Con lo Stato Islamico che controlla un terzo dell’Iraq e i territori settentrionali della Siria, per gli Stati Uniti il nemico resta il presidente siriano Assad. Gli amici, invece, quelle opposizioni moderate siriane che ormai non riescono più a giocare un ruolo né militare né politico nel paese.
Eppure Washington insiste nel chiudere la porta in faccia al governo di Damasco. Ieri a Pechino il presidente Obama ha incontrato il russo Putin con cui, a margine del meeting Apec, ha discusso dei tanti fronti caldi globali. Tra questi l’avanzata dell’Isis, ma le distanze sembrano difficilmente colmabili: la Russia insiste nel coinvolgere Assad nel processo di transizione politica interno, gli Stati Uniti non intendono discutere con il regime. Una visione che, ogni giorno di più, appare cieca: due giorni fa a Damasco il presidente Assad ha aperto alla proposta Onu di stipulare con le opposizioni moderate accordi di cessate il fuoco locali, a partire da Aleppo.
Secondo l’inviato Onu in Siria, Staffan de Mistura, accordi circoscritti potrebbero rappresentare lo strumento per far sedere al tavolo del negoziato le due parti, per rallentare l’offensiva delle milizie di al-Baghdadi e per portare aiuti umanitari ad una popolazione civile allo stremo. De Mistura è stato chiaro, in un’intervista alla Bbc: “In Siria non sta vincendo nessuno e nessuno vincerà”. Tanto vale dialogare.
Il primo passo è stato compiuto oggi a sud di Damasco: grazie ad un cessate il fuoco locale tra governo e ribelli, aiuti umanitari sono entrati nel quartiere di Qadam. I residenti sono riusciti a tornare nelle proprie case, abbandonate alla fine di ottobre. La tregua prevede il completo ritiro dell’esercito e il posizionamento dei soldati solo ai checkpoint all’ingresso del quartiere.
Ma la strategia messa in piedi dalla coalizione guidata dagli Usa non prevede tali misure. Obama insiste per continuare con i soli raid aerei a sostegno delle forze sul terreno, le opposizioni moderate in Siria e i peshmerga e l’esercito iracheno in Iraq. Un esercito allo sbando nonostante alcune piccole ma significative vittorie: ieri i soldati di Baghdad hanno riassunto il controllo del 75% della città di Baiji, sede della più grande raffineria di petrolio del paese. Una città strategica sia per la presenza dell’impianto (da 5 mesi sotto assedio islamista) che per la vicinanza con Tikrit, da tempo terreno di scontri tra Isis e esercito.
Secondo Raed Ibrahim, governatore della provincia di Salah-a-din, le truppe governative hanno ripreso il centro della città, il quartier generale della polizia e gli uffici pubblici, nonostante siano ancora in corso scontri nelle strade con le ultime unità di miliziani presenti.
Anche in Siria, a Kobane, i curdi delle Ypg hanno ripreso parte della città, a sud, costringendo alla ritirata da alcune strade e da alcuni edifici gli islamisti. Ma appare ancora troppo poco. Dal Qatar anche l’emiro Al Thani ha definito insufficiente la strategia Usa, che prevede solo bombardamenti dal cielo e addestramento delle truppe sul terreno. E l’armamento, anche se a rilento: oggi il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che gli otto F-16 destinati all’esercito iracheno arriveranno in ritardo, tre a dicembre e il resto entro maggio.
E se i primi 50 consiglieri militari Usa sono arrivati in una delle basi aeree di Anbar per un’ispezione, la situazione resta di piena emergenza. A pagarne le spese sono i civili. I dati pubblicati ieri dall’Unhcr raccontano una crisi con pochi precedenti: secondo l’agenzia Onu per i rifugiati, sono circa 13,6 milioni (l’equivalente della popolazione di Londra) i civili siriani e iracheni oggi profughi del conflitto in corso, molti dei quali privi di un alloggio e di cibo a causa del deficit dell’agenzia, a cui servirebbero 58 milioni di dollari per assistere almeno un milione di persone. L’inverno è alle porte, un altro inverno di enormi sofferenze.
Chiara Cruciati- Nena News
“Con lo Stato Islamico che controlla un terzo dell’Iraq e i territori settentrionali della Siria, per gli Stati Uniti il nemico resta il presidente siriano Assad. Gli amici, invece, quelle opposizioni moderate siriane che ormai non riescono più a giocare un ruolo né militare né politico nel paese”
Finalmente qualcuno scrive le cose come stanno. Putin, l’anno scorso, avrebbe fatto bene a non opporsi ai bombardamenti contro Assad: a questo punto l’ISIS sarebbe probabilmente arrivato alle porte di Damasco, e Obama sarebbe stato messo di fronte alla propria idiozia.