Un vecchio signore ancora saldo e dignitoso, che lascia un incarico gravoso, ricoperto per due volte, mantenuto per senso di responsabilità, in un momento di profonda crisi per il Paese.
Giorgio Napolitano lascia ufficialmente il Quirinale, il giorno dopo il discorso di Renzi a conclusione del semestre italiano di presidenza europea, con una lettera formale inviata al presidente del Senato Grassi, a quello della Camera Boltrini e al capo del governo, in cui rassegna anzitempo le dimissioni ed apre, di fatto, la questione delle elezioni di un nuovo capo dello Stato che, secondo i desiderata di Renzi dovrà essere un “Re Travicello”, che lo aiuti a portare avanti il treno delle “riforme” senza creare ostacoli ed invece per la più parte del Parlamento, dovrebbe essere super partes, neutrale e non decisionista, diverso quindi dal suo predecessore, che è stato chiamato “Re Giorgio”, certamente non incolore, protagonista dello scontro politico e responsabile in prima persona della caduta del governo Berlusconi con nomina di Monti e, ancora della nomina di Enrico Letta ed infine di un arbitrato molto incisivo che ha in parte prodotto la nomina di Renzi.
Certamente, per quanto lo riguarda, mai nella storia repubblicana si era verificato che un presidente venisse riconfermato dopo il primo settennato ed altrettanto certamente la sua presidenza e mezzo sarà molto ricordata per le veementi polemiche, per il carattere, il tono, la sostanza politica che egli ha dato alla sua funzione.
All’estero è piaciuto e la stampa anglosassone lo ha definito più volte salvatore della patria, mentre gli osservatori tutti hanno molto apprezzato (più da fuori che dentro i confini nazionali) la sua costante capacità di intervenire nelle crisi politiche italiane con la ormai famosa “moral suasion” (una specie di preventivo intervento sulle controversie in corso) e con “esternazioni” reiterate anche su materie nelle quali, di solito, il presidente della Repubblica non interviene.
Il toto-nomi per la successione è partito già da tempo e la lista si allunga ogni giorno.
Renzi ha promesso che si farà presto, ma poiché lo stato della sua maggioranza è tutt’altro che solido, non è detto che la spunterà con un suo candidato.
Sembra certo che il premier potrebbe prevalere solo con una candidatura concordata con Silvio Berlusconi, ma l’allenza fra i due, nota come “patto del Nazzareno”, è fortemente minacciata dalle risse interne alle forze politiche che la compongono.
Inoltre, anche se il M5S e La Lega Nord sono nettamente minoritari, pure costituiscono ostocali nel gioco delle complicate alleanze che sono in ballo in queste occasioni.
I candidati che vorticano in numerose liste sono una trentina, ma è probabile che alla fine sarà eletto un trentunesimimo, tirato fuori dal cappello a cilindro di Renzi all’ultimo momento, con grande sorpresa per tutti.
Anche perché sono convinto che a Renzi serva un presidente “debole”, non troppo schierato, e disposto a un settennato “prudente”, al riparo delle norme previste dalla Costituzione vigente, piuttosto che un paladino delle riforme ma idee sue e molto chiare.
Tornando a Napolitano, sono con Sarina Biraghi e concordo che Napolitano sia riuscito ad evitare che una politica debole e contestata dagli italiani si avviluppasse in una crisi senza ritorno, ma che gli è chiara la fragilità ancora estrema del Paese.
Per questo non sparirà nel tramonto ma continuerà, a cominciare dal voto al suo successore e come senatore a vita, a dire la sua sul percorso delle riforme.
Egli ha ben presente che la riforma elettorale attende una stesura che rischia di modificarla ampiamente rispetto al testo uscito da Montecitorio e, per quanto riguarda la revisione costituzionale, i mutamenti che la camera potrebbe recare un depotenziamento al documento di palazzo Madama.
Per questo resterà attivo ed allerta, in coppia con l’altro ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, certamente più “pop” rispetto a lui che ha sempre avuto modi spicci e diretti, decisamente lontani dalla necessità di piacere a media e opinione pubblica, ma che non difetta certo di autorevolezza e coraggio decisionale, doti che anche dallo scranno senatoriale userà per richiami continui alla amara consapevolezza di quanto il sistema che, nel bene e nel male, ha retto le sorti dell’Italia repubblicana, sia attraversato da una crisi strutturale che parte da lontano., in una crisi accentuata dalla mancata stabilizzazione di un sistema bipolare o, ancor meglio, bipartitico, con pesanti ricadute sull’economia, alle prese con uno spaventoso tsunami che ha cancellato antiche certezze e ha permesso ad alcuni ‘poteri forti’ di mettere addirittura in discussione il nostro modello di welfare e reso la disoccupazione, soprattutto giovanile e soprattutto nel suo Sud, un autentico dramma.
Sul suo settennato e mezzo per alcuni restano macchie: come il “lodo Alfano”, vale a dire la legge n.124 del 2008 “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato”, considerato in realtà un salvacondotto per l’allora Cavaliere; o la grossa eco mediatica del suo coinvolgimento nelle cosiddette “trattative Stato-mafia”.
Tuttavia, sommando tutto, lo scenario è più che positivo ed il mandato, in un periodo difficile e gravoso, ricoperto con capacità e degno di gloria.
Carlo Di Stanislao
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