In Italia c’è un capitale umano di 15 milioni di persone la cui energia e competenza è dissipata. E’ quanto emerge dal 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Si tratta di quasi 8 milioni senza lavoro, tra disoccuppati, inattivi e pronti a lavorare anche se non cercano un impiego. A questi si aggiungono altri 7,7 milioni di persone tra part-time, cassa integrati e di sottoinquadrati, che cioè svolgono un ruolo inferiore rispetto alle proprie competenze.
“Agli oltre 3 milioni di disoccupati- spiega il Rapporto- si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati. E ci sono 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. È un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui. Più penalizzati sono i giovani. I 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano, sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013. C’è poi il capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in Cassa integrazione, il cui numero di ore è passato nel periodo 2007-2013 da poco più di 184.000 a quasi 1,2 milioni, corrispondenti a 240.000 lavoratori sottoutilizzati. E c’è anche il capitale umano sottoinquadrato, cioè persone che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto: sono più di 4 milioni di lavoratori, il 19,5% degli occupati. Il fenomeno dell’overeducation riguarda anche i laureati in scienze economiche e statistiche (il 57,3%) e persino un ingegnere su tre”.
“Il numero di lavoratori nel settore della cultura (304.000, l’1,3% degli occupati totali) è meno della metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), e di gran lunga inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000). Nel 2013 il settore ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del Paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia”. E’ quanto emerge dal 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. “E mentre le principali economie europee hanno registrato dal 2007 un significativo sviluppo del settore, da noi la situazione è inversa: -1,6% tra il 2007 e il 2013 in termini di valore aggiunto (contro il +4,8% della Germania e il +9,2% della Francia) e +3,3% in termini occupazionali (contro il +10,9% della Germania e il +6,3% della Francia)”, prosegue il Rapporto. “Il patrimonio culturale che non produce valore. Siamo un Paese dal capitale inagito anche perché l’Italia riesce solo in minima parte a mettere a valore il ricco patrimonio culturale di cui dispone”, sottolinea il Censis.
“La parola d’ordine è: tenere i soldi vicini per ogni evenienza, ‘pronto cassa’. La percezione di vulnerabilità porta il 60% degli italiani a ritenere che a chiunque possa capitare di finire in povertà, come fosse un virus che può contagiare chiunque”. E’ quanto emerge dal 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. L’istituto parla di “attendismo cinico delle famiglie liquide”. Dopo la paura della crisi, spiega il Rapporto, “è un approccio attendista alla vita che si va imponendo tra gli italiani. Si fa strada la convinzione che il picco negativo della crisi sia alle spalle: lo pensa il 47% degli italiani, il 12% in più rispetto all’anno scorso. Ma ora è l’incertezza a prevalere. Di conseguenza, la gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo. Tra il 2007 e il 2013 tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite, tranne i contanti e i depositi bancari, aumentati in termini reali del 4,9%, arrivando a costituire il 30,9% del totale (erano il 27,3% nel 2007). A giugno 2014 questa massa finanziaria liquida è cresciuta ancora, fino a 1.219 miliardi di euro. Prevale un cash di tutela, con il 45% delle famiglie che destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte”.
Negli anni della crisi le disuguaglianze sociali si sono ampliate, il ceto medio si è indebolito, le opportunità di integrazione sono diminuite. Lo dice il 48esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2014. Spicca, tra le altre cose, “lo slittamento verso il basso delle grandi città del Sud. Il tasso di occupazione dei 25-34enni oscilla tra il 34,2% di Napoli e il 79,3% di Bologna, la quota di persone con titolo di studio universitario passa dall’11,1% di Catania al 20,9% di Milano, gli evasori del canone Rai sono il 58,9% a Napoli ma diminuiscono al 26,8% a Roma, a Bari solo 2,8 bambini di 0-2 anni ogni 100 sono presi in carico dai servizi comunali per l’infanzia contro i 36,7 di Bologna, a Palermo ci sono appena 3,4 mq per abitante di verde urbano rispetto ai 22,5 bolognesi, la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti si ferma al 10,6% nel capoluogo siciliano mentre arriva al 38,2% nel capoluogo lombardo”. Per un Paese come l’Italia, “che ha fatto della coesione sociale un valore centrale e che si è spesso ritenuto indenne dai rischi connessi alle fratture sociali che si ritrovano nelle banlieue parigine o nei quartieri degradati della inner London, le problematicità ormai incancrenite di alcune zone urbane ad elevato degrado non possono essere ridotte a una semplice eccezione alla regola del ‘buon vivere'”.
“Gli immigrati imprenditori continuano a mostrare segnali di vitalità”. È quanto risulta nel 48esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2014. “Nei sette anni della crisi, le imprese con titolare extracomunitario sono aumentate del 31,4%, mentre quelle gestite da italiani sono diminuite del 10%. Sono due i settori in cui gli stranieri stanno esercitando maggiormente la loro capacità di fare mixité di prossimità tra la propria cultura e la nostra: il commercio e l’artigianato- evidenzia il rapporto- Le imprese di commercio al dettaglio gestite da stranieri sono complessivamente 125.965, rappresentano il 15% del totale e sono cresciute del 13,4% dal 2011 a oggi, mentre quelle italiane si riducevano del 2,4%”. Nello specifico, “l’incremento più forte (+33,9%) riguarda i negozi di frutta e verdura, che a fine 2013 rappresentavano il 10% del totale. E nell’ambulantato gli stranieri sono passati dalle 73.959 imprese del 2011 alle 85.461 del 2013 (+15,6%) e rappresentano oggi il 46,8% del totale. Nel 2013 le imprese artigiane straniere erano 175.039, il 12,4% del totale, con una crescita del 2,9% negli ultimi due anni, quando le imprese italiane sono calate del 4,5%. Nei lavori di costruzione e rifinitura degli edifici gli stranieri rappresentano ormai il 21,3% del totale delle imprese”.(Dire)
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