Sono 6,63 milioni gli italiani che dedicano tempo agli altri. 4,14 milioni si impegnano in organizzazioni o in gruppi mentre 3 milioni sono i volontari non organizzati; dal punto di vista geografico il lavoro volontario è più diffuso al nord, soprattutto nel nordest.
L’indagine, che fornisce la fotografia del volontariato italiano, è stata realizzata da Istat, CSVnet – Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato – e Fondazione Volontariato e Partecipazione ed è stata presentata oggi a Roma, presso l’aula magna dell’Istat, alla presenza del presidente dell’Istat, Giorgio Alleva e del Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Bobba.
Dall’indagine, armonizzata agli standard internazionali contenuti nel Manuale sulla misurazione del lavoro volontario pubblicato dall‘OIL(Organizzazione Internazionale del Lavoro), emerge una forte relazione fra volontariato, istruzione e situazione economica. Gli studenti sono i più impegnati nel volontariato (9,5%) mentre i volontari occupati si attestano al 9,1%. I dati dimostrano anche come il titolo di studio più diffuso fra chi fa volontariato sia la laurea (13,6%).
I volontari hanno molta più fiducia negli altri: sul totale della popolazione ben il 35,6% di chi fa volontariato organizzato ha fiducia della maggior parte delle persone rispetto al 20.9% dei cittadini comuni.
Nei volontari è maggiore anche il senso di fiducia verso le istituzioni: 24,46% contro 20,8% del totale. I volontari infine sono più soddisfatti della loro vita: 46,8% rispetto al 35%. Stesso trend si registra anche nell’ottimismo verso il futuro: i volontari ottimisti sono il 30,3% rispetto al 24% della popolazione totale.
L’indagine ha analizzato anche le motivazioni di chi fa volontariato. Il 49,7% è spinto dall’impegno a far fronte ai bisogni non soddisfatti e opera a favore della comunità e dell’ambiente. Un volontario su tre, soprattutto fra i giovani e anziani, decide di fare volontariato per socializzare, incontrare amici o stringere e conservare rapporti. Il 25,8% è spinto da motivazioni religiose, mentre un 17,7% per “valere” cioè per mettersi alla prova, valorizzare capacità ed essere più spendibili nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda le ricadute del volontariato nella vita personale, i dati illustrati le distinguono in tre tipologie: quella relazionale, quella civica e quella legata alla dimensione del benessere. Il 51,6% di chi fa volontariato ha allargato la rete dei rapporti sociali, il 51,3% ha sviluppato una coscienza civica e politica e il 49,6% si sente meglio con se stesso.
“Vogliamo -afferma il presidente della Fondazione Volontariato e Partecipazione Alessandro Bianchini- che gli elementi di conoscenza e le chiavi di lettura che emergono da questa indagine servano a far comprendere più a fondo il fenomeno volontario e riescano ad aiutarlo a vincere le tante sfide poste dai tempi che viviamo“.
“Così come il volontariato non deve avere timori di misurarsi utilizzando parametri scientifici accreditati, così le istituzioni non devono temere di promuoverlo e sostenerlo secondo il principio della sussidiarietà” – ha commentato Stefano Tabò, presidente di CSVnet. “Questa convinzione deve condizionare la Riforma del Terzo Settore, a ragione dei benefici – diretti e non – generati dall’azione volontaria che la ricerca ci ha confermato nell’incremento della coesione sociale e della fiducia che fanno delle organizzazioni di volontariato un antidoto all’apatia civica e politica”.
L’incontro di presentazione ha visto gli interventi di: Saverio Gazzelloni, Direttore centrale delle statistiche socio-demografiche e ambientale – Istat; Ksenija Fonovic CSV Spes/CSVnet; Tania Cappadozzi Direzione centrale delle statistiche socio-demografiche e ambientale – Istat; Riccardo Guidi, Fondazione Volontariato e Partecipazione; Marco Musella, Università Federico II di Napoli.
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