Cosa è la dignità e in quanti modi può essere coniugata?
Secondo il Lessico Universale Treccani il termine ricalca il greco ἀξίωμα, che significa anche “assioma” ed indica una qualità intrinseca ed elevatissima della natura umana che “assiomaticamente” è dignitosa se tale.
Ma, è certo, che in molti modi si può essere degni di rispetto e onore ed in svariati modi si può esprimere rispetto per quegli uomini che, consci del proprio valore sul piano morale, sono in grado di tradurre quella consapevolezza in comportamenti e contegni adeguati.
D’altra parte nel saggio”L’evoluzione costituzionale delle libertà e dei diritti fondamentali”, curato da Robero Nania, si trova scritto che sebbene valore umano supremo ed assiomatico, la dignità assume contenuti ed aspetti diversi nelle diverrse ere e culture.
Se allora la dignità è della persona, è altrettanto vero che nel concetto di persona declinato sotto il profilo culturale, esistono molte condizioni diverse e, a volte, opposte di comportamenti dignitosi.
Sappiamo che, sia la nostra Costituzione, con l’articolo 3, che numerose altre norme su cui si fonda lo Stato, che oggi si celebra davanti al’Altare della Patria, si riferiscono al valore supremo della dignità umana, ma intesa non tanto come un “diritto”, quanto come il fondamento costituzionale di tutti i diritti che sono collegati allo sviluppo della persona e della sua libertà.
Ma è evidente, che questo concetto non piace al presidente della Pontificia accademia per la vita, monsignor Carrasco de Paula, che commentando il caso di Brittany Maynard, la ragazza americana malata di tumore che ha scelto di porre fine alla sua vita, ha detto: “Non giudichiamo le persone ma il gesto in sé è da condannare”; commentendo un primo errore nel separe il gesto dall’individuo e un secondo nel sottovalutare quello che è il libero arbititrio individuale.
Naturalmente l’argomentazione è stata più articolata, degna di un ministro vaticano di bioetica, il quale ha aggiunto: “La coscienza è come un santuario in cui non si può entrare. Ma riflettiamo sul fatto che se un giorno si portasse a termine il progetto per cui tutti i malati si tolgono la vita, questi sarebbero abbandonati completamente: il pericolo è incombente perché la società non vuole pagare i costi della malattia e questa rischia di divenire la soluzione”.
Quindi secondo monsignor De Paula, anche se la giovane affatta da cancro ha scelto l’eutanasia pensando di morire dignitosamente, ha commesso un errore poiché “ suicidarsi non è una cosa buona, è una cosa cattiva perché è dire no alla propria vita e a tutto ciò che significa rispetto alla nostra missione nel mondo e verso le persone che si hanno vicino”.
Insomma la vecchia idea cristiana che la vita non sia davvero nostra ma dataci solo in affido, un’idea che ha informato tutta la biopteca di cattolico con conseguenze evidenti e non solo in tema di eutanasia.
I bioetici cattolici affermano che la vita sia un bene non del tutto disponibile, dimostrato dal fatto che l’uomo ha una natura essenzialmente sociale, ha oggettive relazioni con altre persone e, ancora, che la forte resistenza di fronte all’eutanasia proviene dalla tradizione ippocratica che chiede ai medici di fare il bene ai pazienti.
Essi aggiungono, comunque, che questo non significa avvalorare l’accanimento terapeutico., poiché lo stesso Pio XII, in un’allocuzione ai medici (siamo negli anni ’40), manifestò il suo assenso alla somministrazione di analgesici forti (tipo morfina), pur nella consapevolezza che tale somministrazione avrebbe comportato un’abbreviazione della vita (il fine deve essere l’eliminazione delle sofferenze inutili, anche se la conseguenza può essere una morte anticipata).
Naturalmente i bioetici laici la pensano in modo tutt’affatto diversi e poi vi sono gli intermedi, cattolici nello spirito ma laici nei comportamenti, i quali, pur essendo credenti, non prendono lettera espressioni del tipo “Dio è padrone della vita”, naturalisticamente, materialmente intese, perché di fatto l’uomo programma la vita ed in certe circostanze decide i tempi della morte (si pensi alla decisione di non ricorrere alla nutrizione artificiale, di staccare una macchina dal paziente) e quando uno, poi, dice di voler lasciare decidere alla natura, di fatto identifica Dio con la natura (Weber diceva che la prima secolarizzazione – nel senso di de-sacralizzazione – della natura si ha proprio nel Vecchio Testamento antiidolatrico) e cade nel fatalismo. E’ l’uomo che ha il compito di amministrare responsabilmente la sua vita: non può rinunciare a questo dovere lasciando fare la natura.
Secondo molti, infine (e fra questi anch’io), sarebbe, poi, un errore affidare la scelta dei tempi del morire ai medici, medicalizzare ciò che non può essere medicalizzato. In certi casi, inoltre, anche un cattolico vede come una scelta obbligata quella di interrompere un esasperato accanimento terapeutico: non è sempre vero che la morte rimandata a domani sia meglio che la morte oggi: non si può pensare di prolungare la durata della vita a prezzo di una grave disumanizzazione, della perdita delle residue abilità di relazione del paziente.
Ecco perché vedo bene il movimento di idee che si batte per le “direttive anticipate” (nonostante sue sbavature e contraddizioni)è è il segnale di una sensibilità giusta.
Come ha scritto Giovani Fornero, c’è anche da dire cheun ulteriore aspetto di confusione è l’ambiguità terminologica della bioetica laica che emerge in particolare quando si usano termini come “laico” o “laicismo”. Alcune definizioni non ci permettono di descrivere in modo rigoroso il fenomeno di cui si sta discorrendo, come il considerare discorso laico intorno alla morale quello che non ricorre alla fede. C’è chi non vede particolari differenze tra bioetica cattolica e laica e riduce la laicità a semplice “autonomia discorsiva”, non tenendo conto del criterio di autorità esterno al processo discorsivo che troviamo all’interno della dottrina cattolica. Alcuni, per risolvere questo problema semantico,hanno proposto di abolire il termine e di parlare di una biottica non clerica, né confessionale né dogmatica e con un a tteggiamento critico che tiene conto del pluralismo, della libertà e della tolleranza e quindi del principio dell’autonomia reciproca fra tutte le attività e scelte umane.
Formatomi, anche se da cattolico, su questa linea (nei miei quindici anni di collaborozione con i Comitati Etici della ASL 04 de L’Aquila e poi di quello della ASL di Avezzano-Sulmona L’Aquila ed infine di quello interpropvinciale di L’Aquila e Teramo) che tiene conto del principio di ragione come tratto caratteristico dell’uomo, di determinati valori dell’eredità spirituale occidentale, e dell’autonomia della ricerca scientifica, senza inserire alcunpregiudizio, agendo, in campo bioetico, come “se Dio non fosse”, senza nessuna argomentazione basata sull’idea del “progetto divino sulla vita”.
La vità è divina in Sé ed in sé ogni progetto vitale è dignitoso, anche quando, per conservarla oltre soferenze abbrutenti ed inutili, si decida razionalmente per l’eutanasia.
Pwer questo ho ammirato Brittany Maynard, la sua fieria e lucida determinazione contro una morte avviluppante e progresiva e mi sono commosso ascoldandola e vedendola su you tub, ho compreso che il suo gesto è stato l’attuazione totale e concreta di una bioetica non dogmatica e liberale che difende la piena libertà, da parte dei singoli, di amministrare la propria vita e la propria morte. E che deriva dalla visione di Mill che fa delle scelte individuali il vessillo di ogni autentica filosofia morale e politici., affermando: “Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano”.
Ed un’altra donna, in questi giorni, mi ha insegnato la dignità: Reyhaneh Jabbari, che in una lettera alla madre, prima di andare incontro, domenica 26 ottobre, all’esecuzione sommaria, impiccata per aver ucciso l’uomo che aveva tentato di stuprarla, ha scritto: “Non importa, accuserò i giudici davanti a Dio” ed aggiunto, toccante: “non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore divengano polvere. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via. Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassinio non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Con qual maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. La tua esperienza era sbagliata. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata perché avevo fiducia nella legge. Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte a un crimine. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in questa epoca. La bellezza dell’aspetto, dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata, il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome., compratemi un mazzo di fiori oppure pregate per me”.
Quanta commovente dignità e quanta umana fierezza in queste parole. La stessa umanità dignitosa e dolorosa che tracima dai quadri di Artemisia Gentileschi, di Marietta Robusti e, ancora, di Suzanne Valadon, Camille Claudel, Sonia Delaunay, Tamara de Lempicka, Frida Kahlo, miracoli di dignitosa umanità che per noi uomini, spesso, sono persino difficili da guardare, con sfumature d’avorio, per incorniciare anime più grandi e spesso incomprese.
Carlo Di Stanislao
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