Ancora un processo senza colpevoli in un’ Italia che cade a pezzi e non solo in senso territoriale. Ribaltata la sentenza di primo grado si è emesso un verdetto di totale assoluzione per i componenti della commissione Grandi rischi che parteciparono alla riunione del 31 marzo 2009, cioè pochi giorni prima del terremoto del 6 aprile che distrusse L’Aquila e provocò 309 morti. La cosa è ancora più scabrosa se si tiene conto che l’unico colpevole (parziale) di sette è stato Bernardo De Bernardinis, allora vice di Guido Bertolaso alla Protezione Civile, condannato a 2 anni in relazione alla morte di 13 persone ed invece assolto per “insufficienza di prove” in riferimento ai casi di altre 16 vittime.
Il procuratore generale Romolo Cuomo si è detto “alquanto sconcertato” ed ancor più lo siamo noi da una Italia che continua a sorprenderci, ma al negativo.
L’avvocato di parte civile Attilio Cecchini ha annunciato il ricorso in Cassazione: “Questa sentenza ci sorprende è un terremoto nel terremoto. La sola condanna di De Bernardinis fa di lui l’unico capro espiatorio”.
Strano si sorprenda un vecchio e navigato principe del foro, che dovrebbe essrsi ormai abituato a soprese italiani di questo tipo.
Il fatto è che continuano a sperare che tutto si aggiusti e migliori e mentre ci stringiamo idealmente attorno ai genitori delle vittime, poi dimentichiamo tutto, immergendoci nel nostro quotidiano.
Commentando l’amaro sconcerto dei genitori, all’uscita dal tribunale, De Bernardinis ha commentato: “Se fossi stato il padre di una delle vittime avrei fatto la stessa cosa. Una vittima è sempre una vittima. Non ho mai contestato nulla”.
Come sintetizzano il Fatto Quotidiano e il Corriere della Sera, i sette componenti della Commissione Grandi Rischi, scienziati ed ex vertici della Protezione civile, parteciparono a una riunione il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del terremoto che devastò L’Aquila e il circondario.
L’accusa ha sostenuto che al termine di quella riunione, avrebbero falsamente rassicurato gli aquilani sottovalutando il rischio sismico, senza innescare nella popolazione il cambio delle normali abitudini, come uscire di casa dopo forti scosse.
Ma, in appello, l’avvocatura dello Stato è riuscita a dimostrare che non fu una riunione ufficiale della Commissione, ma gli intervenuti parlarono a titolo personale.
Naturalmente, essendo medico, ogni volta che formulerò un giudizio diagnostico, ma soprattutto prognostico, scriverò anche, sulla ricetta che sono tenuto a rilasciare, che tale giudizio è personale, lavandomi le mani da ogni possibile responsabilità.
“Vergogna, vergogna” hanno gridato gli aquilani al pronunciamento della sentenza, ma la vergogna è discesa su tutti noi, incapaci di assumersi delle responsabilità, incapaci di distribuire oneri, colpe e responsabilità.
Il numero di MicroMega di giovedì 23 ottobre è interamente dedicato alla giustizia. Le personalità più autorevoli del settore – magistrati, avvocati, giornalisti – hanno denunciato un sistema pensato apposta dalla classe politica per garantire impunità ai potenti. Negli ultimi vent’anni non c’è stato governo che non abbia promesso una “riforma” della giustizia e puntualmente ci siamo ritrovati un sistema sia penale sia civile sempre più lento, ingarbugliato, illogico che offende i sacrosanti princìpi della civiltà giuridica individuati già 250 anni fa da Cesare Beccaria: certezza della pena, tempi rapidi e trattamento umano. Nel nostro paese vige invece una giustizia ‘ingiusta’, forte con i deboli e debole con i forti, in cui chi ha santi in paradiso ha la sostanziale garanzia di farla franca, e chi non può permettersi costose difese rischia di non vedere garantiti i propri diritti. Un ‘garantismo’ all’italiana, a cui orgogliosamente MicroMega oppone un intransigente giustizialismo, ossia la rigorosa osservanza del principio che campeggia in tutte le aule dei tribunali: la legge è uguale per tutti. Invece, come nota Furio Colombo, malgrado la nostra Costituzione non lasci alcuno spazio alla cultura dell’ambiguità e del ‘viceversa’, dal dopoguerra abbiamo conosciuto un’informazione giudiziaria estremamente contigua al potere esecutivo e allora, invece che cianciare di ‘abolire l’obbligatorietà dell’azione penale’ – il che equivarrebbe ad azzerare l’indipendenza del pm e porlo sotto la tutela dell’esecutivo – la politica dovrebbe interrogarsi sugli ostacoli che di fatto si frappongono all’effettiva applicazione di questo sacrosanto principio, pensato dai nostri costituenti a tutela della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Carlo Di Stanislao
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