Allo spettacolo hot e decisamente volgare di Eva Grimaldi, scosciata sui teleschermi di “Quelli del calcio”, all’ennesimo eccidio in una sinagoga di Gerusalemme, in cui due presunti palestinesi armati di asce e coltelli hanno ucciso quattro persone, alla mutria dura di Brunetta che incontra la Camusso ed invia umana missiva di fuoco al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e al suo vice, con mandato per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività, Jyrki Katainen, per denunciare, da “professore”, gli imbrogli della legge di stabilità di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, come se l’Italia avesse bisogno di una spinta mentre precipita nel dirupo di una sempre minore credibilità; preferisco l’incanto offerto da Robert De Niro a Roma, durante la presentazione in anteprima europea del documentario su suo padre, il pittore Robert De Niro Senior, morto di cancro nel 1993, intitolato “Remembering the Artist Robert De Niro Sr.”, proiettato ieri al Maxxi e introdotto da Mario Sesti, diretto da Perri Peltz e Geeta Gandbhir, struggente e poetico, arricchito da filmati familiari e testimonianze, musicato da Philip Glass, e il pubblico potrà vedere in esclusiva assoluta, come sempre fa la HBO, su Sky Arte HD, alle 21.10 il 28 dicembre.
Preferisco questo per i sentimenti chiamati in causa, per il rimpianto e la tenerezza, per il coraggio con cui un figlio parla di un padre profondamente amato, accettato con difficoltà per la sua diversità e la omosessualità che gli costarono l’indiferenza e l’insuccesso.
Lo preferisco perché De Niro, a 71 anni, ci ha parlato di come si diventa figli nel recupero della autenticità di un genitore anche complesso e difficile e di come il successo sia una combinazione di fattori, perché il talento non basta e servono anche la fortuna, il nascere nel posto giusto e nell’epoca giusta; né un minuto prima e né dopo.
In fondo la lezione di De Niro, invitato a Roma dalla Fondazione Cinema, è stata sulla riservatezza e su come si possono affrontare argomenti anche intimi e scabrosi, con grazia e senza volgarità, con un infinito pudore, che sembra per sempre lontano dai nostri orizzonti quotidiani e mediatici.
Il documentario è nato dal desiderio di conservare l’eredità dei padri nei confronti dei figli , attraversato da un senso di rimpianto dovuto a un legame che avrebbe potuto essere più saldo.
Ed allora viene spontaneo chiderci che figli siamo e come abbiamo conservato l’eredità di padri infaticabili e con la schiena spaccata dalla fatica, se ciò che abbiamo creato è un mondo di volgarità e ferocia, con cariche della polizia per sgomberare centri sociali, egoismo imparante ovunque, poveri che combatono altri poveri, assensa assoluta di ogni forma di solidarietà.
‟Siamo stati tutti Telemaco. Abbiamo tutti almeno una volta guardato il mare aspettando che qualcosa da lì ritornasse. E qualcosa torna sempre dal mare”, ha scritto Massimo Recalcati in “il complesso di Telemaco”, edito da Feltrinelli nel marzo del 2013.
Ma in quello stesso saggio si parla di due figure figliali più comuni e frequenti, il figlio-Edipo e quello Narciso, il primo che conosce il conflitto con il padre e l’impatto beneficamente traumatico della Legge sulla vita umana. Ed il secondo, che resta invece fissato sterilmente alla sua immagine, in un mondo che sembra non ospitare più la differenza tra le generazioni.
E dopo aver ricordato che Telemaco, che attende il ritorno del padre e prega, come facciamo noi, affinché sia ristabilita nella sua casa invasa dai Proci la Legge della parola, che pone in primo piano non il conflitto tra le generazioni (Edipo), né l’affermazione edonista e sterile di sé (Narciso), ma una domanda inedita di padre, una invocazione, una richiesta di testimonianza che mostri come si possa vivere con slancio e vitalità su questa, è oggi destinato a perire disilluso, poiché in questo mondo e nel nostro tempo, nessuno sembra più tornare dal mare per riportare la Legge ed il processo dell’ereditare, della filiazione simbolica, sembra venire meno.
Ma ieri De Niro ci ha ricordato che eppure è ancora possibile, nell’epoca della evaporazione del padre, un’eredità autenticamente generativa: Telemaco ci indica la nuova direzione verso cui guardare, perché Telemaco è la figura del giusto erede ed il suo è il compito che attende anche i nostri figli, che non dovranno attendersi una eredità di geni o di beni, ma di dignità e, pertanto, di regno, non sulle cose o sugli altri, ma sui lati più oscuri e torbidi del nostro essere.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento