Avevo appena pubblicato l’ultimo mio articolo di etimologia (storia dei significati e storia delle culture) il quale ha per titolo “il nome dei giorni della settimana”, quando, per i tristi fatti di questi giorni, è saltato alla ribalta della cronaca il nome del “settimanale” satirico Charlie Hebdo (insieme alle tragiche giornate che hanno stravolto la vita della Francia, dell’Europa e del Mondo).
Sapendo che “hebdo” è l’abbreviazione della parola francese hebdomadaire – italiano: ebdomadario; proprio: “settimanale” – mi sono quasi sorpreso con me stesso di non aver mai scritto un pezzo divulgativo su questo tipo di aggettivo.
Perciò, la mia prima reazione, da pubblicista dilettante, da linguista appassionato, da attento osservatore dei comportamenti umani, da curioso ricercatore delle influenza culturali, da illuso ottimista circa la possibilità di un umanesimo rispettoso e tollerante, è stata quella di parlarne subito. Ma, prima, ho pensato di esprimere tutta la solidarietà al giornale dilaniato, il cordoglio alle persone e alle famiglie colpite dal lutto, nonché la testimonianza alla Nazione offesa nei suoi principi di libertà e di democrazia, mostrando nello stesso tempo lo sdegno per una assurda violenza. Cosa che faccio subito: con alta nella mano – simbolicamente – la matita e la tessera di giornalista.
Tuttavia, a confronto con la prova suprema di libertà e di coerenza, scontata con la vita, che è toccata all’intera redazione di Charlie Hebdo, il mio lavoro di intellettuale e di giornalista oggi mi appare una tiepida testimonianza. La mia scrittura, una slavata pagina di disimpegno – ma solo apparentemente, a ben riflettere. Infatti nel mio articolo sui nomi della settimana, sulla falsariga delle argomentazioni di carattere linguistico, concludevo con una riflessione abbastanza interessante sulla commistione (influenze?, stratificazione?, selezione?) delle culture, che ha caratterizzato la storia del bacino del Mediterraneo; e in particolare, per quanto riguarda l’Europa, la cultura classica antica di derivazione greca e romana, quella ebraica; quelle universalistiche: ellenistica, poi cristiana; e per finire quella germanica, fino a quella araba, che porteranno il loro apporto nella cosiddetta Età di mezzo.
Perciò, continuerò a svolgere il mio lavoro intellettuale, di ricercatore e di divulgatore, con la speranza che la ambita “trasparenza della lingua” che di solito mi propongo possa esprimere un impegno morale e civile orientato alla conoscenza delle verità scientifiche, alla dignità della persona umana, al miglioramento del benessere dei popoli nella giustizia sociale, al rispetto reciproco nelle relazioni umane.
E con questa speranza concludo con la mia nota di etimologia. “Ebdomadario” , aggettivo e sostantivo, è parola anche italiana, per quanto in disuso. Ed è strettamente legata all’aggettivo numerale “sette”. Latino: septem; greco: heptà, hebdomàs (il numero sette), hebdomàda (settimana), hébdomos (settimo).
Nella lingua italiana oltre ad essere usata, come parola dotta, per dire appunto “settimanale” in una certa epoca si era specializzata per indicare o il libriccino dove sono raccolte le preghiere settimanali (in genere le antifone ai salmi) o, per traslato, la persona (il monaco corista) che durante la recita comunitaria dell’Ufficio divino era incaricato di intonarle.
Luigi Casale
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