La Vera Storia di San Nicola Vescovo alias Babbo Natale

Felice strenna di Natale insieme ai più poveri dei poveri, compresi i 600 milioni di bambini orfani che nel mondo senza il nostro aiuto hanno poco da festeggiare. Chag Chanukah Sameach! Buon Natale del Signore Gesù Cristo, il Dio Vivente, nella piena osservanza dei Suoi Comandamenti. Vi siete mai chiesti come faccia Babbo Natale a […]

Santa Claus San Nicola Vescovo Patrono Unità CristianiFelice strenna di Natale insieme ai più poveri dei poveri, compresi i 600 milioni di bambini orfani che nel mondo senza il nostro aiuto hanno poco da festeggiare. Chag Chanukah Sameach! Buon Natale del Signore Gesù Cristo, il Dio Vivente, nella piena osservanza dei Suoi Comandamenti. Vi siete mai chiesti come faccia Babbo Natale a consegnare oltre due miliardi di regali in una sola notte? Grazie alle leggi della Gravità quantistica assaporate nel kolossal Interstellar dedicato alla Paternità. Per questo motivo oggi in molti, soprattutto scienziati e militari, non osano negare ai propri figli l’esistenza dell’originale Babbo Natale. Semmai cercano di capire scientificamente chi Egli sia. Il vero Babbo Natale esiste veramente. E la sua storia s’intreccia con quella dei Cavalieri Templari, dell’Impero Romano d’Oriente, della Santa Russia, della Turchia, delle città di Bari, San Pietroburgo, New York e L’Aquila. La pia “leggenda” narra che attorno all’Anno del Signore 260 a Patara, nei pressi di Myra, nell’attuale Turchia, nacque un bimbo a cui fu messo nome Nicola. San Nicola è uno dei santi più popolari del Cristianesimo di Oriente e di Occidente, difensore dell’Ortodossia del Vangelo di Gesù Cristo. Protagonista di molte leggende riguardanti miracoli a favore di poveri e defraudati, divenuto uomo pietoso e gentile di animo, si dice abbia un dì distribuito ai poveri ed agli indigenti tutte le abbondanti ricchezze del patrimonio di famiglia, per poi errare nelle campagne ad assistere bisognosi ed ammalati. Secondo la tradizione, Nicola aiutò tre ragazze che non potevano sposarsi per mancanza di dote, gettando sacchetti di denaro dalla finestra nella loro stanza, per tre notti. Per questo è venerato dalle ragazze e dalle donne nubili. Nicola consacrò la propria esistenza al servizio di Dio e, giovanissimo, divenne vescovo di Myra. Durante le persecuzioni scatenate dall’imperatore Diocleziano, fu esiliato e conobbe persino il carcere, ma nel 325 non mancò all’importantissimo Concilio di Nicea. Quando Nicola morì, nel 343, si diffuse immediatamente un culto popolare che lo vuole Patrono dei bambini, “immagine” di Dio sulla Terra come tutti i Santi. La storia di Nicola (“Santa” negli Usa) s’intreccia con quella dei Cavalieri Templari, della Santa Russia, delle città di Bari e di L’Aquila. Chi era San Nicola? “San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia. Nell’antichità – scrive il domenicano Padre Gerardo Cioffari O.P., Direttore del Centro Studi Nicolaiani – i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo. Prima dell’VIII Secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d.C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida. Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità. Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo il monaco greco Michele Archimandrita il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa. Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i Russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”). In realtà, Nicola nacque a Patara. Nel porto di questa città aveva fatto scalo anche S. Paolo in uno dei suoi viaggi. Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa “popolo vittorioso” e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita. Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna) ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo “secondo” Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara). Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata. Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle”. Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. “Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia. L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso Matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al Matrimonio”. Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: ‘non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra’. “In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il Matrimonio della figlia maggiore. Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto”. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. “Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice Matrimonio”. Istituto e sacramento di Diritto divino oggi tremendamente offeso da certa politica politicante pagana in Europa! “Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non volle che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, fece il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini”. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. “Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira. Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il Cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate ‘domus ecclesiae’, casa della comunità”. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. “E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province. Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato”. In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. “Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira. L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo”. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della  volontà di Dio. “Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’Occidente, il secondo l’Oriente”. Essi emanarono anche il famoso Editto che dava libertà di culto ai cristiani. “Sei anni dopo (319) in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani. Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX Secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara, Metodio, affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti. Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificarono che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede ed a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro, sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314. Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: ‘Al Concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri’. L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 Giugno dell’anno 318 emanava un Editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’Impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande Assemblea (Concilio) a Nicea nel 325. Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo Concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz). Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: ‘O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore  per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima’. Quest’antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al Concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio Creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre Enti in Uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco. Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la Verità fondamentale che Dio è Uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca. Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo, l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o ‘omophorion’ (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal Cielo la Vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata”. Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quell’Assemblea (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII Secolo) non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel Concilio. “Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamata regola di fede. Il silenzio degli antichi scrittori sul ruolo di Nicola a quel Concilio si spiega forse col fatto che Nicola ebbe un atteggiamento diverso da quello del capo del partito cattolico ortodosso, Atanasio di Alessandria. Pur avendo un carattere altrettanto energico, Nicola era più sensibile alla ricomposizione dell’armonia nella Chiesa. Non si fermava come Atanasio alla difesa ad oltranza delle fede, ma tentava anche tutte le vie per riportare gli erranti (eretici) nel grembo della Chiesa. Un atteggiamento che dovette apparire ad Atanasio come troppo incline al compromesso, e di conseguenza non degno di essere ricordato fra i difensori della fede. Questa “damnatio memoriae” da parte di Atanasio (che pure menziona molti vescovi) si spiega anche col fatto che quasi certamente Nicola militava politicamente nel “partito” opposto. Mentre infatti Atanasio parla di Ablavio, prefetto di Costantino, come “amato da Dio”, l’antico biografo di Nicola lo definisce “perverso e malvagio” (come ritiene anche il grande storico Eusebio di Cesarea e tutti gli storici pagani). Né la cosa deve sorprendere più di tanto. Anche oggi infatti persone degnissime militano politicamente su versanti opposti. Che in S. Nicola si incontrassero il grande amore per la retta fede col grande amore dell’armonia nella Chiesa, è testimone S. Andrea di Creta, il quale scrive: ‘Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo dicendo:“Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”. Nonostante il riferimento ai Marcianisti (talvolta è scritto Marcioniti) il vescovo Teognide è quasi certamente il vescovo di Nicea al tempo del Concilio di cui si è parlato. Simpatizzante dell’eretico Ario, Teognide si lasciò tuttavia convincere ed alla fine firmò gli atti del Concilio”. Quasi certamente Nicola si era messo in contatto con lui già in precedenza e dovette avere un certo ruolo nel farlo decidere a firmare gli atti. “In realtà Teognide successivamente non mutò atteggiamento verso Atanasio, che continuò ad avversare decisamente. Dopo un esilio di tre anni in Gallia, al ritorno continuò a criticare il termine “consustanziale” col quale Atanasio e la Chiesa definivano il rapporto fra Padre e Figlio. Nel 336 contribuì a fare esiliare S. Atanasio. Come si può vedere, l’antichità cristiana non fa eccezione. Anche all’interno di sostenitori della retta fede si formarono “partiti” diversi. Il che comportò persino giudizi contrapposti sul piano della spiritualità. È il caso di Teognide, da S. Andrea di Creta ritenuto di “santa memoria”, da altri pur sempre un eretico. Ed è il caso di Teodoreto (storico della Chiesa), dalla chiesa greca considerato un eresiarca, dalla russa un “beato” (blažennyj). Ed è pure il caso del patriarca Anastasio (729-752), dalla chiesa latina ritenuto un iconoclasta, da quella greca “di santa memoria” perché pentito dopo essere stato salvato proprio da S. Nicola dall’annegamento”. Costantino aveva lasciato libertà di culto ai pagani, tuttavia è chiaro che almeno a partire dall’Anno Domini 318, coi poteri giurisdizionali ai vescovi, i cristiani ebbero uno spazio privilegiato all’interno dell’Impero. “Non pochi vescovi, e sembra che Nicola sia stato fra di essi, si impegnarono per quanto possibile a cancellare dalle loro città i segni della religione pagana fino ad abbattere alcuni templi. La tradizione ci fa vedere Nicola impegnato in tal senso. Andrea di Creta nel suo celebre Encomio di S. Nicola, rivolgendosi al nostro Santo esclama: ‘Hai dissodato, infatti,  i campi spirituali di tutta la provincia della Licia, estirpando le spine dell’incredulità. Con i tuoi insegnamenti hai abbattuto altari di idoli e luoghi di culto di dèmoni abominevoli e al loro posto hai eretto chiese a Cristo’. Pur rimanendo molto vicino al testo di Andrea, Michele Archimandrita, “concretizzava” l’opera di Nicola facendo riferimento non alle armi della parola e dell’insegnamento, ma a vere e proprie spranghe di ferro per abbattere il tempio di Diana che si ergeva imponente. Era questo il maggiore di tutti i templi sia per altezza che per varietà di decorazioni, oltre che per presenza di dèmoni. Che Michele Archimandrita si fosse documentato su fonti miresi dirette è dimostrato proprio da queste sue parole. Se non avesse fatto ricorso a tali documenti difficilmente avrebbe potuto sapere di questo ruolo preminente del tempio di Diana. Dopo recenti scavi archeologici è risultato infatti che nel 141 questo tempio era stato restaurato ed ampliato dal mecenate licio Opramoas di Rodiapoli. Una conferma, questa, che quanto dice il monaco Michele riflette i racconti che si narravano a Mira nell’VIII Secolo. È probabile che la verità sia quella di Andrea di Creta, che ci mostra un Nicola che abbatte il paganesimo con le armi della parola. Tuttavia, a giudicare dal carattere energico del vescovo di Mira (dimostrato in altre occasioni), non è impossibile che sia avvenuto secondo il racconto dell’Archimandrita. Ciò che li accomuna, ed era una credenza molto diffusa a livello popolare, è il particolare dei dèmoni che abitavano in questi templi pagani, per cui quando questi venivano demoliti, i dèmoni venivano a trovarsi senza un tetto ed erano costretti a cercarsi altre dimore”. Il Santo vescovo Nicola era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità. “Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano”. Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. “Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria”. Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. “A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di Maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella. Tutti gli episodi sinora narrati hanno subìto l’incuria del tempo. Essi venivano narrati dai Miresi e da nonni a nipoti giunsero fino all’VIII-IX Secolo. Il lungo travaglio orale fece loro perdere i connotati della storia per apparire piuttosto come tradizione o come leggenda. I nomi dei protagonisti delle vicende si perdettero quasi del tutto. È vero che in tante Vite di S. Nicola si trovano i nomi dei genitori, dello zio archimandrita, del suo predecessore sulla cattedra di Mira, del nocchiero che l’avrebbe condotto in pellegrinaggio in Egitto e in Terra Santa, e così via. Ma si tratta di nomi che nulla hanno a che fare col nostro Nicola. Bisogna rassegnarsi alla realtà che, ad eccezione del Concilio di Nicea e del vescovo Teognide, nessun nome compare nella vita del nostro Santo prima della storia dei tre innocenti salvati dalla decapitazione”. Questa storia, insieme a quella successiva dei generali bizantini (‘Praxis de stratelatis’), è il pezzo forte di tutta la vicenda nicolaiana. “Nell’antichità, per esprimere il concetto che questa narrazione era la più importante di tutte quelle che riguardavano S. Nicola, spesso non veniva indicata come ‘Praxis de stratelatis’ (Racconto intorno ai generali) ma semplicemente come ‘Praxis tou agiou Nikolaou’ (Storia di S. Nicola) quasi che tutti gli altri racconti non rivestissero alcuna importanza a paragone con questa. In occasione della sosta di alcune navi militari nel porto di Mira, nel vicino mercato di Placoma scoppiarono dei tafferugli, in parte provocati proprio dalla soldataglia che sfogava così la tensione di una vita di asperità. In quei disordini le forze dell’ordine catturarono tre cittadini miresi, i quali dopo un processo sommario furono condannati a morte. Nicola si trovava in quel momento a colloquio con i generali dell’esercito Nepoziano, Urso ed Erpilio, i quali gli stavano dicendo della loro imminente missione militare contro i Taifali, una tribù gotica che stava suscitando una rivolta in Frigia. Invitati da S. Nicola, i generali riuscirono a fare riportare l’ordine. Ma ecco che alcuni cittadini accorsero dal vescovo, riferendogli che il preside Eustazio aveva condannato a morte quei tre innocenti. Seguito dai generali, Nicola prese il cammino per Mira. Giunto al luogo detto Leone, incontrò alcuni che gli dissero che i condannati erano nel luogo detto Dioscuri. Nicola procedette così fino alla chiesa dei Santi martiri Crescente e Dioscoride. Qui apprese che i condannati erano già stati portati a Berra, il luogo ove solitamente venivano messi a morte i condannati. Ben sapendo che solo lui, in quanto vescovo, avrebbe potuto fermare il carnefice, accelerò il passo e vi giunse, aprendosi la strada fra la folla che faceva da spettatrice. Il carnefice era già pronto, e i condannati stavano già col collo sui ceppi, quando Nicola si avvicinò e tolse la spada al carnefice. Avendo liberato gli innocenti dalla decapitazione, Nicola si recò al palazzo del preside Eustazio, entrandovi senza farsi annunciare. Giunto dinanzi al preside l’apostrofò accusandolo di ingiustizie, violenze e corruzione. Quando minacciò di riferire la cosa all’imperatore, Eustazio rispose che era stato indotto in errore da due notabili di Mira, Simonide ed Eudossio. Ma Nicola, senza contestare il particolare, gli rinfacciò nuovamente la corruzione e, giocando sulle parole, gli disse che non Simonide ed Eudossio, ma  Crisaffio (oro) e Argiro (argento) l’avevano corrotto”. Avendo così ristabilita la verità e la giustizia, Nicola non infierì ma perdonò al preside pentito. “Edificati dal comportamento del Santo vescovo,  i tre generali ripresero il mare e raggiunsero la Frigia, ove riuscirono a sottomettere le forze ribelli all’Impero. Un po’ per il successo dell’impresa un po’ perché Nepoziano era parente dell’imperatore, il loro ritorno a Costantinopoli avvenne in un’atmosfera di vero e proprio trionfo”. Tuttavia la gloria e gli onori durarono poco, perché queste sono spesso accompagnate da gelosie ed invidie. “Gli agiografi parlano di malevoli suggerimenti del diavolo, certo è che ben presto si formò un partito avverso a Nepoziano e compagni. I componenti di questo partito riuscirono a coinvolgere il potente prefetto Ablavio, il quale convinse l’imperatore che i tre generali stavano complottando per rovesciarlo dal trono. Convinto o meno dell’attendibilità della notizia, Costantino preferì non correre rischi, e li fece mettere in prigione. Dopo alcuni mesi i seguaci di Nepoziano si stavano organizzando su come liberare i generali. Per cui i loro avversari, col denaro promesso a suo tempo, tornarono da Ablavio e lo convinsero a suggerire all’imperatore un provvedimento più drastico. Infatti, Costantino diede ordine di sopprimerli quella notte stessa. Appresa la notizia, il carceriere Ilarione corse ad avvertire i generali, che furono presi da grande angoscia. Sentendosi prossimo alla morte, Nepoziano si sovvenne dell’intervento in extremis del vescovo Nicola a favore dei tre innocenti. Allora levò al Signore questa preghiera: ‘Signore, Dio del tuo servo Nicola, abbi compassione di noi, grazie alla tua misericordia e all’intercessione del tuo servo Nicola. Come, per i suoi meriti, hai avuto compassione dei tre uomini condannati ingiustamente salvandoli da sicura morte, così ora ridà la vita anche a noi, mosso a misericordia dall’intercessione di questo Santo vescovo’. Il Signore esaudì la preghiera di Nepoziano, fatta propria dai compagni. Quella notte S. Nicola apparve in sogno all’imperatore minacciandolo: ‘Costantino, alzati e libera i tre generali che tieni in prigione, poiché vi furono rinchiusi ingiustamente. Se non fai come ho detto, conferirò con Cristo, il Re dei re, e susciterò una guerra e darò in pasto i tuoi resti a fiere ed avvoltoi’. Spaventato, Costantino chiese chi fosse: ‘Sono Nicola, vescovo peccatore, e risiedo a Mira, metropoli della Licia’. Nicola apparve minaccioso anche ad Ablavio, e quando l’imperatore lo mandò a chiamare, entrambi pensarono ad un’opera di magia. Mandarono a prendere i tre generali per chiedere spiegazioni. Il colloquio aveva preso il binario della “magia”, quando Costantino chiese a Nepoziano se conoscesse un tale di nome Nicola. Nepoziano si illuminò, accorgendosi che la sua preghiera era stata esaudita. E narrò tutto all’imperatore, che seduta stante ne ordinò la liberazione. Anzi, volle che andassero a Mira a ringraziare il Santo vescovo ed a portargli da parte sua preziosi doni, fra cui un Vangelo tutto decorato d’oro e candelieri ugualmente d’oro. Altri autori aggiungono che giunti a Mira si tagliarono i capelli in segno di gratitudine e di devozione verso il Santo”. È difficile dire quanto ci sia di vero e quanto sia stato il parto della fantasia di un popolo consapevole di aver avuto un progenitore ed un difensore. “Per i Miresi, Nicola era colui che aveva riportato la retta fede, la giustizia ed il benessere alla loro città. Non per nulla, secondo la testimonianza sia della Vita Nicolai Sionitae sia dell’Encomio di Andrea di Creta, essi istituirono la festa delle Rosalie del nostro progenitore S. Nicola. Fra le tante iniziative del Santo a favore della popolazione, intorno al VII Secolo si narrava il suo intervento per fare ridurre le tasse per i Miresi (‘Praxis de tributo’). È nota a diversi storici la tendenza di Costantino a gravare le popolazioni dell’Impero con tasse esorbitanti. Ed anche se i cristiani cercavano delle attenuanti, i pagani come Zosimo ricordavano che Costantino era costretto a una pesante politica tributaria a causa della sua eccessiva prodigalità. L’anonimo scrittore che compose l’Epitome de Caesaribus descriveva così la sua politica tributaria: ‘Per dieci anni eccellente, nei dodici anni successivi predone, negli ultimi dieci fu chiamato pupillo per le eccessive prodigalità’. Quando anche la città di Mira si trovò a dover pagare tasse esorbitanti, i rappresentanti del popolo si rivolsero a Nicola affinché scrivesse all’imperatore”. Nicola fece di più. “Partì alla volta di Costantinopoli e chiese udienza. L’anonimo scrittore qui si lascia prendere la mano e, non tenendo conto che Nicola era vissuto al tempo di Costantino, immagina i vescovi della capitale che gli rendono omaggio riunendosi nel tempio della Madre di Dio alle Blacherne, chiedendogli la benedizione. A parte l’esagerazione di una simile accoglienza, quel tempio sarebbe stato costruito un secolo dopo la morte del Santo. L’abbellimento agiografico si nota anche al momento dell’arrivo di Costantino. Prima che cominciasse il colloquio, l’imperatore gettò il suo mantello ed ecco che questo, incrociando un raggio di Sole, rimase sospeso in aria. Il prodigio rese timoroso e benevolo l’imperatore. Quando Nicola gli riferì come i Miresi fossero oppressi dalle tasse, chiedendogli di apportare una sensibile riduzione, l’imperatore chiamò il notaio ed archivista Teodosio, e secondo il desiderio di Nicola operò una netta  riduzione a soli cento denari. Nicola prese la carta su cui era registrata questa concessione e legatala ad una canna, la gettò in mare. Per volere di Dio la canna giunse nel porto di Mira e pervenne nelle mani dei funzionari del fisco, i quali furono molto sorpresi ma si adeguarono. Intanto però a Costantinopoli i consiglieri di Costantino fecero notare all’imperatore che forse la concessione era stata un tantino esagerata. Per cui l’imperatore chiamò nuovamente Nicola per correggere la somma della tassa che i Miresi dovevano pagare. Il Santo gli rispose che da tre giorni la carta era pervenuta a Mira. Essendo ciò impossibile, Costantino promise che se le cose stavano veramente così avrebbe confermato la precedente concessione. I nunzi, da lui inviati per verificare quel che era accaduto, tornarono e riferirono che Nicola aveva detto la verità. Mantenendo la promessa, l’imperatore confermò la concessione”. Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del Concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. “Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione. Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai Baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del Catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina”. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un Santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico. “Le spoglie di S. Nicola riposarono a Mira circa 750 anni (337-1087), mentre il suo culto (specialmente a partire dal IX Secolo) si diffondeva universalmente. Poi, grazie ad un fortunato colpo di mano le sue reliquie furono portate a Bari, cambiando la storia di questa città. Ed oltre che come “di Mira”, d’allora in poi fu conosciuto come S. Nicola di Bari. C’era anche una crisi d’identità politica, non risolta dalla ribellione di Argirizzo nel 1079, che aveva provocato una dura e umiliante  reazione da parte del duca Roberto il Guiscardo. L’occupazione nel 1085 di Antiochia da parte dei musulmani aveva dato il colpo di grazia al commercio, essendo quella città il principale partner commerciale. La circostanza favorevole fu che, proprio sulla rotta per Antiochia c’era Andriake, il porto della città di Mira, ove a tre km all’interno c’era la chiesa di S. Nicola, già venerato anche a Bari come  patrono dei marinai. Di conseguenza, anche se non ci fu un vero e proprio progetto, l’idea di rapire le ossa di S. Nicola dovette venire abbastanza naturale. Con un simile colpo di mano la città avrebbe trovato un simbolo ed un patrono che avrebbe risollevato sia l’orgoglio che il commercio cittadino”. Consapevoli che non vi sarebbero state molte altre occasioni a motivo dell’inarrestabile avanzata musulmana in Asia Minore, secondo le fonti, l’idea dell’impresa si concretizzò durante una navigazione nei primi mesi del 1087. “Su tre navi cariche di cereali, 62 tra marinai e commercianti baresi salparono diretti ad Antiochia. A metà viaggio il discorso cadde sulla possibilità di impadronirsi delle ossa di S. Nicola, che in tal modo sarebbero state salvate dalle incursioni turche e avrebbero dato prestigio alla città. Una rapida perlustrazione all’andata li scoraggiò, avendo constatato la presenza di molti turchi ivi convenuti per i funerali di un loro capo. Dopo le operazioni commerciali ad Antiochia, ove appresero che anche i veneziani avevano le stesse intenzioni, presero rapidamente la via del ritorno. Giunti ad Andriake, 15 rimasero alle navi e 47 si inoltrarono all’interno fino alla chiesa, in cui c’erano quattro custodi, di cui tre monaci”. Dopo una breve preghiera come se fossero normali pellegrini, si fecero indicare il luogo da dove estraevano la manna e dove era sepolto S. Nicola. “Inizialmente i monaci si rifiutarono, anzi cercarono invano di correre ad avvertire i cittadini che si erano rifugiati nei monti vicini, ma poi, spada alla gola, furono costretti a parlare. Alquanto timorosi al momento di frantumare il sepolcro del Santo, finalmente si fece avanti il giovane Matteo che con una spranga di ferro ruppe l’urna e trasse fuori le reliquie, per ultimo anche il cranio. L’indecisione al porto su quale nave dovesse avere l’onore di trasportare il sacro tesoro fu superata affidandole alla nave di Matteo. Dopo un inizio difficoltoso con tappe a Kekowa, Megiste, Patara e Perdicca, quando cinque marinai consegnarono le reliquie che avevano sottratte, il vento divenne favorevole. Le altre tappe furono Marciano, Ceresano, Milos, Stafnu (o Bonapolla), Geraca, Monemvasia,  Methone, Sikea, S. Giorgio, 5 chilometri da Bari, ove trascorsero la notte per sistemare le reliquie in una cassa lignea ricoperta delle stoffe comprate ad Antiochia. Entrarono nel porto di Bari nel pomeriggio della Domenica 9 maggio, accolti da una folla festante”. Ma dopo le manifestazioni di gioia, nacque il problema della persona a cui consegnare le reliquie. “Salito sulla nave delle reliquie, l’abate benedettino Elia le prese in consegna con la promessa di tenerle nel suo monastero fino a che i capitani e il popolo non avessero preso una decisione. L’arrivo dell’arcivescovo Ursone due giorni dopo, invece di semplificare  il problema, lo complicò, mostrandosi Ursone deciso a portare le reliquie in cattedrale. Il suo tentativo di impadronirsene provocò uno scontro armato con due morti e molti feriti. Finalmente l’arcivescovo si rassegnò e concesse che il palazzo dell’antico governatore bizantino (Catepano) venisse trasformato in chiesa, di modo che Nicola avesse in città un suo proprio tempio. I lavori iniziarono l’8 luglio e a dirigerli fu quell’abate Elia che poi, alla morte di Ursone (14 febbraio 1089) fu eletto arcivescovo dal popolo unanime. Il 1° ottobre del 1089 venne il papa Urbano II proveniente da Melfi e repose le reliquie sotto l’altare della cripta alla presenza dei conti normanni e della duchessa Sichelgaita. Intanto, con la sua Historia Translationis, rivolgendosi all’Europa, Giovanni Arcidiacono annunciava: “A tutte le chiese di Cristo rendiamo noto che dalla città di Mira, trasportate per mare dai Baresi, sono giunte a Bari le reliquie di S. Nicola”. Le fonti narrative dell’impresa sono: 1) Niceforo, pervenutoci in una redazione greca e tre latine: la Greca è edita in G. Anrich, Hagios Nikolaos, I, pp. 435-449; la Vaticana fu edita dal Falcone, Acta Primigenia, cit., pp. 131-139 (mentre quella del Nitti di Vito in Japigia 1937 appare zeppa di errori); la Beneventana da N. Putignani, Istoria della vita, de’ miracoli e della traslazione del gran taumaturgo san Niccolò, Napoli 1771, pp. 551-568; la Gandavense o Compilatore franco, fu  edita in Analecta Bollandiana,  4 (1885), pp. 169-192; 2) Giovanni Arcidiacono ci è pervenuto in una trentina di codici. Per l’edizione critica vedi G. Cioffari, Giovanni Arcidiacono: l’Historia Translationis sancti Nicolai nell’Europa Medievale, in Nicolaus Studi Storici, 2011, ½, pp. 43-108; 3) Il racconto russo composto tra il 1093 ed il 1095: Slovo o perenesenii sv. Moščej sv. Nikolaja Mirlikijskago, edito da Makarij Bulgakov, Materialy dlja istorii Russkoj Cerkvi, Duchovnyj Vestnik 1862 (t. I) e di nuovo nell’Isatorija Russkoj Cerkvi, II, Spb 1889, pp. 327-331; 4) In Litiae Provintia, cod. British Museum Tiberius B, V, part I, poemetto edito da Walter de Gray Birch, The Legendary Life of St Nicholas, The Journal of the British Archaeological Association, Part II, London 1888, pp. 245-255 (particolarmente 254-255). Tra le fonti cronachistiche si segnalano gli Annales Farfenses, Augustani, Ottenburani,  Leodienses, Rosenveldenses,  Beneventani, Admuntenses, Cavenses, Lupi Protospatharii, Sancti Iacobi (tutti editi nei Monumenta Germaniae Historica), quindi Chronica Sigeberti Gemblacensis, Anonymi Barensis,  Lamberti Audomarensis, Casinensis; Auctarium Garstense e Claustroneoburgense. Vari atti pontifici, fra cui la bolla di Urbano II del 5 ottobre 1089 (CDB I,  doc. 33). La Manna di S. Nicola è l’acqua che si forma nella tomba del Santo e che si formava già nella Basilica di Mira. “Nelle due relazioni dell’epoca (Niceforo e Giovanni Arcidiacono) è detto che le reliquie galleggiavano in un sacro liquido allorché i baresi se ne impadronirono. Nel corso dei secoli sono stati usati termini diversi, come oleum oppure unguentum (i russi dicono myro, e i greci myron). In realtà si tratta di un’acqua (analizzata nel 1925 dal Laboratorio di chimica dell’Università di Bari) di particolare purezza, la cui origine viene diversamente spiegata. Per alcuni si tratta di un vero e proprio miracolo e, come in alcune liturgie viene sottolineato, sgorgherebbe dalle ossa del Santo (altre liturgie dicono dai marmi della tomba). L’argomento addotto, a parte la tradizione mirese, è la constatazione che le ossa restano assolutamente chiuse durante l’anno, e che il foro viene aperto soltanto la sera del 9 maggio alla presenza di una grande folla. Per altri si tratterebbe, invece, di un fenomeno chimico analogo a quello di una condensazione vaporosa e comunque di un fenomeno naturale. Il blocco alla base è leggermente scosceso verso il centro, il che permette appunto la raccolta della Santa Manna”. I Padri Domenicani, cui la Santa Sede ha affidato la Basilica di San Nicola dal 1951, hanno scelto una linea discreta. “La devozione non viene abolita in quanto l’acqua che si forma nella tomba è effettivamente una reliquia, essendosi trovata comunque a contatto con le ossa del Santo. Molti fedeli hanno affermato di averne ricevuto consolazione. D’altra parte, non viene neppure incentivata, per evitare che aspetti della fede personale siano equivocati come di valore universale e necessario. Si precisa, tuttavia, che l’acqua che viene distribuita in boccettine nella Sala delle Offerte non è l’acqua che si è formata nella tomba del Santo durante l’anno. Infatti, normalmente si raccoglie una quantità media di mezzo litro o poco più, e quindi su migliaia di devoti se ne potrebbero accontentare ben pochi. Quella che viene distribuita proviene da grandi boccioni di acqua benedetta, in cui è stata versata la “manna” raccolta il 9 maggio”. Famosi sono i miracoli di San Nicola. Molto spesso nei quadri o nelle statue di S. Nicola si vede un ragazzo che porge un vassoio con sopra una caraffa. In altre raffigurazioni il ragazzo è quasi un bambino che viene afferrato per i capelli da S. Nicola mentre dei Saraceni a tavola guardano in alto. “Trattasi di un celebre miracolo accaduto dopo l’anno 826, quando i Saraceni, che la facevano da padroni nel Mediterraneo, conquistarono anche l’isola di Creta. Il giovinetto Basilio era figlio di un contadino molto devoto di S. Nicola. La sera del 5 dicembre si recò in chiesa per i vespri che si celebravano in onore del Santo. Durante la preghiera, ecco irrompere una folta schiera di Saraceni che selvaggiamente si diedero ad uccidere donne, vecchi e bambini. Le fanciulle e i giovani vennero invece legati e portati via con loro. Così anche Basilio fu portato via e donato all’emiro di Creta, che permetteva le loro scorribande nei paraggi dell’isola. L’emiro, ammirando la bellezza del giovane, dispose che facesse da coppiere alla sua tavola. E così Basilio cominciò questa nuova vita, non tanto dura ma amareggiata dalla schiavitù e dall’esilio”. Trascorse così un anno. “Giunto nuovamente il giorno della festa di S. Nicola, il giovane fu colto dalla malinconia e a un certo punto cominciò a piangere. L’emiro, che pure gli voleva bene, gli chiese perché piangesse. Basilio gli rispose che stava pensando alla sofferenza dei genitori, che sicuramente ora più che mai soffrivano al ricordo della circostanza della sua scomparsa. Infatti, in quel momento i genitori stavano discutendo, poiché la moglie non si capacitava come il marito si stesse preparando alla festa del Santo pur sapendo che proprio in quell’occasione era stato rapito il figlio, del quale non avevano saputo più nulla. Il marito, che a malapena nascondeva il suo dolore, le disse che la disgrazia non doveva farli chiudere in uno sterile dolore”. Dovevano invece aver fiducia nel Santo. “Se il figlio era scomparso durante la sua festa, chissà che anche durante questa festa non fosse riapparso.
La moglie ascoltò le parole del marito, ed anche lei si accinse alla preghiera e alla festa.
Intanto a Creta, l’emiro, che non intendeva perdere il giovinetto, cercò di distoglierlo da quei pensieri. Poi, visto che non gli riusciva, gli disse che era meglio non nutrire inutili e vane speranze: ‘tanto nessuno ti può aiutare – disse – nemmeno quel Nicola che tu onori e che i tuoi genitori stanno festeggiando’. Non aveva finito di pronunciare l’ultima parola, che un vento si levò diventando sempre più impetuoso”. Ad un tratto il giovane scomparve alla vista dei Saraceni che stavano banchettando e che rimasero trasecolati. “In quell’istante i cani nel giardino del padre di Basilio cominciarono ad abbaiare. Pensando all’arrivo di altri ospiti, i genitori uscirono e videro un giovane vestito alla maniera dei Saraceni. Non lo riconobbero, ma in onore di S. Nicola lo accompagnarono dentro per dargli ospitalità. Qui, ad un bagliore più vivido di luce, lo riconobbero e lo abbracciarono, mentre Basilio faceva fatica a rendersi conto della situazione. Quando gli chiesero che cosa fosse successo, Basilio rispose di non saperlo. Ricordava soltanto che stava servendo a tavola dell’emiro e che le ultime parole di questi erano state: ‘Neppure il tuo S. Nicola può salvarti’. Si era levato un vento impetuoso ed egli si era sentito trasportato in alto, e poi si era ritrovato nel giardino di casa”. Si può ben immaginare come la gioia inondasse i cuori non solo dei genitori ma di tutti i devoti del Santo. In un’epoca in cui i Saraceni con le loro scorrerie terrorizzavano i cristiani, questo miracolo di S. Nicola fu sicuramente il più celebre. “Anche nel mondo occidentale divenne famoso e gli scrittori lo rielaborarono chiamando Basilio Adeodato, l’emiro Marmorino e così via. La vicenda di Basilio, intrecciata con altre che vedevano ancora in scena i Saraceni, costituirono uno dei pezzi teatrali più antichi apparsi in Europa”. Le storie di S. Nicola non sono state narrate tutte allo stesso modo. Ogni popolo le ha rielaborate secondo la sua sensibilità. Ogni copista medioevale ci metteva del suo, quando proprio non incorreva in qualche errore di traduzione o copiatura. Da una di queste sviste nacque la leggenda di S. Nicola più famosa in Occidente.
“Come si è detto in precedenza, l’episodio più importante e più storicamente documentato è quello che vide il nostro Santo intervenire a salvare tre innocenti dalla decapitazione, fermando la spada del carnefice. Da qualche tempo, però, nel mondo cristiano la parola ‘innocenti’ veniva spesso usata come equivalente di bambini (pueri). Così, ad esempio, i bambini uccisi dal re Erode (per timore che fra essi sorgesse il re d’Israele) avevano dato adito alla Festa degli Innocenti che si celebra dopo il Natale. D’altra parte, nelle storie di S. Nicola raramente si diceva che aveva salvato tre uomini oppure tre cittadini di Mira. Per abbreviare e per indicare l’innocenza di quei condannati a morte, più spesso si diceva che Nicola aveva salvato tre innocenti. A quel punto qualche scrittore fece un po’ di confusione, affermando che Nicola aveva salvato tre bambini, invece di dire che aveva salvato tre innocenti. Il primo a dare questa erronea traduzione sembra che sia stato Reginold, uno scrittore tedesco che nel 961 dopo Cristo fu eletto Vescovo proprio per aver scritto una bella Vita di S. Nicola intercalata da brani in musica. Invece di ‘innocentes’ Reginold usa il termine pueri, insinuando nella mente dei fedeli che si trattava di una storia diversa dall’episodio della liberazione di tre innocenti dalla decapitazione”. Nel corso di circa un secolo e mezzo la storia dei bambini salvati da S. Nicola entrò anche negli inni sacri e poco a poco venne elaborato un racconto vero e proprio seguendo due linee principali. “Secondo una prima versione, il fatto sarebbe accaduto mentre Nicola si recava al Concilio di Nicea. Fermatosi ad un’osteria, gli fu presentata una pietanza a base di pesce, almeno a quanto diceva l’oste. Nicola, divinamente ispirato, si accorse che si trattava invece di carne umana. Chiamato l’oste, espresse il desiderio di vedere com’era conservato quel ‘pesce’. L’oste lo accompagnò presso due botticelle piene della carne salata di tre bambini da lui uccisi. Nicola si fermò in preghiera ed ecco che le carni si ricomposero e i bambini saltarono allegramente fuori dalle botti”. La preghiera di Nicola spinse l’oste alla conversione, anche se in un primo momento questi aveva cercato di nascondere il suo orribile misfatto. “La seconda versione della leggenda non parla di bambini, ma di scolari. Un nobile di un villaggio presso Mira, dovendo mandare i figli ad Atene per continuare negli studi, disse loro di passare da Mira a prendere la benedizione del Vescovo Nicola. Essendo questi assente, essi non poterono incontrarlo e, giunta la sera, cercarono una locanda. Vedendoli benestanti, l’oste entrò di notte nella loro camera e li uccise, prendendosi i preziosi vestiti. Non contento, mescolò le loro carni con altra carne salata, per darle agli avventori. Il giorno dopo Nicola, divinamente avvertito, si recò dall’oste chiedendogli della carne. L’oste gli mostrò la carne conservata, aggiungendo che era buona da mangiare. Nicola attese sperando nel suo pentimento, ma quello non diede segni di resipiscenza”. Allora il Santo benedisse quelle carni e i tre scolari tornarono in vita. “Con la sua preghiera e le sue esortazioni, finalmente l’oste si pentì e promise di condurre una vita virtuosa. I tre scolari, come risvegliandosi dal sonno, presero le loro cose e ripresero il viaggio per Atene. Ovviamente vi furono tante varianti di queste leggende. In molte di esse un ruolo importante e negativo svolge la moglie dell’oste”. Ma le due più diffuse sono queste appena riportate, che diedero adito alla nascita del patronato di S. Nicola sui bambini che, a sua volta, insieme all’episodio della dote alle fanciulle, fece sorgere la figura di Santa Claus (Babbo Natale). Dalla seconda versione nacque il patronato sulle scuole (insieme a Santa Caterina d’Alessandria e da Siena) e l’usanza folkloristica della festa studentesca del 6 Dicembre col particolare del Boy Bishop (il Ragazzo Vescovo). “Se in Russia S. Nicola è il difensore dei contadini, lo è altrettanto dei naviganti, come dimostra la fiaba di Sadkò, che ha ispirato musicisti come Rimskij Korsakov e Prokofev. Nella gloriosa città di Novgorod viveva un cantastorie che si chiamava Sadkò, il quale si guadagnava da vivere andando a suonare la sua gusla (una specie di chitarra) ai banchetti dei ricchi. Venne il tempo che veniva chiamato poco, cominciando ad avvertire le fitte della povertà. Un giorno mentre suonava la sua malinconia sulle rive del lago Ilmen, dalle acque uscì maestoso il Re del Mare: ‘Ehi tu, Sadkò, voglio ricompensarti per questa tua melodia. Torna in città e scommetti la tua testa che in questo lago c’è un pesce d’oro’. Sadkò obbedì, e tre mercanti accettarono la sua scommessa. Agli occhi di tutti dalle acque del lago apparve per tre volte un pesce d’oro”. Ormai ricco, il giovane cominciò a mercanteggiare, diventando sempre più ricco. “Col vizio delle scommesse affermò di poter comprare tutto ciò che passava da Novgorod. Un giorno però non ci riuscì, e con la perdita della scommessa riuscì soltanto ad allestire alcuni vascelli e tornare sul mare. Una tempesta però colse la sua flottiglia ed egli cominciò a gettare in mare tante cose per calmare l’ira del Re del Mare. Ma il Re del Mare voleva una viva testa, per cui gli equipaggi tirarono a sorte ed uscì proprio il suo nome. Gettato in acqua, si risvegliò negli abissi. Ed ecco il Re del Mare: ‘Ehi tu Sadkò, hai tanto navigato senza mai pagarmi tributi, in cambio suonami la gusla’. Al suono di quello strumento, le acque in superficie si mossero formando enormi e violente onde e le navi che passavano, affondavano. Allora tutti i naviganti cominciarono a pregare S. Nicola, invitandolo a sconfiggere o almeno calmare il Re del Mare. E Nicola sprofondò anch’egli negli abissi. Sadkò si vide apostrofare da questo vecchietto dai capelli bianchi: ‘Ehi tu, Sadkò di Novgorod, non suonare più la tua gusla!’. E il giovane: ‘Non posso obbedirti, me l’ha comandato il Re del Mare’. E Nicola: ‘Fatti furbo. Spezza corde e cavicchi, e dici che non puoi suonare più’. E Sadkò: ‘Ma così rischio di restare per sempre quaggiù!’. Al che il santo protettore dei naviganti rispose: ‘Il rischio c’è, perché il Re del mare ti tenderà una trappola. Farà sfilare davanti a te trecento belle fanciulle. Tu dici che non hai scelto nessuna di esse. Lascia passare anche le seconde trecento. Fra le terze trecento scegli l’ultima, una fanciulla di Cernava. Sposala, ma non avere rapporto carnale con essa nell’azzurro mare, altrimenti ci resti per sempre’. Sadkò fece come S. Nicola gli aveva detto, e si ritrovò festeggiato da tutti nella città di Novgorod. La sua guardia lo circondò d’affetto ed egli, grato al Santo, fece costruire la bella cattedrale di S. Nicola di Moíajsk, il Santo difensore della città e dei fedeli suoi devoti”. Nella fantasia popolare russa S. Nicola non è un Santo come gli altri. “È uno che per il popolo e specialmente per i deboli fa di tutto, ma proprio di tutto. Anche disobbedire a Gesù”. Come narra questa fiaba. “Una volta, essendo venuto a Gesù il desiderio di visitare la Terra, pensò che il compagno ideale fosse S. Nicola, colui che più capiva la povera gente. Una sera bussarono alla casa di una povera vedova con i suoi bambini. Quando chiesero da mangiare, la vedova ebbe un momento di esitazione pensando ai suoi bambini e sapendo che la mucca non dava latte perché stava per figliare. Poi accondiscese e, con sua grande sorpresa, il panino che mise a tavola, appena era addentato da Gesù e da Nicola, ricompariva integro sulla tavola. Anzi trovò anche la farina nel granaio e all’alba preparò per loro delle frittelle. Quindi Gesù e Nicola ripresero il cammino fra i campi verdeggianti. Un po’ stanchi, passarono vicino a un mulino, ma il padrone arrogante li cacciò: ‘Andate via, mangiaufo e fannulloni’. E li fece allontanare dai suoi servi. Giunti quindi al limitare di un bosco, si stesero per terra a riposare un po’. Ed ecco accorrere verso di loro un lupo grigio affamato: ‘Signore io voglio mangiare; sono tre giorni che giro senza trovare da mangiare’. E Gesù: ‘Vai dalla vedova del soldato. Ha una mucca bianca. Sbranala e mangiala’. Nicola non riuscì a trattenersi: ‘Ma Signore, è così povera e ci ha accolto bene!’. Ma Gesù fece segno al lupo che partì di gran carriera. Quando Gesù chiese a Nicola di raccogliere un po’ di rami secchi e accendere il fuoco, Nicola entrò nel bosco e come un fulmine cominciò a correre, arrivando alla casetta prima del lupo. Gettò fango sulla mucca, tanto da farla sembrare nera. Tornò quindi, sempre di corsa, da Gesù per accendere il fuoco. Intanto giunto alla casetta anche il lupo, quando vide una mucca nera e non bianca, come aveva detto Gesù, non se la sentì di mangiarla. Al mattino Gesù e Nicola ripresero il cammino, ed ecco di nuovo il lupo: ‘Signore, c’è soltanto una mucca nera?! E Gesù: ‘E allora mangia la nera’. Nicola avrebbe voluto vanificare l’ordine di Gesù e accorrere in aiuto della donna. Ma si trattenne. Durante la notte infatti aveva sognato di una botticella piena di monete d’oro che rotolava giù dalla collina. ‘Signore – aveva detto – diamola alla povera donna con i bambini che piangono’. E Gesù: ‘No Nicola, questa è destinata al padrone del mulino’. Ed infatti questi la ricevette, esclamando: ‘Peccato che la botticella sia una sola, sarei stato felice che fossero state una decina!’. Avvertendo la sete Nicola si avvicinò ad un pozzo ma, quale non fu la sorpresa, quando vide che questo brulicava di serpenti e all’orlo era legato il padrone del mulino fra sofferenze atroci. Finalmente più avanti trovò un altro pozzo, pieno di acqua fresca e pura. La donna coi bambini giocava felice nel prato. Ad un tratto sentì Gesù che lo chiamava: ‘Nicola, perché stai lì tutto questo tempo?’. E Nicola: ‘Come sarebbe, sono stato tre minuti!’. E Gesù di rimando: ‘Non tre minuti, ma tre anni’. Erano di nuovo in Paradiso”. Alla luce della Teoria della Relatività Generale di Einstein (1915) e del kolossal Interstellar di Cristopher Nolan, oggi parleremo di effetti indotti dalla curvatura gravitazionale dello spaziotempo! Scherzi a parte, “una volta, d’autunno, un contadino, mentre procedeva per una strada di campagna, affondò con il suo carro nel fango. Tutti sanno come sono da noi in Russia le strade. Se pensiamo poi che ciò avveniva d’autunno, allora non si possono neppure descrivere. Si trovò a passar di là San Cassiano. Il contadino, che non sapeva chi fosse, cominciò a supplicarlo: ‘Signore, aiutami a tirar fuori il carro’. Al che il beato Cassiano rispose: ‘Ma sei matto! Ci mancherebbe che mi imbratti i vestiti per te!’. E se ne andò per la sua strada. Non passò molto tempo ed ecco passare di là il beato Nicola. Quasi piangendo il contadino lo supplicò: ‘Bàtjugka, bàtjuglca, aiutami a tirar fuori il carro che è rimasto bloccato nel fango’. E San Nicola lo aiutò.
Arrivò il momento che il beato Cassiano e il beato Nicola dovettero fare ritorno in Paradiso. Dio chiese: ‘Dove sei stato, San Cassiano?’. Rispose: ‘Sono stato sulla Terra. Mi è capitato di passare vicino ad un contadino, il carro del quale era sprofondato nel fango. Mi ha chiesto di aiutarlo a tirare fuori il carro, ma io sono stato attento a non sporcarmi questo vestito paradisiaco’. Rivolto poi a San Nicola, Dio chiese: ‘E tu, dove sei stato per sporcarti a quel modo?’. Nicola rispose: ‘Sono stato sulla Terra. Stavo facendo quella stessa strada ed ho aiutato il contadino a tirare fuori il carro’. Allora Dio disse: ‘Ascolta Cassiano. Tu non hai aiutato il contadino, allora non avrai che una festa ogni tre anni. Tu, beato Nicola, poiché hai aiutato il contadino a tirar fuori il carro dal fango, sarai onorato con la celebrazione di due feste ogni anno’. E da quel momento così avvenne”. In onore di Cassiano la festività liturgica viene solo nell’anno bisestile, mentre in onore di S. Nicola ci sono due feste, una a Maggio e l’altra a Dicembre. La Polonia è ancora oggi una terra che venera molto S. Nicola. “A fianco al santo ieratico della religione, in Polonia c’è l’immagine popolare di Nonno Gelo, la controfigura orientale di Santa Claus. Come negli altri paesi slavi, anche in Polonia S. Nicola appare come un vecchio ma instancabile viandante dalla barba bianca. Abbastanza diffusa è la leggenda del piccolo Zelechy, nipote di un antico principe polacco. Dimorando una volta con la nonna, ricevette la visita del suddetto vecchio viandante che lo affascinò tanto, da decidersi a seguirlo. Nonostante che il ragazzo fosse stanco di camminare, Nicola volle continuare il viaggio, inoltrandosi nella foresta di Bjaloviez. Improvvisamente si aprì dinanzi a loro una radura, e videro una tribù raccolta intorno ad una grande quercia. Il sacerdote pagano, dopo aver tenuto un discorso, in cui aveva detto che la salvezza della tribù stessa dipendeva dai sacrifici umani in onore del dio Svjatowid, aveva spinto il figlio del capo tribù a poggiare il capo sulla pietra sacrificale. Ma il fendente che calò per decapitarlo non giunse a destinazione, perché Nicola lo deviò. Anzi, presa la spada, cominciò a tirar colpi alla quercia, considerata l’abitazione del dio Svjatowid, finché non cadde rovinosamente. Quindi ammaestrò quella gente sulla fine del paganesimo e sulla buona novella di Gesù Cristo”. La Francia è tra le nazioni dove più vivo fu il culto del nostro Santo, prima per la presenza dei Normanni che scelsero Bari come porto italiano verso Gerusalemme, poi per gli Angioini di Napoli. “Il santuario più famoso eretto in Francia, crocevia sulle vie dei pellegrini è certamente Saint Nicolas de Port. Le sue origini hanno elementi storici avvolti nella leggenda. Intorno all’anno 1110, di ritorno dalla Terra Santa, ove aveva partecipato alla Prima Crociata, il cavaliere Alberto si fermò a Bari. Qui ebbe la gradita sorpresa di trovare fra i custodi di S. Nicola, un suo lontano parente, il che gli fece nascere l’idea di portare con sé in Francia un dito di S. Nicola. Ne fece richiesta al custode, che inizialmente oppose qualche resistenza, ma alla fine cedette. Ripreso il viaggio e giunto in Lorena, Alberto repose la reliquia in una cappella sulle rive del fiume Meurthe, di fronte al Priorato di Varangéville, dipendente dall’abbazia di Gorze”. Dai naviganti che risalivano quel fiume la cappella era chiamata Port, perché un’insenatura permetteva l’attracco delle barche. “Ma la cappella di S. Nicola non acquistò fama solo per il patronato sui naviganti. Poco a poco le sue pareti si riempirono di catene. Erano gli ex voto di tanti prigionieri liberati per intervento del Santo. Il più famoso di questi era il sire di Rechicourt. Anch’egli era partito crociato insieme al duca Matteo, ma caduto in un agguato fu fatto prigioniero in Terra Santa. Per ben quattro anni fu chiuso in carcere in ceppi. Un giorno venne a sapere che del giorno dopo avrebbe visto solo l’alba, in quanto proprio allora sarebbe stato decapitato. Quella era la notte fra il 5 ed il 6 Dicembre”. Ricordandosi fors

del celebre miracolo dei tre innocenti liberati dalla decapitazione per intervento del Santo Vescovo di Mira, il Rechicourt pregò fervorosamente S. Nicola. “Ed ecco che dalla Terra Santa il Rechicourt si trovò subitaneamente dinanzi alla soglia della cappella di Port. Ancora steso a terra e sempre in catene lo trovò al mattino il sacrestano venuto ad aprire la Chiesa. Il miracolo fece un grande scalpore e le catene del cavaliere crociato furono appese alla parete in bella evidenza”. Ancora oggi l’episodio è festeggiato con la partecipazione alla festa di S. Nicola di tanti personaggi vestiti da cavalieri. Sembra che anche il famoso Santa Claus (S. Nicola) americano, comunemente tradotto in italiano con Babbo Natale (essendoci in Italia la Befana a fare le veci di S. Nicola) sia di derivazione olandese. “A narrare per la prima volta questa storia fu lo scrittore umoristico americano Washington Irving, nel suo “A History of New York” di Diedrich Knickerbocker (1809), una storia dei primi colonizzatori olandesi. Scrive Washington Irving: “Gli ameni resoconti fatti dal grande Hudson e dal signor Juet, sul paese che avevano scoperto, suscitarono non pochi discorsi e discussioni fra la brava gente d’Olanda. Fu all’incirca tre o quattro anni dopo il ritorno dell’immortale Hendrik, che un equipaggio di onesti colonizzatori della Bassa Olanda salpò dalla città di Amsterdam per i lidi dell’America. La nave sulla quale salparono questi illustri avventurieri si chiamava Goede Vrouw, buona donna di casa. L’architetto, che era un uomo alquanto religioso, lungi dal decorare la nave con idoli pagani, come Giove, Nettuno, Ercole (abominevoli paganità che, non ho alcun dubbio, sono causa di disgrazie e di naufragio per più d’un nobile vascello), egli, ripeto, al contrario, lodevolmente eresse sulla prua una bella immagine di S. Nicola, con un cappello basso a larghe tese, un enorme paio di calzoni corti fiamminghi ed una pipa che raggiungeva l’estremità del bompresso. Il mio trisavolo annota che il viaggio (1626) fu straordinariamente prospero, perché, essendo sotto la speciale protezione del sempre venerato San Nicola, la Goede Vrouw sembrava dotata di qualità sconosciute ai comuni vascelli. Giunti alla foce dell’Hudson, la comunità indiana di un piccolo villaggio fuggì impaurita. Incoraggiati da questa vittoria non cercata, i nostri gagliardi eroi scesero a terra trionfanti, presero possesso del suolo come conquistatori delle Loro Potenze gli Stati Generali; e marciando impavidi, presero d’assalto il villaggio di Communipaw, nonostante esso fosse vigorosamente difeso da una mezza dozzina di vecchie indiane e di bambini. Guardandosi intorno furono talmente trasportati dalla bellezza del luogo, che non ebbero il minimo dubbio che il beato San Nicola li avesse guidati lì, come al posto stesso sul quale fondare la loro colonia”. Dopo un excursus sulle prime vicende della nuova città di New Amsterdam, con succose meditazioni storico-filosofiche, Washington Irving riprende, sempre con spirito umoristico, il discorso sul patronato di S. Nicola e le tradizioni a lui legate. “Né devo tralasciare di riferire uno dei primi provvedimenti presi da questa giovane colonia, perché esso mostra il sentimento religioso dei nostri antenati, e come, da buoni cristiani, essi fossero sempre pronti a servire Iddio, dopo aver prima servito se stessi. Così dopo essersi tranquillamente sistemati e aver provveduto al proprio conforto, si ricordarono di manifestare la loro gratitudine al grande e buon San Nicola, per la sua affettuosa protezione nel guidarli in questo luogo delizioso. Allo scopo costruirono dentro la fortificazione una bella cappella che consacrarono al suo nome. Egli prese immediatamente la città di New Amsterdam sotto la sua particolare protezione, e da quel tempo, e io spero per sempre, sarà il Santo protettore di questa straordinaria città. In quegli anni lontani fu istituita la pia cerimonia, ancora religiosamente osservata in tutte le nostre antiche famiglie di buona tradizione, di appendere una calza sotto il camino alla vigilia di San Nicola: la qual calza al mattino viene sempre trovata miracolosamente piena; perché il buon San Nicola è sempre stato un grande elargitone di doni, specialmente coi bambini”. La narrazione di Washington Irving è condotta con fine umorismo, nobilitato da una notevole preparazione classica dell’Autore, il che non dovette essere estraneo all’onorificenza tributatagli dall’Università di Oxford. Dato però il carattere dell’opera, per quanto riguarda la storia della devozione e del folklore nicolaiano, sorge un problema che è stato diversamente risolto. Alcuni credono che l’umorismo è comunque basato su documenti autentici della prima colonizzazione olandese (E.Willis Jones). Altri che la figura di S. Nicola sia solo il parto della sua fantasia”. Senza Irving non ci sarebbe alcun Santa Claus americano, afferma Charles W. Jones. L’Olanda è una delle nazioni dove la festa di S. Nicola assume aspetti spettacolari. “È opportuno perciò soffermarsi su qualche motivazione. Come si è detto, poco a poco i bambini erano divenuti i prediletti del Santo, sia come scolari sia come beneficiari di doni. La penetrazione profonda di S. Nicola nel cuore dei bambini fu la causa della difficoltà che il protestantesimo incontrò nel debellare il culto di S. Nicola. Lutero aveva tuonato che ‘i doni ai bambini li porta Gesù Bambino e non S. Nicola’. Ma altri capi protestanti non vollero trasgredire la tradizione”. Il tentativo più violento di far fuori S. Nicola dalle chiese, venne però dall’Olanda nel XVII Secolo. “Se molti protestanti non seguirono l’esempio di Lutero, molti altri si mostrarono più ligi all’insegnamento del maestro, il che avvenne soprattutto fra i predicatori. Valga come esempio Martin Bohemus che, parlando a Lauban nel 1608, quasi parafrasando Lutero ammoniva: ‘C’è l’usanza che alcuni genitori mettono delle cose sul letto per i bambini e poi dicono che è stato S. Nicola a metterle, la qual cosa è una cattiva usanza poiché in tal modo i bambini sono diretti verso S. Nicola, mentre noi sappiamo che non S. Nicola ma il Bambino Gesù ci dona ogni cosa buona per il corpo e per l’anima’. In Olanda la guerra a S. Nicola i protestanti la fecero a colpi di nuove leggi repressive. Già l’8 Febbraio 1601 il consiglio comunale di Alkmaar adottava delle misure restrittive. Qualche anno dopo, e precisamente nel 1604, il predicatore Walish Siewerts esortava la gente a liberarsi di simili superstizioni e tornare alla vera religione. Finalmente a Grave fu emanato un decreto ben articolato quanto alle motivazioni: ‘Poiché è stato notato che la celebrazione di S. Nicola spinge molte persone timorate a notevoli spese e stimola la gioventù verso la superstizione, il magistrato della città di Grave, volendo impedire un tale abuso, ha vietato e proibito, e vieta e proibisce d’ora in poi a tutti i cittadini e abitanti di questa città di praticare la suddetta superstizione o di farla praticare ai loro figli o accogliere le calzature e le scarpe di legno da qualsivoglia bambino o permettere a questi di portarli o di metterli in qualsiasi posto. Quelli che faranno diversamente saranno puniti con la multa più alta possibile secondo il regolamento delle multe’. Un’ordinanza che fu ribadita nel 1615, nel 1620 ed ancora nel 1667”. Il fatto che questa legge venisse ribadita insistentemente fa pensare all’insuccesso nel farla applicare. Ad Arnhem fu il consiglio della chiesa locale ad esortare il magistrato a prendere provvedimenti contro la festa di S. Nicola ed ‘altre superstizioni simili’. “Il magistrato li accontentò emanando un decreto in data 3 Dicembre 1622 in cui veniva proibito l’uso delle calzature per fare trovare i doni ai bambini nonché la cottura di torte e pasticcini. Un’altra ordinanza fu emanata nella cittadina di Enkhuizen an der Zuidersee nel settentrione del Paese, e fu pubblicata nel Boek der Keuren en Ordonnantien van Enkhuizen. Ed anche qui l’ordinanza andava nei dettagli, specificando persino quali cose non potevano essere cucinate in occasione della vigilia di S. Nicola”. Ancora più drastico fu il consiglio comunale di Utrecht nel 1655. “Ad evitare che il decreto fosse raggirato dalla popolazione, estese la proibizione della festa di S. Nicola dalla vigilia a tutta la settimana, vale a dire dal Primo all’8 Dicembre (ook buyten den voornoemden tijd). Ed anche qui si specificava il senso della proibizione, che includeva cioè qualsiasi particolare cottura di biscotti e pasticcini”. In questo stesso periodo fu emessa ad Amsterdam l’Ordinanza n. 81 che deliberava quanto segue: ‘Poiché i magistrati di Amsterdam sono venuti a conoscenza che negli anni scorsi, nonostante la pubblicazione di specifici regolamenti locali, in occasione della vigilia di S. Nicola varie persone hanno sostato sulla diga ed in altri luoghi della città con dolci, cibi ed altre mercanzie, sì da attirare una gran folla da ogni parte della città, gli stessi magistrati per prevenire tali disordini ed eliminare dalle menti dei giovani le superstizioni e le favole papiste hanno ordinato, stabilito e dichiarato che per la vigilia di S. Nicola nessuno, chiunque egli sia, possa andare sulla diga o in altri luoghi o strade di questa città, con qualsivoglia tipo di dolci, cibi o altra mercanzia’. “È superfluo dire che queste ordinanze ottennero risultati trascurabili. Anzi, come spesso accade, la proibizione incentiva ulteriormente la voglia di fare una determinata cosa. Ed in effetti, nonostante l’ammonimento che si trattava di superstizioni papiste, la gente semplice continuò in questa tradizione ormai ben radicata. Per cui non deve neppure sorprendere che diversi artisti olandesi scegliessero la festa di S. Nicola quale tema per una propria pittura. Oggi i protestanti dicono che la devozione per S. Nicola in Olanda non esiste, e che è tutto folklore. Chissà”. Per costruire gli Stati Uniti di Europa insieme alla Russia, però, occorre l’intercessione di San Nicola. Come quella di Basilio, la vicenda dell’Immagine di S. Nicola in Africa è legata alle frequenti incursioni che subivano le popolazioni meridionali. “Qualche manoscritto parla di incursione saracena, ma diversi altri parlano dei Vandali. È comunque una delle narrazioni più antiche e famose del medioevo greco e latino. Durante un’incursione di Vandali in Calabria uno di questi barbari s’impossessò di un’icona di S. Nicola. L’aveva presa perché gli piaceva e stimolava la sua curiosità. Alcuni prigionieri cristiani lo informarono che il personaggio lì raffigurato era S. Nicola, un Santo molto potente. Tornato in Africa e dovendo allontanarsi per affari, gli venne la strana idea di mettere alla prova la potenza del Santo. Mise quell’icona sulla soglia di casa, dicendosi che se il Santo era così potente sarebbe stato anche un buon guardiano dei suoi beni, non permettendo ai ladri di commettere la grave ingiustizia di portarli via. Fatto questo, partì, restando alcuni giorni fuori città. Quando finalmente tornò, entrando in casa restò senza fiato, in quanto a parte l’icona che era stata lasciata al suo posto, la casa era stata interamente saccheggiata dai ladri. Si rivolse allora al custode, cioè a S. Nicola che lo guardava dall’immagine. Era ormai convinto che o non era il Santo così potente di cui parlavano i cristiani oppure aveva svolto male il suo ufficio di custode della casa. Meritava comunque una punizione. Prese allora una frusta e, dato che aveva tradito la sua fiducia, cominciò a colpire l’immagine del Santo, picchiandola per averlo tanto danneggiato a causa della sua trascuratezza. Quella notte stessa S. Nicola apparve ai ladri che stavano ancora dividendosi la refurtiva, e li apostrofò con asprezza e con minacce. Senza frapporre indugi, i ladri, che erano ancora intenti a spartirsi il malloppo, raccolsero una ad una le cose che avevano rubato e riportarono il tutto nella casa del vandalo. Al mattino questi ritrovò tutti i suoi beni e capì che S. Nicola aveva voluto ristabilire la giustizia restituendo i beni al legittimo proprietario. A quel punto comprese anche la grandezza di Nicola e si convertì. Anzi, dedicò parte del denaro recuperato alla costruzione di una cappella in onore del Santo”. Questo fu anche uno dei miracoli più celebri attribuiti a S. Nicola nel medioevo. “In particolare, l’apparizione del Santo ai ladri fu una delle scene forti de Le jeu de Saint Nicolas di Jehan Bodel (1190 circa), uno dei primi e più apprezzati pezzi teatrali europei, anche per il suo vivace realismo linguistico. Tra scene di taverna (in stile Hobbit della Contea, NdA) e vita ladresca, tra gioco di dadi, furti, liti, ricettazioni, fiaschi di vino ed espressioni volgari, S. Nicola scende totalmente in mezzo al popolo. L’episodio dovrebbe essere anche all’origine del fatto che Shakespeare parli dei ladri come di Saint Nicholas’ clerks (servi di S. Nicola)”. Molti sono i racconti che stanno a significare l’importanza annessa da S. Nicola alle immagini che lo ritraggono e che vengono conservate a protezione della casa e della famiglia. “Quello del Patriarca è un racconto greco molto antico che è andato perduto, ma che nel medioevo fu ricopiato da monaci russi. Si narra che un certo Aggeo, su richiesta di Teofane (cui era apparso in sogno S. Nicola), dipinse tre icone, una del Cristo, una della Vergine e una di S. Nicola. Per la benedizione Teofane invitò il Patriarca, vale a dire il personaggio più importante di tutta la gerarchia ecclesiastica orientale. Nel racconto il Patriarca è chiamato Atanasio, ma si tratta certamente di Anastasio (730-754) contemporaneo dell’imperatore Leone III Isaurico, colui che aveva iniziato la lotta contro le immagini. Il Patriarca dunque si compiacque delle icone di Cristo e della Madonna. Alla vista poi di quella di S. Nicola esclamò: ‘E chi ha dipinto questa icona, questa immagine di S. Nicola di Myra? È una brutta immagine del figlio di Teofane e Nonna, che in questa forma di maestoso Santo Vescovo non gli somiglia affatto’. E ordinò ad Aggeo di dipingere S. Nicola con vestiti più modesti, e a Teofane di togliere quell’icona, lasciando solo quelle di Cristo e della Madonna. Triste per l’offesa arrecata a S. Nicola, Teofane si adeguò, depositando l’icona in un ripostiglio. Mentre erano ancora a tavola il Patriarca fu chiamato su un’isola. Nel viaggio la nave cominciò ad imbarcare acqua e ad affondare. Suo malgrado, secondo l’uso comune anch’egli invocò S. Nicola. Questi accorse, ma prima di aiutarlo gli ricordò come l’avesse offeso ed insultato quando aveva consigliato a Teofane di buttare via la sua immagine. Con la bocca che farfugliava e che ingoiava spruzzi d’acqua, il Patriarca riconobbe il suo errore, e Nicola, che non sa ricordare a lungo il male ed apprezza i propositi di conversione, lo prese per le mani e lo tirò fuori dai flutti. Una volta in salvo, Anastasio non solo fu fedele al suo pentimento, ma fece portare con tutti gli onori l’icona che aveva insultato nella Cattedrale di S. Sofia. Anzi fece costruire in onore del Santo anche una chiesa e un monastero. Ecco perché alcuni scrittori che vennero a conoscenza di questi ultimi fatti, invece di considerarlo come un nemico della vera Chiesa, cominciarono a chiamarlo di santa memoria”. Che S. Nicola si trovi bene nel mondo dei mercanti e del denaro non significa però che il concetto dell’onestà finisca in ombra, al contrario. Molto forte era nel medioevo l’immagine di S. Nicola protettore degli onesti e castigatore dei disonesti, senza badare alla fede in questione. La cosa principale nell’Uomo è che segua la sua coscienza e che tratti il prossimo con carità cristiana. In questo spirito e in questo contesto nacque il seguente racconto. “C’era una volta un uomo di fede cristiana che, caduto in povertà, era andato a chiedere una somma di denaro in prestito. Non avendo che cosa dare in pegno, convinse l’ebreo della sua buona fede giurando, su un’immagine di S. Nicola, che a tempo dovuto avrebbe pagato il debito. A suo tempo però non volle pagare, dicendo che aveva già saldato il debito. Andato dinanzi al giudice, fu chiesto al cristiano di giurare. Questi, che aveva nascosto il denaro nel bastone, chiese all’ebreo di reggerglielo mentre giurava, e dichiarò di avergli dato anche di più. Egli giocava sul fatto che mentre giurava, il denaro (nel bastone) era effettivamente nelle mani dell’ebreo. Assolto, il cristiano riprese il suo bastone”. Ma la Giustizia divina non tardò ad arrivare. “Sulla via del ritorno si stese sul ciglio della strada e si addormentò. Un uomo che stava guidando un carro non riuscì a tenere bene la strada e il carro sbandò, investendo il cristiano addormentato, uccidendolo. Sparsasi la voce, molti accorsero a vedere la disgrazia, come sempre accade in questi casi. Anche l’ebreo, preso da curiosità, vi si recò e, mentre guardava il povero disgraziato morto, gli sembrò di riconoscerlo. Fu poi certo che era il suo debitore quando vide il bastone spezzato e tante monete per terra. Preso da compassione per quell’infelice che aveva pagato a caro prezzo la sua disonesta furbizia, invece di prendere le monete, l’ebreo pregò S. Nicola di resuscitarlo. Appena vide che il corpo riprendeva vita, non pensò più al denaro, ma si fece cristiano e si battezzò”. Il senso di onestà, come mantenimento della parola data, è alla base di un altro racconto medioevale che fu molto apprezzato dai pittori di icone. Ogni tanto fra i miracoli di S. Nicola si vede l’immagine di un bimbo che, lasciando i genitori, va a posare una coppa su un altare. “Un uomo, al fine di ottenere una grazia, promise a S. Nicola una coppa d’oro. Avendo ottenuto la grazia, quell’uomo volle mantenere la promessa e commissionò ad un incisore la suddetta coppa. Quando il lavoro fu terminato, il signore ne fu talmente ammirato che pensò di tenere quella per sé, facendone fare un’altra per il Santo. Durante la navigazione per portare la nuova coppa a S. Nicola, il figlioletto cadde in acqua. I tentativi per tirarlo fuori risultarono purtroppo vani. Benché presi dalla disperazione, i genitori continuarono il pellegrinaggio, andando a porre il secondo calice sull’altare del Santo. Ma, con grande loro sorpresa, una forza occulta lo spingeva via. Essi tornavano a poggiare la coppa sull’altare, ma, come la lasciavano, essa ricadeva via. I genitori allora intuirono che la causa era il loro peccato per aver dato al Santo la seconda coppa, quella di riserva. Mosso a compassione, S. Nicola fece apparire il loro figlio, il quale però, sull’altare andò a mettere la prima coppa. E solo allora il dono fu gradito al Santo e i genitori poterono riabbracciare gioiosamente il figlio tornato dal fondo del mare”. C’è poi la storia del bimbo nell’acqua bollente. “Un’ostessa presso la quale una volta Nicola aveva alloggiato stava facendo il bagno al suo bambino. Come le dissero che Nicola era stato fatto Vescovo lasciò tutto e andò ad assistere alla sua messa. Al termine, ricordandosi che il fuoco avrebbe potuto accendersi e far bollire l’acqua in cui era il bimbo, corse a casa. Il fuoco si era effettivamente acceso e l’acqua bolliva, ma il bimbo, invece di morire, stava allegramente giocando con le bolle dell’acqua. Dopo averlo preso tra le braccia, corse fuori a raccontare il miracolo”. La vicenda del bambino indemoniato. “Un bambino era indemoniato e si strappava i vestiti e si mordeva le mani. La madre lo portò da San Nicola che benedicendolo lo liberò dal demonio”. La leggenda del diavolo e del bambino. “Un uomo della Lombardia era molto devoto di San Nicola e ogni anno invitava i chierici ad un banchetto. Un anno mentre si vestiva per andare in chiesa, la moglie gli disse di aver sognato che un leone con la zampa le aveva strappato la mammella e ne aveva succhiato il sangue. Recatisi in chiesa, a casa restò solo il bambino. Venne il diavolo in sembianze di viandante e chiese del cibo. Come il bambino gli portò il pane, egli lo prese e lo strangolò. Immaginate il dolore dei genitori quando ritornarono dalla liturgia in onore di San Nicola. Ma nonostante il dolore il padre volle invitare lo stesso i chierici a pranzo. Per cui ordinò di adagiare il bambino in una stanza e di chiuderla. Mentre i chierici mangiavano venne un pellegrino (“Signori, quello era San Nicola!”) che chiese del cibo ottenendo dal padre di poterlo consumare nella sua stanza, dov’era cioè il corpo del bambino. San Nicola lo chiamò e quello si alzò correndo tra le braccia dei genitori. La festa di San Nicola, che era già osservata, fu celebrata ancor più amorevolmente e gioiosamente”. Alcune leggende sono legate a personaggi storici. “Pietro Scolario da guardia imperiale fu inviato in guerra in Siria. Uscendone sconfitto l’esercito bizantino, Pietro fu fatto prigioniero e condotto a Samara. Attribuendo la sua disgrazia al fatto che, dopo tante promesse a Dio, non si era fatto monaco, Pietro pregò San Nicola promettendo, in caso di liberazione, di recarsi a Roma dal Papa e lì prendere la tonsura monastica. Dopo vari digiuni e penitenze e dopo aver seguito il consiglio di Nicola di pregare anche San Simeone, quest’ultimo lo liberò. Scomparso Simeone, Nicola accompagnò Pietro fuori città e lo mise in guardia dal venir meno alla promessa fatta. Prevenendolo, poi, Nicola apparve al Papa di Roma e gli raccontò l’accaduto. Gli rivelò anche il nome di chi stava venendo per farsi monaco. Recatosi al mattino in San Pietro, il Papa interpellò Pietro che restò sorpreso dal fatto che il Papa sapesse tutto di lui. Detto questo, il Papa gli fece la tonsura e lo consacrò a Dio secondo il voto che aveva fatto”. Cristoforo presbitero. “Cristoforo si mise in viaggio per andare a Mira a rendere omaggio al sepolcro di San Nicola e ad attingere la manna, il prezioso liquido che emanava dalle sue ossa. All’improvviso sopraggiunsero gli Arabi che lo catturarono e lo portarono a Creta. Condannato alla decapitazione, gli apparve San Nicola. Quando il barbaro vibrò la spada sul collo, terribile a udirsi, la spada fu scagliata lontano dalle sue mani e il supplice ne uscì illeso. Dopo alcune minacce, come il barbaro sentì che era stato Nicola ad operare il prodigio, di persona accompagnò il prigioniero al confine e lo lasciò libero”. Il miracolo di Euripo ha come protagonista il contadino Giovanni. “Questo lavoratore di Euribo, nell’Eubea, fu catturato e condotto in catene a Creta. In occasione della festa di San Nicola, Giovanni invocò il Santo ricordandogli gli atti di culto che gli aveva rivolto. Allora Nicola lo sollevò ‘trasportandolo’ come fece una volta un Angelo con Abacuc, e lo depose nel suo oratorio, chiamato anoforo, sul monte che sovrasta Euripo. Dopo una certa confusione alcuni passanti gli dissero dove si trovava e capì di essere stato liberato”. Giuseppe Innografo, uno dei maggiori poeti bizantini, fuggì dalla nativa Sicilia quando l’isola fu occupata dai Saraceni. “In viaggio verso Roma, fu catturato dai pirati cretesi e portato a Creta. Nel carcere gli apparve San Nicola e gli comunicò la morte di Leone l’armeno che aveva scatenato una persecuzione contro la venerazione delle icone. Il Santo di Mira lo esortò a cantare queste parole: ‘Affrettati, misericordioso, fa presto o pietoso, o nostro soccorritore, poiché volendo, tu puoi farlo’. Quindi San Nicola lo guidò fuori e, quasi volando, lo riportò a Costantinopoli”. Il sacerdote siciliano, protagonista di un altro miracolo, era un grande devoto del Santo. ‘Mentre stavo per iniziare il santo e incruento sacrificio – rivela – insieme a tutto il fedelissimo popolo, gli amareni, venendo dall’Africa, piombarono in massa su di noi e, dopo averci fatti prigionieri, volevano che al mattino io e alcuni altri divenissimo fonte di lavoro per un’acuta spada’. Stando in prigione, alla vigilia della festa di San Nicola, il Sacerdote soffrì non tanto per la prigionia, quanto per non poter celebrare la festa. Allora Nicola lo sollevò in alto riportandolo nella sua patria da grande distanza e gli disse: ‘Ecco realizzata la tua speranza. Celebra fedelmente la mia solennità’. Un pastore ladro, racconta un’altra storia, va a rubare bestiame e oggetti della vicina chiesa di San Nicola. Il custode del tempio dall’ira, arrivò a dire all’immagine del Santo: ‘Se non mi restituisci una per una le cose che stavano nella mia cella, non avrò nessuna prudenza ma, per offenderti, non cesserò di colpirti spietatamente per tutta la notte’. Nicola fece ammalare il pastore ladro, il quale rivelò il luogo della refurtiva. Dopodiché il Santo lo guarì. Famosa è la storia del tappeto. “Un uomo devoto di Costantinopoli è caduto in povertà. Non avendo più soldi si accorda con la moglie a vendere l’ultima cosa che resta di loro proprietà, un tappeto, e così poter preparare la festa di San Nicola. Andando al mercato incontra un vecchio che glielo compra per 6 monete, e che però subito lo riporta alla moglie di lui. Questa pensa che il marito non l’ha più venduto, e al suo ritorno lo rimprovera. Ma il marito le mostra il denaro datogli dal vecchio e allora tutti e due capiscono che il vecchio era San Nicola. Fanno perciò avvertire il patriarca, e con tutto il clero festeggiano il miracolo”. Gli orecchini d’oro sono l’ultima cosa che resta ad una coppia di Costantinopoli dopo che un brutto incendio ha distrutto la loro casa e i loro beni. “Quando la donna va a venderli per poter preparare la festa di San Nicola incontra un venerabile monaco che glieli compra per 24 monete. Poi rendendole anche gli orecchini la esorta a celebrare la festa di San Nicola, suggerendole di recarsi ogni anno in quel luogo ove avrebbe trovato sempre 24 monete. Così accade e a poco a poco i loro beni crebbero prodigiosamente”. Una leggenda racconta che “una volta un uomo ricco della località presso Costantinopoli era caduto in miseria e volendo celebrare la festa di San Nicola, pensò di vendere il suo mantello. Ma la moglie lo convinse a vendere la veste di lei, in quanto essa poteva restare chiusa in casa. Col denaro procuratosi comprò la farina e preparò una coliba, e col resto chiese al prete di cantare una veglia”. Le colibe sono delle torte o focacce che i cristiani d’Oriente preparano in particolari festività liturgiche. “Quando il Vescovo benedisse le colibe, egli invece di mangiarle ne portò alla moglie. Questa le conservò in una cassapanca e quando la riaprì le colibe erano diventate brillanti e rubini. Proprio in quel tempo l’imperatore Costantino aveva perso un rubino e quando gli dissero che l’aveva il povero, l’imperatore pensando che glielo avesse rubato lo minacciò di morte. Ma come quello gli narrò la cosa anche l’imperatore rese gloria a Dio e al grande San Nicola”. La storia dei grappoli d’uva è un racconto tanto frammentario che si può ricostruire solo nella sua sostanza. “Un povero abitava vicino al monastero di San Nicola. Il custode di una vigna gli diede un panierino con dei grappoli d’uva. Quando al mattino il povero si alzò trovò che l’uva si era trasformata in pietre preziose. Allora gridò: ‘Il grande Nicola ha fatto questo! Sia magnificato il nome di Nicola!’. E divenne ricco”. Il racconto delle “trecento monete” sembra una variante abbreviata dell’episodio delle tre fanciulle. “Un uomo divenuto vedovo e povero era rimasto solo con le tre sue figlie. Allora con le poche cose che gli restavano comprò un po’ di grano, vino e pesci, oltre a dei ceri per la festa del Santo. Una notte mentre dormiva, San Nicola lo svegliò urtandolo: ‘Alzati vecchio, e accendi la luce’. Come accese la fiaccola il vecchio trovò un involto di cento monete, e poco dopo altri due involti uguali. E fu così liberato sia dalla vergogna sia dal peccato”. Il sepolcro. “Un uomo ricco e pio camminando nei pressi della capitale trovò un cadavere abbandonato nei pressi di un monastero di San Nicola. Tornando qualche tempo dopo sullo stesso luogo incontrò un ragazzo che stava cercando il padre. Egli riferì che la salma era stata portata  nel monastero e lo accompagnò. Dopo aver pregato davanti al sarcofago il ragazzo chiese di vedere il padre. Aperto il sepolcro, invece del cadavere, trovarono un tesoro d’oro e d’argento, che diede un certo benessere anche ai monaci”. Il servo liberato. “Epifanio, un ricco signore di Costantinopoli, avendo dimenticato dove ha nascosto una grossa somma di denaro, immagina di averla affidata ad un suo servo. Non potendo questi consegnargliela, lo mette in ceppi. Il povero prigioniero innocente invoca San Nicola, il quale appare ad Epifanio e gli ordina di liberare il servo. Gli rivela inoltre dove aveva messo il denaro. Quando Epifanio si sveglia trova il denaro e libera il servo”. Giovanni e Tamaride sono due devoti di San Nicola, ma come Giobbe anch’essi sono provati dal Signore. “Un’irruzione dei Saraceni li priva di figli, figlie e beni. La moglie impedisce al marito di vendere il mantello e va a vendere una sua veste ereditata dalla madre. Un merciaio sta per acquistarla per cinque monete, ma sopraggiunge un povero monaco e la compra per sette. Il merciaio alza la mano per colpirlo ma questa si paralizza. Sopraggiunge la festa di San Nicola e mentre Giovanni e Tamaride accolgono in casa gli amici ecco che entrano i figli e le figlie che erano stati venduti al governatore della Siria e impiegati come servitori a tavola. Si può ben immaginare la gioia di tutti. Una volta nella chiesa di San Nicola anche il merciaio si vede guarire il braccio avendo toccato il vestito comprato da Nicola”. Il tesoro dell’imperatore. “Al tempo dell’imperatore Costantino c’era un povero suonatore di liuto che si recava sempre nella chiesa di S. Giovanni Battista. Questo Santo, visto che avevano sepolto un eretico nella sua chiesa, se ne uscì e andò a trovare San Nicola nella chiesa vicina. Qui chiese a San Nicola, famoso per le elemosine, di aiutare il suonatore di liuto. Nicola lo prese e lo guidò dov’era il tesoro dell’imperatore. Qui prese un sacchetto di denaro e glielo diede. Cambiando tenore di vita, suscitò sospetti tra i funzionari dell’imperatore che, chiamatolo, lo interrogò. Il suonatore raccontò tutto. L’imperatore gli lasciò il denaro e si tenne per ricordo il sacchetto che San Nicola aveva toccato”. Demetrio. “Ai nostri tempi – racconta lo Pseudo-Metodio – un tale Demetrio navigava da Costantinopoli in Tracia per andare al villaggio di Atyr a celebrare la festa di San Nicola. Una tempesta lo fece cadere in mare e mentre veniva inghiottito dalle onde fece in tempo a dire: ‘San Nicola aiutami!’. Si sentì sollevare in aria e si ritrovò a casa sua (ma egli non lo sapeva e continuava a gridare: ‘San Nicola aiutami!’). I vicini lo sentirono e andarono ad aprire. Sorpresi, poiché il giorno prima lo avevano visto partire, lo tempestarono di domande. Ma poi vedendo che tutti i suoi vestiti erano bagnati compresero il grande miracolo”. Il Navigatore solitario. “Un Saraceno egiziano in alto mare si trovò nel bel mezzo di una tempesta. Ricordando l’uso dei cristiani invocò San Nicola, promettendo in caso di salvezza di farsi cristiano. Apparve allora un uomo venerando che si mise al timone e condusse la nave fino alla rada di Antalya. Domandò se ci fosse una chiesa di San Nicola e, recatovisi, dall’icona riconobbe l’uomo venerando. Restò a vivere in quel luogo e ancora oggi i figli vengono chiamati figli del navigatore solitario”. C’è poi la vicenda di Giovanni, padre di Metodio. “Sin da giovane il padre dell’agiografo era devoto di San Nicola. Una volta navigando verso Otranto, giunto nel golfo di Taranto, la nave naufragò. I sette uomini di equipaggio si calarono in una scialuppa, ma anch’essa fu travolta dalle onde e tutti finirono in mare. Il padre gridò: ‘San Nicola aiutami!’. E il Santo lo salvò. Che cosa sono i miracoli celebrati di Elia ed Eliseo, o i prodigi di Mosè in confronto a questi? Solo Cristo ne fece simili, salvando Giona dalla balena e il primo fra gli apostoli Pietro, sprofondato durante una tempesta”. Il monaco Nicola. “Simeone Decapolita, uomo di santa vita, inviò il suo discepolo Nicola a svolgere il ministero presso Catabolo. Navigando, giunto all’altezza del Tritone, scoppiò una tempesta. Tutti invocarono San Nicola che apparve proprio al monaco Nicola dicendogli: ‘Coraggio, adesso ci sono io’. E, tra gioiosa sorpresa di tutti, il mare si calmò”. Antonio naufrago. “Antonio, un monaco del monastero della Vergine di Pelekanos a Costantinopoli, narrò quanto segue. In navigazione verso l’isoletta di Calcide per recarsi al monastero di Sàtoros, scoppiò una tempesta e la nave si rovesciò. Il superiore di Sàtoros inviò una barca con otto uomini per salvarli. Ma i passeggeri non resistettero e andarono a fondo. Antonio mentre sentiva di annegare invocò San Nicola. Ed ecco un uomo venerando lo prese per le spalle e lo risospinse alla superficie. Anche colui che lo tirò nella scialuppa di salvataggio si chiamava Nicola”. I ragazzi cretesi. “Un Venerdì Santo mentre i fedeli erano in chiesa a pregare, tre ragazzi andarono sulla spiaggia a giocare. Qui trovarono un ragazzo più grande e con lui sempre giocando salirono su una barca. Un’ondata più forte li spinse in mare e la barca fu trascinata al largo. I genitori accorsi si disperavano, mentre dei marinai si sforzavano inutilmente di raggiungere i ragazzi. Questi ultimi invocarono San Nicola che apparve (visibile solo a loro), diede loro da mangiare e li fece addormentare. Risvegliatisi il giorno di Pasqua, i ragazzi si ritrovarono di  fronte all’isola di Dia, poi con vento favorevole rientrarono al porto”. I tre cristiani. “Al tempo degli imperatori Probo e Floriano (276 d.C.) su una nave che si dirigeva a Costantinopoli c’erano 500 pagani, i quali presero gli unici tre cristiani e li buttarono a mare. Due di essi finirono su uno scoglio apparso all’improvviso, l’altro finì negli abissi e fu divorato da un cetaceo, nel ventre del quale c’era una nave con tanti morti. Trovò anche una borsa preziosa. Riuscì quindi a fuggire dal ventre del cetaceo e a raggiungere  i due compagni. Subito lo scoglio si mosse e raggiunsero Bisanzio accolti dal re Vatapon cui raccontarono l’accaduto. Giunsero anche i pagani e furono invitati a pranzo. Mentre mangiavano entrarono i cristiani e dal loro spavento capì che i cristiani avevano raccontato il vero. Prese i pagani e li buttò a mare”. Pare ragionevole pensare, dunque, nonostante l’ignoranza di molti docenti restii in Italia ad insegnare la Storia gloriosa dell’Impero Romano d’Oriente, che le testimonianze sulla universalità del culto di S. Nicola siano davvero numerose e costanti. L’autorevole “The Oxford Dictionary of Saints” lo definisce uno dei santi più universalmente venerati sia in Oriente sia in Occidente. Nel loro “The Book of Saints” i Benedettini di S. Agostino di Ramsgate lo definiscono uno dei santi più popolari della cristianità. Ancora più perentorio è “A Biographical Dictionary of the Saints” con la seguente dichiarazione: “Nicola di Myra, Vescovo e confessore, il Santo più popolare della cristianità, altamente celebrato da tutte le nazioni, specialmente dalla chiesa russa scismatica. Chiese e cappelle innumerevoli gli sono dedicate”. Anche per l’Enciclopedia Cattolica, il Santo di Mira e di Bari è uno dei più popolari sia della Chiesa greca sia della latina. Un segno palpabile della sua immensa popolarità è dato dalla diffusione del suo nome nel mondo intero, soprattutto se si considerano le sue varianti, nonché dal numero delle chiese a lui dedicate (…). Sin dai primi anni che seguirono alla traslazione di S. Nicola da Mira a Bari nell’Anno Domini 1087, in occasione dell’anniversario di questo avvenimento si organizzarono feste in onore del Santo. Addobbi di ogni genere, fiere, pellegrinaggi, messe solenni, processioni, bande, cortei di terra e di mare, e poi i fuochi pirotecnici, dovettero fare la gioia dei grandi e dei piccoli. La città celebra l’avvenimento più caratteristico della sua storia, che così diventa la festa della città di Bari. La figura di S. Nicola ha quindi un grande ruolo nelle relazioni interreligiose perché è il Santo più venerato nell’Ortodossia e specialmente nel mondo slavo. Famosa è la visita del Presidente russo Vladimir Putin, il 14 Marzo 2007, nella Basilica di San Nicola a Bari. I Padri Domenicani, alla luce della Storia miracolosa del Santo e dell’impegno di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo per la piena comunione tra Cattolici e Ortodossi, auspicano pertanto non solo una restituzione della sua festa liturgica a memoria obbligatoria, ma che si proceda eventualmente alla proclamazione di San Nicola quale Patrono dell’Ecumenismo Cattolico-Ortodosso. “Non si tratta tuttavia di un qualcosa che si è aggiunto sull’onda delle leggende, com’è il caso del suo patronato sui bambini – rivela P. Gerardo Cioffari OP – ma si radica in modo consistente nella sua personalità storica. La migliore espressione di questo aspetto è una delle più antiche preghiere liturgiche dell’Ortodossia che lo invoca come “Regola di fede e immagine di mitezza” (kanona pisteos kai ikona praòtitos, pravilo very i obraz krotosti). Il che tra l’altro è ben reso anche dagli sviluppi iconografici che all’immagine dell’uomo fiero ed energico (difensore dell’ortodossia della fede), prevalente fino al Secolo XI, succede la figura dell’anziano Vescovo benedicente. Tutti questi aspetti del culto si radicano nella sua personalità storica che univa ad una grande fermezza nella fede (lotta alle eresie e al paganesimo) un’altrettanto decisa propensione al dialogo. A dire il vero ci è pervenuto un solo episodio in tal senso, ma la fonte lascia intendere che questo era il carattere di S. Nicola”. La fonte è Andrea di Creta, uno dei più celebri scrittori sacri bizantini, vissuto fra il 660 ed il 740. “Nell’encomio di S. Nicola, composto prima della crisi iconoclasta del 726, egli riporta un episodio che non si trova in nessun’altro autore: la conversione del Vescovo Teognide. Il contesto è ovviamente l’aspro dibattito provocato dall’eresia ariana che negava la perfetta identità di natura tra il Padre e il Figlio nella Santa Trinità. Nicola era molto preoccupato che a vincere non fosse la retta fede, ma ciò che lo distingue fra tanti padri del tempo, come ad esempio Atanasio, è il suo deciso impegno al dialogo”. Ecco le parole di S. Andrea di Creta: “Chi del resto non ammirerà la tua magnanimità ? Chi non proverà stupore del tuo eloquio dolce, della tua mitezza, o del tuo carattere pacifico e supplichevole? Ci riferiamo a quella volta che tu, come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora Vescovo della chiesa dei Marcianisti. La discussione procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e lo riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una certa asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo e dicesti: ‘Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira’ (Andrea di Creta, Encomium S. Nicolai, cap. VII). In altre parole Nicola incarnava il vero spirito dell’ecumenismo: amore per la Verità ed amore per chi la pensa diversamente in materia di fede. “L’auspicio che si proclami Nicola santo dell’Ecumenismo, oltre che sul carattere ecumenico della personalità storica di Nicola – osserva P. Gerardo Cioffari OP – poggia su un ulteriore dato di fatto: nessun Santo è così universalmente noto e amato come S. Nicola. Altri santi godono di un culto superiore al suo in determinati luoghi. Nicola attraversa invece, come nessun’altro, il mondo cattolico, ortodosso e protestante. Nel mondo ortodosso Nicola non teme confronti, neppure con santi come Giorgio, Teodoro, Demetrio o Sergio. A Mosca, secondo il più recente prontuario del Patriarcato, a lui sono dedicate più del doppio di chiese di qualsiasi altro Santo (inclusi San Giorgio e San Sergio). La Russia ha addirittura inserito nel suo calendario liturgico la festa prettamente cattolica della Traslazione (1087) da Mira a Bari: ‘È giunto il giorno della festa radiosa, dice il tropario dell’Ufficio di Vespro, la città di Bari gioisce e con essa l’universo intero si rallegra, con canti ed inni spirituali. Oggi è la santa festività della traslazione’. Ed il contacio del secondo canone: ‘Come una stella si sono levate da Oriente verso Occidente le tue reliquie, o santo vescovo Nicola. Il mare è rimasto santificato al tuo passaggio, e la città di Bari per te si è riempita di grazia. Per noi sei apparso generoso taumaturgo, meraviglioso e misericordioso’. Nel mondo cattolico, pur non essendo vivace come nel medioevo, il culto di S. Nicola ha una grande diffusione, almeno a giudicare dal grande numero di chiese a lui dedicate. In gran parte tale diffusione è dovuta al fatto che il suo patronato si estende ad alcune categorie che hanno l’impronta dell’universalità, dalle fanciulle da marito (la dote di cui parlano anche Dante Alighieri e S. Tommaso d’Aquino) ai marinai (chiese a lui dedicate si trovano in tutte le città portuali) ai bambini (anche per successive commistioni con Babbo Natale). Benché restio al culto dei Santi, il mondo protestante conserva una notevole simpatia verso S. Nicola. Sia in Olanda sia in Germania un gran numero di chiese protestanti ha conservato l’antica denominazione (Nikolaikirche). A proposito della simpatia, si veda il bellissimo Inno di un pastore luterano (Hermann Goltz) in suo onore pubblicato sulla rivista Nicolaus Studi Storici. Per non parlare della rinascita del suo culto nel mondo anglicano (in Inghilterra vi sono 378 parrocchie anglicane a lui dedicate). Se mai un santo dovesse essere dichiarato Patrono del movimento ecumenico, nessuno sarà più accetto di S. Nicola. Infatti, se per il mondo ortodosso è il pastore esemplare, riuscirà particolarmente gradito al mondo protestante per il suo temperamento sensibile alla giustizia. Gli episodi della dote alle fanciulle povere e soprattutto l’atteggiamento energico verso le autorità (l’imperatore Costantino, il prefetto Ablavio, il governatore Eustazio), per ottenere giustizia a favore di cittadini innocenti, risponde esattamente all’impronta di impegno etico sociale che i protestanti perseguono nel Consiglio Mondiale delle Chiese”. Il particolare che la Basilica che a Bari conserva le reliquie del Santo sia una Basilica pontificia, curata cioè dai Padri Domenicani ma dipendente dalla Santa Sede, fa della memoria del Santo un elemento potenziale in grado davvero di assicurare le condizioni ambientali più favorevoli a qualsiasi dialogo ecclesiale nella carità. L’universalità del culto di S. Nicola non poteva non lasciare traccia anche nell’arte e specialmente nella pittura, che fra le espressioni artistiche è quella più vicina alla liturgia. Non sono mancati saggi ed articoli su questo o quell’aspetto dell’iconografia nicolaiana. I Padri Domenicani di Bari, alla vigilia del Grande Giubileo di Fondazione dell’Ordine (dal 2016) offrono alla Chiesa Universale anche una trattazione concisa e dettagliata dell’evoluzione della figura di S. Nicola nella pittura italiana, esaminando le opere dei maggiori artisti. “Parlando di una trattazione dettagliata non intendo dire esaustiva – avverte P. Gerardo Cioffari OP – in quanto parlare di tutti i dipinti di S. Nicola è praticamente impossibile. Sono pochi i paesini del mondo cristiano che non abbiano almeno un’immagine del nostro Santo, talvolta antica e non inventariata dalle Soprintendenze. E ciò vale, ovviamente, anche per l’Italia. Né dettagliata è la descrizione artistica delle opere, che ho riportato solo sinteticamente e rifacendomi alle tesi di studiosi competenti in materia, riservando a me soltanto la descrizione contenutistica e simbolica. Cosa che ho fatto anche nei miei precedenti lavori sull’argomento (Il vero volto di S. Nicola, Bollettino di S. Nicola, 1994, n. 7/8, ed Elementi narrativi dell’iconografia nicolaiana, Bari 1982).
Con questo studio ho voluto fare il punto delle conoscenze a cui sono pervenuto in questi anni di direzione del Centro Studi Nicolaiani, durante i quali numerosi amici di S. Nicola (valgano per tutti i nomi di Luciano Bissoli e P. Nicola Giandomenico di Assisi) hanno inviato foto e ritagli di giornali. Va da sé che tali contributi spontanei li ho considerati alla luce degli studi citati in bibliografia”. Poiché amiamo la Verità e la Pace vera che solo Dio può donare all’Umanità, augurando a tutti meravigliose festività natalizie, lunga vita e prosperità, abbiamo così deciso di svelare il Regalo speciale confezionato dagli piccoli aiutanti di Babbo Natale, gli Elfi di verde vestiti. I quali, oltre a monitorare lo spazio orbitale terrestre insieme agli amici Russi, sorvegliando i satelliti artificiali e le stazioni sperimentali, proteggono la Terra da ogni minaccia cosmica! Elfi che con i loro colori sembrano voler rendere omaggio anche alla nostra bandiera nazionale italiana durante le peggiore crisi economica e politica (ormai da otto anni) del Belpaese in tempo di pace. Perché è giusto capire la verità anche su questo candido personaggio, Babbo Natale, amico puro dei bambini, in un tempo santo come il Natale del Signore, capace di scacciare via ogni male da questo nostro povero mondo in crisi, assetato di libertà, speranza, amore e giustizia, colmo di incredibili contraddizioni e di spettacolari propositi positivi di sviluppo e grandezza: imprese spaziali pubbliche e private, medicina rigenerativa, tranquille vacanze in Israele, Siria e Palestina, moratoria mondiale della pena di morte e dell’aborto, difesa della Famiglia Naturale, del Lavoro e del Matrimonio tra l’uomo e la donna. Ma, allora, esiste veramente Babbo Natale? Chi è? Quanti anni ha? Perché le sue vesti sono rosse e la barba così candida? Come fa a distribuire i doni a centinaia di milioni di bambini in tutto il mondo nella stessa magica notte della Vigilia di Natale? Il cinema finora ha visto giusto con le sue “creature leggendarie”? Non è uno scherzo, ma sono domande talmente serie da mobilitare ogni anno persino risorse e forze spaziali, satelliti spia nucleari in orbita, del Comando strategico statunitense, canadese e russo della futura Nuova NATO. Non soltanto il Norad (www.noradsanta.org/) reso celebre dalla pellicola War Games. Un esperimento internazionale assolutamente da seguire perché il conto alla rovescia continua. Tutti i preparativi per il Lancio di Santa Claus dal Polo Nord sono in corso, mentre auguriamo Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutti gli Astronauti in orbita sulla Stazione Spaziale Internazionale, a 400 chilometri di quota, sopra le nostre teste, su quella magnifica stella artificiale arancione che sfreccia lassù nei cieli in compagnia della base cinese Tiangon-1. Ottime compagne celesti dei nostri amati Santi Presepi! D’altra parte non si può visitare Rovaniemi in Finlandia, la Casa di Babbo Natale, senza concedersi un safari in motoslitta o guidare una slitta trainata dalle renne. “Quest’anno gli Elfi di Babbo Natale sono più impegnati del solito per i preparativi” – fanno sapere dal Norad. Prendiamo spunto dalla suggestiva iniziativa americana, per proporre ai nostri Lettori, in attesa della loro Strenna di Natale più ambita, un esperimento mentale galileiano atto a dimostrare come altri miti e leggende, metropolitane e non (tra un congresso mondiale ambientalista e l’altro: chi e che cosa ci salveranno dall’aumento della temperatura media sulla Terra di almeno sei gradi Celsius nel XXI Secolo?) elaborate nel corso dei secoli dal tessuto sociale e culturale di un popolo, a 400 anni dalla scoperta del metodo scientifico ad opera di Galileo Galilei, siano ancora lunghi dall’essere ben compresi. Non per la loro complessità, bensì per la loro semplicità estrema. Miti e leggende, finti Ufo, oroscopi di Capodanno per ogni giorno dell’anno, cartomanzie, energie magnetiche, “guarigioni” miracolose e la Befana con la scopa, hanno molto in comune tra loro e continuano ad essere elaborati, modificati ed trasmessi ovunque sulla Terra, con ogni mezzo possibile e immaginabile. Fino a diventare magicamente, nelle camere di commercio del Belpaese, delle vere e proprie partite Iva sempre pronte ad essere munte per rimpinguare l’Erario! Vi siete mai chiesti perché vanno per la maggiore sui principali network televisivi e su Internet? Perché non si esce di casa, la mattina, per andare al lavoro, senza dare un’occhiata a quel che combinano le “stelle” di sedicenti astrologi e maghi imbonitori televisivi? Salvo poi capire che di bufale si tratta. Ma è stato provato scientificamente che semplicemente non esistono? Già, non esistono! Ma che significa “non esistono” nella nostra Realtà? Qual è la “realtà” dove esistono? Supponiamo che uno studioso di fenomeni strani (se fossero veri, violerebbero chiaramente tutte le leggi oggi conosciute della Natura, almeno nel nostro Universo, uno dei 10 alla 500ma potenza di possibili mondi, forse sovrapposti, secondo il fisico Stephen Hawking) invece di dedicarsi allo studio dello spiritismo o del paranormale, decida di dimostrare scientificamente la reale esistenza del Babbo Natale pubblicitario made in Usa. Come potrebbe fare? Egli citerebbe il fatto che milioni di persone, di solito molto giovani, credono nella sua esistenza e che la notte tra il 24 e il 25 Dicembre di ogni anno, in milioni di case chiuse a chiave compaiono effettivamente dal nulla doni e regali. Un bambino, in una nota pubblicità televisiva, ogni anno invita espressamente Babbo Natale a buttarsi dal tetto nel camino di casa, perché protetto da un soffice panettone! Ovviamente, il ricercatore in questione presenterebbe foto e prove materiali dell’evento, sostenendo che talvolta Babbo Natale è stato visto e fotografato. Famoso è il caso del doppio incidente di Roswell in New Messico (Usa) del Luglio 1947 quando il fenomeno Ufo, nato in Italia negli Anni Trenta ma vivo e vegeto in America già nel XIX Secolo, balzò all’onore delle cronache di tutto il mondo grazie all’interpretazione giornalistica in inglese del termine “piatti volanti non identificati”! Ma non è il solo. Accadde anche a Colle Val d’Elsa e Giulianova, in Abruzzo (Italia) nel 1958, con ben altre fortune. Infine il nostro esperto sfiderebbe gli scienziati scettici a dimostrare che lui si sbaglia e che queste testimonianze non sono valide. Se non si può provare che egli ha torto, direbbe, ciò significa automaticamente che ha ragione. Davvero? Come si potrebbe rispondere a questa sfida? Intanto si potrebbero usare pacificamente come cavie degli animali. Poiché Babbo Natale – si afferma – viaggia nel cielo su una slitta trainata da nove renne volanti, ciascuna con il proprio nome d’ordinanza (Saetta, Ballerino, Schianto, Guizzo, Cometa, Cupido, Tuono, Rufus e Rudolph), si potrebbe verificare se esistono renne che volano. Si pensa che tali animali oggi non esistano nella nostra realtà, ma uno scienziato pignolo potrebbe prendere diecimila renne e provare a spingerle una ad una giù da un precipizio per vedere se effettivamente volano. Naturalmente le associazioni animaliste e il tg satirico Striscia La Notizia, in forza delle leggi in difesa degli animali, interverrebbero subito. Ma se anche non lo facessero, lo scienziato, in via di verifiche, si troverebbe con tutti gli animali molto malconci, per non parlare della sua reputazione. Bene, avrebbe provato qualcosa? Potrebbe egli sostenere in modo inconfutabile che nessuna renna vola solo perché le sue non hanno volato? I sostenitori di Babbo Natale direbbero che forse esistono altre renne che invece sanno volare oppure che quelle esaminate non potevano farlo in quel momento, ovvero non volevano! Le persone che vogliono verificare l’affermazione che “Babbo Natale esiste veramente”, potrebbero mettere due milioni di osservatori neutrali in due milioni di case, scelte in base a rigorosi criteri statistici, ed aspettare la notte tra il 24 e il 25 Dicembre. In tutti i due milioni di casi si proverebbe che il fenomeno Babbo Natale (meglio noto come Entità B.N., per non parlare sempre di Alieni, ET e Ufo) non si è mostrato o che, se sono apparsi dei doni, sono da attribuire ad altre cause naturali. Questo varrebbe come prova della non-esistenza dell’Entità Babbo Natale? Certo che no. Ed allora nella duemilionesima e una casa non sorvegliata, l’Entità B.N. potrebbe manifestarsi davvero e con testimonianze firmate da persone insospettabili, anche se molto giovani, la prova spunterebbe fuori magari immortalata da un telefonino o da una videocamera. Ed allora come si risolve il problema? Il fatto è che è molto difficile dimostrare la non-esistenza di un fenomeno per definizione “eccezionale”. Come il funzionamento delle pale eoliche e degli attuali tetti fotovoltaici che dovrebbero appagare il nostro famelico appetito di energia planetaria, azzerando le emissioni di gas serra, rinunciando però all’energia termonucleare di pace! E, invece, spetta a chi ne sostiene l’esistenza, ossia la validità, fornirne delle prove convincenti. Insomma bisogna che si forniscano le caratteristiche e generalità di un signore vestito di rosso con la barba bianca, capace di volare su una slitta trainata da nove renne fatate e di introdursi in una sola notte in decine di milioni di case per consegnare due miliardi di regali confezionati dagli Elfi, e che si provi la sua effettiva esistenza nel nostro mondo. Al cinema funziona benissimo! Però affermazioni straordinarie richiedono prove altrettanto straordinarie, insegna Carl Sagan. Una tipica prova convincente è quella che conduce chiunque, anche scettico, a verificare e riprodurre il fenomeno fisico. Se ci si dice che le mele ed altri oggetti sulla Terra cadono sempre verso il basso, chiunque lo può verificare ogni volta che vuole, e la fisica è autorizzata a considerare questo fenomeno come conseguenza di una legge fondamentale della Natura, almeno nel nostro Universo, grazie alla Gravità. Ma se ci si dice che un famoso medium, in una notte senza luna del 1868, volò nell’aria per un metro fuori dalla finestra di un secondo piano e poi rientrò, ci aspettiamo come prova qualcosa di più del diario dei suoi amici buontemponi. La fantasia, tuttavia, va stimolata fin da piccoli per produrre da grandi strenne altrettanto interessanti, graziando i bambini dalle brutture del nostro mondo violento. Ne era ben cosciente il professor J.R.R. Tolkien, autore di memorabili capolavori come Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, di cui ricordiamo Le lettere di Babbo Natale (Bompiani) a cura della Società Tolkienana Italiana. Un’opera che non dovrebbe mancare nelle biblioteche domestiche. Sulla figura di questo Uomo del Natale si concentra anche una lunga serie di simbologie precristiane. Il 25 Dicembre come data della nascita (Incarnazione) di Gesù Cristo è una pura convenzione che la Chiesa Cattolica ha scelto appositamente per inserirsi in un tempo forte già presente nel calendario di numerosi popoli sia mediterranei sia nordeuropei. Nell’emisfero Nord della Terra, nei giorni che vanno dal 22 al 24 Dicembre, il Sole sembra fermarsi in cielo, fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore. In termini astronomici, in questo periodo il Sole “inverte” il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima (nell’emisfero Sud accade l’esatto contrario). Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna pian piano ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in Giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il Sole nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e “invincibile” sulle stesse tenebre. E proprio il 25 Dicembre il Sole sembra rinascere, ha cioè un nuovo Natale. Questa interpretazione astronomica da sola non può spiegare perché il 25 Dicembre sia una data celebrativa presente in culture e Paesi così distanti tra loro e per così lungo tempo. La festa del Dies Natalis Solis Invicti (Giorno della Nascita del Sole Invincibile) è stata resa immortale dal Cristianesimo, l’unica Religione autentica sulla Terra, fondata sulla Persona di Gesù Cristo, il Vivente. In J.R.R. Tolkien, professore cattolico di letteratura inglese, poi, l’intersezione fra la rinascita precristiana del Sole e l’avvento cristiano del Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, è ripresa nella parentela fra Babbo Natale (il figlio) e Nonno Yule (il padre), il secondo che origina il primo e il primo che dà senso pieno al secondo. E il Babbo Natale del professor Tolkien testimonia nel proprio nome scritto per intero, come Santa Claus possa sussistere soltanto alla luce del Natale cristiano. Giacché Nicola è Santo di Colui, Gesù di Nazareth, che si festeggia la santissima notte di quel Natale che in inglese, del tutto esplicitamente, si chiama Christmas. Molto più di una Festa della Vita per tutti. Da (far) amare sinceramente e da insegnare a tutti i bambini, al di là degli addobbi, delle luminarie, degli alberi veri o presunti, delle sfavillanti palline colorate, delle strenne e degli aumenti di tasse e bollette, ad uso e consumo di una classe politica e dirigente corrotta e parassitaria che in Italia sta facendo fallire e suicidare tantissime persone, lavoratori e imprenditori martiri del lavoro che non c’è! Dunque, molto più di una Tradizione, il Natale, che mai nessuno ci potrà togliere insieme al Presepe, è la Festa della Luce Divina. Assolutamente da difendere. Secondo l’Istat il 33 percento degli Italiani è fortemente esposto alla povertà assoluta. Ma nel 2014 i regali hi-tech sono i più desiderati: il 97 percento degli Italiani vorrebbe un computer di ultima generazione, anche se il 40 percento è stressato nella scelta d’acquisto. Il 31 percento degli utenti del Belpaese ammette di non saper distinguere tra le opzioni e i dispositivi disponibili. La Microsoft Corporation, la principale multinazionale informatica di Redmond nell’Oregon (Usa), ha intervistato oltre 7.500 persone in tutta Europa per indagare le loro preferenze per i regali di Natale e il loro approccio verso la scelta del gadget hi-tech ideale per i propri cari. Con il Natale la corsa ai regali è al culmine: milioni di persone in tutto il mondo sono all’affannosa ricerca del dono ideale. Quest’anno più che mai i “device” di ultima generazione sono in cima ai desideri dei cittadini di tutta Europa (78 percento) e soprattutto degli Italiani, sebbene siano considerati allo stesso tempo i più stressanti da cercare ed acquistare. È questo quello che emerge da una ricerca condotta da Microsoft in 17 Paesi europei, tra cui Italia, Austria, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Spagna e Ucraina. La ricerca e l’acquisto dei regali di Natale, rappresentano da sempre un momento critico, capace di dare vita a momenti di puro stress. In particolare, la classifica degli acquisti più complicati per i consumatori europei vede primeggiare i “device” tecnologici (39 percento) seguiti da abbigliamento (26 percento), gioielli ed orologi (11 percento), accessori per la casa (9 percento) e profumi (8 percento). Gli Italiani sembrano confermare questa tendenza, indicando nel 40 percento dei casi la tecnologia come fonte di difficoltà nella scelta, ma, a differenza dei cittadini degli altri Paesi, sono molto più tranquilli di fronte all’acquisto di vestiti (17 percento) forti di una tradizione di stile legata all’Alta Moda su misura, sartoriale e industriale, del Made in Italy. Dall’indagine di Microsoft, principale concorrente della Apple Inc. nella Guerra dei Pad e degli “iWatch”, emergono alcune delle principali motivazioni che gli utenti associano alla difficoltà di acquistare un dispositivo tecnologico: quasi la metà degli intervistati (49 percento in Europa versus 43 percento degli Italiani) trova l’acquisto di tecnologia il più dispendioso in termini di tempo rispetto a tutte le altre categorie merceologiche. Circa un quarto delle persone (27 percento vs. 31 percento) ammette di non saper distinguere tra le diverse opzioni e dispositivi disponibili, mentre un altro quarto (26 percento vs. 23 percento) crede che perderà troppo tempo tra la ricerca e l’acquisto. Fortunatamente i cittadini possono contare su diverse tipologie di aiuto. Se quasi metà degli Europei (44 percento) farà affidamento sulle recensioni online, gli Italiani rappresentano un’eccezione, ricorrendo alle opinioni degli altri utenti “esperti” solo nel 28 percento dei casi. I cittadini del Belpaese, invece, preferiscono di gran lunga recarsi direttamente nei negozi di tecnologia (36 percento) delle principali catene commerciali e chiedere agli amici più esperti (30 percento) potendo così contare sulle garanzie d’acquisto assicurate dalla legge italiana. I regali tecnologici sembrano diventare a Natale un punto di incontro nella battaglia tra i sessi. Solitamente uomini e donne sembrano naturalmente quanto di più diverso possa esistere anche in termini di gusti, decisioni ed abitudini. Secondo la ricerca Microsoft, però, a Natale la scelta di un regalo tecnologico di ultima generazione sembra unire entrambi i due mondi. Nella lista dei desideri per Babbo Natale, la tecnologia occupa un ruolo di primo piano, scelta dal 54 percento degli uomini (51 percento degli Italiani) e da oltre un terzo delle donne (38 percento vs. 34 percento). Quando si tratta però di chiedere un aiuto nella scelta del dispositivo ideale, gli uomini esibiscono tutto il proprio orgoglio e piuttosto che chiedere un consiglio, oltre la metà (52 percento) si affida alle recensioni sul web. Le donne, invece, preferiscono il contatto diretto (40 percento) e chiedono aiuto allo staff in negozio per scegliere il proprio dono giusto. Le differenze sono più marcate tra gli Europei. Dalla ricerca della Corporation di Redmond emergono alcune curiose differenze nell’approccio dei consumatori verso gli acquisti natalizi e la tecnologia. Se gli uomini Italiani trovano più stressante delle donne acquistare gadget tecnologici, i Bosniaci, invece, sono gli utenti che si sentono più tranquilli nell’acquisto di un regalo hi-tech (61 percento), seguiti dai Croati (57 percento) e dai Bulgari (56 percento). All’esatto estremo troviamo i Russi, sicuri solo nel 18 percento dei casi, nel regalare la tecnologia, indipendentemente dalle insensate sanzioni economiche confezionate dagli Usa e dagli stati vassalli. Diversamente dalla media europea, il 28 percento dei cittadini croati trova più stressante acquistare vestiti rispetto ai “device” (21 percento). Oggi il Bollettino di San Nicola è l’organo ufficiale della Basilica di Bari. Suo compito è diffondere il culto di San Nicola nel mondo, e far conoscere ai fedeli tutte le attività, religiose e culturali, che si svolgono in Basilica. Collaborano alla sua redazione, i frati Domenicani della comunità di San Nicola, aiutati da volontari esterni che forniscono notizie sul culto e sulla devozione del Santo in vari luoghi d’Italia e del mondo. Fondato dal Gran Priore Oderisio Piscicelli Taeggi nel 1906, la sua pubblicazione fu sospesa per lo svolgersi della Prima Guerra Mondiale. Terminato il periodo bellico la sua pubblicazione fu ripresa nel 1920 a cura dei Canonici della Basilica di San Nicola, che lo pubblicarono fino al 1949. Con la venuta dei Domenicani nel 1951, quali custodi della Basilica e promotori del culto del Santo e del dialogo ecumenico, fu iniziata la nuova serie del Bollettino nel 1952 e da allora ininterrottamente fino ad oggi tutti i devoti del Santo di Myra possono ricevere le notizie della Basilica, importanti catechesi e notizie riguardanti il dialogo ecumenico che si svolge nella Basilica Nicolaiana. A Babbo Natale hanno fatto di tutto in questi ultimi secoli. Lo hanno perfino reclutato per pubblicizzare una famosa multinazionale della bibita gassata e interpretare i più assurdi ruoli in alcuni assurdi film horror. Ma il vero Babbo Natale, Santa Claus, è il nostro Santo Vescovo Nicola, servo di quel Gesù Dio, Signore dell’Universo, che si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi, grazie al SI della beata Vergine Maria, Madre di Dio, e alla custodia di San Giuseppe. Gesù viene tra i più poveri dei poveri durante l’Impero Romano di Cesare Augusto. Anche chi non crede, non può non provare timore reverenziale di fronte al Mistero del Divin Bambinello che nasce nella grotta di Betlemme, immortalato nel film Nativity di Catherine Hardwicke. Un consiglio ai ricchi della Terra: fermate i Warlords; seguite l’esempio del miliardario Paul Allen e finanziate la libera ricerca scientifica e tecnologica di Pace. Merry Christmas, Buon Natale!

© Nicola Facciolini

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