E’ costata 1.000 euro a testa e nonostante il padrone di casa Manfredi Catella da Hines sia uno degli chef più in vista d’Italia, è sembrata una classica serata stile Rotary, con riso scotto e commensali annoiati, pochi giovani e pochissime donne, finanzieri rampanti come Guido Roberto Vitale, politici vari tra cui i ministri Martina e Boschi, il sottosegretario Luca Lotti, Ermete Realacci e Piero Fassino, che arriva però due ore dopo con la moglie Anna Maria Serafini e Stefano Boeri, mentre la coppia glamour è quella composta da Carlo Capasa, ad di Costume national e l’attrice Stefania Rocca.
Lo spazio si chiama The mall e sta sotto il nuovo quartiere residenziale Porta Nuova a Milano. L’occasione, voluta dal premier Renzi, quella di chiedere a tutti soldi, fiducia ed impegno, anche agli invitati non paganti ma molto benestanti Beatrice Trussardi (che comunque mette le mani avanti e dice”Sono qui per curiosità, non mi esprimo”) e Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa italiana, che commenta: “Un’esperienza che non aggiunge molto”.
Flop culinario e non solo, quindi, che rievoca lavecchia DC ed un vecchio modo di fare politica e squadra, con inclusione di vecchie conoscenze come i fratelli Gavio, Beniamino e Marcello, rampolli della dinastia delle autostrade, attivvisimi nella organizzazione della cena per raccogliere fondi a sostegno di quel Pd di cui il presidente del Consiglio è segretario e della “Fondazione Eyeu”, acronimo che racchiude tutti i media di area democratica: da quelli cartacei (Europa e Unità) al canale web “youdem”.
Cinquecento i posti ed altrettanti commensali per tessere relazioni, alla maniera, dicono i malevoli, del capostipite Marcellino Gavio, spentosi nel 2009, noto per la capacità di tessere relazione a destra e sinistra senza mai dimenticare il centro: dai ministri e i sottosegretari della Democrazia Cristiana (Gianni Prandini e Vito Bonsignore) ai comunisti alla Primo Greganti passando per Luigi Grillo di Forza Italia, i socialisti, e persino qualche An, quale Ugo Martinat, Uscito indenne da Tangentopoli, il suo nome ricomparve nella più recente inchiesta sulla cessione delle quote Serravalle, anch’essa finita in nulla.
Alla cena non sono andati il sindaco Pisapia (con la scusa di una cena Anci) né Dolce e Gabbana (ancora irati per come sono stati “tartassati”), mentre erano presenti Carlo Sangalli, presidente di Unione Confcommercio, Alessandro Perron Cabus, amministratore delegato della Sestrieres (impianti sciistici), Valerio Staffirio della Rokivo (quella dei Google glass), Pietro Colucci di Kinexia (energie alternative), Roberto De Luca di Livenations (società che organizza concerti), Rosario Rasizza di Openjob Metis (lavoro interinale), e gli amministratori delegati di varie le aziende vinicole ed agroalimentari come Ferrari e Allegrini, Acqua Norda e il gruppo Ferrarini, quello dei salumi.
Si è cenato con prodotti tipici e senza ostriche ma anche il menù, come l’arringa di Renzi, è stato definto scadente.
Chi probabilmente ieri non ha cenato per inappetenza da preoccupazione è Jean Claude Juncker, dopo che una inchiesta dei giornalisti dellInternational Consortium of Investigative Journalism (ICIJ) ha portato alla luce migliaia di documenti sui ‘ruling’, gli accordi fiscali tra lo Stato – che il neo presidente della commissione ha guidato per 18 anni – e i grandi marchi, con miliardi di euro sottratti al fisco grazie alla certificazione perfettamente legale di strutture e scatole societarie ed il coinvolgimento di 30 aziende italiane, aiutate a pagare meno tasse.
Alla base di tutto, 548 ‘ruling’, accordi segreti siglati in Lussemburgo da PriceWaterhouseCoopers (Pwc), una delle ‘big four’ mondiale della consulenza, per garantire la perfetta legalità di centinaia di costruzioni fiscali. Tutto perfettamente legale, ma politicamente pesante come un macigno, visto che il neo presidente della Commissione Ue.
“Dalle multinazionali alle banche, dalle imprese famigliari ai grandi marchi della moda, migliaia di società – scrive l’Espresso – hanno trovato rifugio all’ombra del fisco leggero del Granducato: un sistema cresciuto anche grazie al lungo governo di Jean-Claude Juncker, premier per 18 anni”.
Ieri pomeriggio Juncker ha annullato una conferenza stampa, motivandola con il malessere del coinvitato Jacques Delors, mentre la richiesta di dimissioni comincia a circolare, con toni espliciti nel caso di Marine Le Pen e Giorgia Meloni o più gentili nelle richieste dei liberal democratici, secondo cui la Commissione europea “deve venire immediatamente al Parlamento per spiegare”.
Tornando da noi, a Milano, mentre la cena rotariana-democristiana si consumava, rom, extracomunitari o anche italiani senza reddito o fissa dimora, continuavano la guerriglia per difendere la possibilità di occupare un luogo asciutto, con gli storici quartieri di Corvetto, Giambellino, Calvairatedivenute aree in mano a malavita e disagio e al Gratosoglio con i romo allontanati dalle baraccopoli della periferia Sud, che si infiltrano ovunque ed una situazione così compromessa che non esitano a occupare anche in un palazzo abitato da poliziotti, sostenuti da un’forza delle periferie, “l’immobiliare rossa”, fatta di antagonisti che hanno spostato la loro azione dall’obiettivo “no Tav”, all’”abitare nella crisi” e che controllano decine di case tra i due Navigli e a San Siro; e sono sempre pronti a manifestare, anche a sprangate, per impedire gli sgomberi.
Ricorda il Corriere che da gennaio a ottobre 2014, i tentativi di occupazione abusiva in città sono stati 1.278 , circa il doppio rispetto al 2010 (erano 667) e negli appartamenti dei quartieri ricordati, in 3 casi su 4, ci sono cittadini stranieri, tra cui 256 egiziani, 205 romeni, 143 marocchini, mentre gli italiani che hanno occupato o tentato di occupare sono 324.
Queste cifre spiegano anche quali siano i gruppi che hanno sentinelle nei quartieri (per trovare gli alloggi vuoti) e fanno affari sfondando porte per 500 euro.
In tutta Italia crescono rabbia e razzismo, come dimostra la vicenda della donna originaria della Guinea aggredita e picchiata su un tram di Roma, offesa, insultata, spintonata e aggredita con schiaffi e pugni, portata poi dalle forze dell’ordine al Policlinico Tor Vergata, dove sono state diagnosticate contusioni guaribili in 12 giorni.
Nessuno è intervenuta a difesa, nesuno si è indignato di fronte alla ennessima scena di insensato razzismo.
“Noi italiani neri. Storie di ordinario razzismo” è il libro, uscito nel 2010, dello scrittore di origine senegalese, già autore di un fortunato romanzo, “Io venditore di elefanti”, che ha inaugurato il fenomeno della “letteratura della migrazione” nel 1990 e che è stato ripubblicato a distanza di anni da Baldini&Castoldi, un romanzo autobiografico in cui si racconto che essere italiani neri significa rimbalzare, anche ferendosi – e non solo metaforicamente – su un muro di ignoranza, ottusità, razzismo.
Razzismo deriva da razza, parola forte oggi, fuori moda e poco menzionata, anche se, nei fatti, per molti, troppi italiani, la nera resta una razza inferiore rispetto a quella bianca, che non può mescolarsi ad essa, basandosi sull’assunto che le razze esistono e dunque diviene impossibile per una persona di un colore di colore essere uguali a tutti gli altri.
Khan Muhammad Shanzad, 28 anni, pakistano, senza un tetto, clochard, nella notte tra il 18 ed il 19 settembre, mentre si trovava nel quartiere più multietnico di Roma Est, se non dell’intera città, Tor Pignattara, ubriaco, grida un poco e schiamazza, fino a quando non incontra sulla sua strada un prode paladino della brava gente italica, Daniel, 17 anni, che lo massacra con calci e pugni, mandandolo dritto dritto al cimitero.
Tor Pignattara, “modello” d’integrazione, dove le mamme cacciano Borghezio che sbraita mostruosità davanti al Pisacane, la scuola più multietnica di Roma e che è in realtà una metafora italiana, quella di una guerra tra poveri, tra l’estrema periferia e la turbogentrification che avanza disintegrando umanità e morale, da cui nasce il pabulum per la nuova fasciomafia, un intreccio di traffici e intrallazzi, delitti e truffe, su cui si è imposta una cupola nera, comandata da estremisti di destra di due generazioni, con al vertice veterani degli anni di piombo, abituati a trattare con le istituzioni e con i padrini, abili a muoversi nel palazzo e sulla strada e ai loro ordini un’armata bifronte, che unisce banditi e narcos, manager nostalgici e giovani neofascisti.
Carlo Di Stanislao
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