abruzzesi nel mondo, mi vuole regalare. E mi consegna, alla presenza del Console Generale d’Italia, quasi fosse un trofeo, il piano d’un sedile del famoso Boston Garden, recuperato quando il vecchio stadio fu restaurato. Lo cela dentro una busta, segnalandomi che quel reperto attira a Boston attenzioni piu’ morbose d’una pepita per un cercatore d’oro.
E’ domenica, devo rientrare a New York. L’indomani ci sara’ la grande Parata sulla Fifth Avenue, la 70^ edizione del Columbus Day da quando Generoso Pope inizio’ questra tradizione, straordinaria vetrina dell’orgoglio italiano nella Grande Mela, diffusasi in tutti gli States. Anche qui a Boston c’e’ la sfilata, ma non ho possibilita’ d’assistervi. Con Rosetta Romagnoli e Domenico Susi prendo un buon espresso al Caffe’ dello Sport, in Hanover Street. Poi faccio una passeggiata per North End. Rosetta mi indica ogni angolo dell’antico quartiere italiano. Passiamo accanto alla vecchia fabbrica, ora un grande parcheggio per auto, dove si svolse parte della storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici italiani arrestati e uccisi sulla sedia elettrica nel 1927, nonostante protestassero la loro innocenza dal fatto cui erano accusati. Manifestazioni si ebbero in tutti gli Stati Uniti in loro difesa, molti famosi intellettuali sottoscrissero appelli (tra loro anche Albert Einstein, Bertrand Russell, George Bernard Shaw, John Dos Passos), il Console italiano a Boston molto si spese per la revisione del processo farsa, lo stesso Mussolini intervenne sull’ambasciatore americano a Roma, perche’ il governatore del Massachusetts sospendesse l’esecuzione dei due anarchici. Ma Nick e Bart vennero uccisi il 23 agosto nel penitenziario di Charlestown. Mezzo secolo dopo, nel 1977, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis ha riconosciuto l’errore giudiziario, cancellando “l’onta e lo stigma” dai nomi dei due emigrati italiani. Sento nel cuore un sentimento d’affetto verso i due martiri dell’emigrazione, passando nel luogo che richiama la loro memoria.
Concludo la passeggiata sul lungomare di Boston, saluto Rosetta mentre mi lascia alla South Station. Alle 15 c’e’ il bus che mi riporta a New York. Si parte. Alla guida una donna alta, magra, capelli rossi tagliati corti, occhi celesti. Molto cortese il suo saluto all’inizio del viaggio. Siamo appena usciti da Boston, citta’ davvero incantevole e dalle magnifiche architetture, ricca di memoria storica per essere stata luogo dove Paul Revere, artista e patriota, nel 1773 con il Boston Tea Party accese la rivoluzione contro gli Inglesi, che porto’ poi all’indipendenza degli Stati Uniti d’America, dichiarata il 4 luglio 1776 dal Congresso di Philadelphia. L’ho vista la casa di Paul Revere a Boston. E’ conservata bene, insieme alla piazza in pietra dove affaccia. L’autobus e’ ormai fuori dalla citta’ e guadagna miglia su miglia lungo l’autostrada che scende verso New York, attraverso il Connecticut. Si snoda in mezzo a boschi sterminati, a perdita d’occhio, l’ampia arteria a quattro corsie in ogni senso di marcia. Oggi e’ piu’ trafficata, forse per la giornata festiva. Scivola in mezzo a quinte policrome di betulle, larici, querce, abeti e macchie cedue. E’ una bella giornata di sole, oggi, neanche un cirro imbianca l’azzurro intenso del cielo. Cancellato il grigiore piovigginoso del giorno precedente. Un’altra storia. Il pomeriggio incede verso la sera. Dopo New Haven, l’oceano Atlantico appare all’orizzonte, sulla sinistra, con il profilo mutevole d’imbarcazioni a vela e navi. Il sole intanto va completando la sua parabola, indorando l’orizzonte che induce alla sera. Quando e’ ormai buio, da lontano si scopre l’inconfondibile skyline di Manhattan, con le luci dei suoi grattacieli.
Goffredo Palmerini
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