Il buco nei bilanci delle città italiane riducono la qualità dei servizi pubblici, gravano sulle spalle dei contribuenti creano ingiustizia civile e, il tutto, senza un deciso intervento del governo e della Corte dei Conti. Milano: spesa pro-capite euro 3.074. Bologna: spesapro-capite euro 1.700. Roma: spesa pro-capite euro 1.750. Napoli: spesa pro-capite euro 2.125.
La Pubblica Amministrazione, forte dell’incapacità del governo nazionale e degli organichiamati alla vigilanza, ha continuato a spendere e spandere anche durante questi anni di grave contrazione economica. Non si è tenuto conto che l’aumento della disoccupazione faceva diminuire la capacità contributiva con un calo delle entrate erariali. I buchi nei bilanci non hanno attivato le procedure di vigilanza né gli interventi per fermare l’emorragia. Le tre principali voci di spesa nei grandi comuni sono: competenze fisse per personale a tempo indeterminato, trasporto pubblico e gestione rifiuti.
Milano, nell’ultimo anno ha speso 3.880.739.341 euro.
Roma, 4.610.969.990 euro.
Bologna, 648.669.792 euro.
Napoli, 2.038.637.057 euro.
Padova, 384.126.554 euro.
Palermo, 847.127.849 euro.
Le maggiori città italiane hanno un costo pro-capite che supera di gran lunga la reale capacità contributiva dei contribuenti, questo anche perchè i contribuenti spariscono a vista d’occhio grazie alle mancate politiche di ripresa occupazionale. Alla faccia di Renziche ha comunicato all’Europa che le famiglie italiane si stanno arricchendo.
La spesa pro-capite supera nel 89% dei casi il reddito mensile, alle tasse locali vanno aggiunte le imposte dirette e indirette nazionali più il costo del lavoro. Il risultato è tanto assurdo quanto ingannevole, fino a cadere nel ridicolo viste le ultime dichiarazioni politiche.
In italia manca una legge che imponga un salario minimo e un tetto alle tasse per reddito. Un quinto dei contribuenti italiani è sulla soglia della povertà.
Un cittadino italiano single di qualunque città italiana con un reddito inferiore ai 1.300 euro mensili è un contribuente a rischio povertà, l’asticella sale a 1.500 se parliamo di una famiglia. Bisogna infatti considerare un livello minimo di spesa mensile necessario per acquistare un paniere di prodotti considerati essenziali per uno standard di vita dignitosa.
Un salario, così recita l’articolo 36 della Costituzione, deve essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto e in grado di assicurare un minimo vitale per il lavoratore e per la sua famiglia. A stabilire i salari ci sono i Contratti collettivi stipulati tra le parti: imprese e sindacati. Qualcuno non ha vigilato bene e qualcun altro non ha svolto il suo compito sindacale come doveva, forse, perchè entrambi i comparti, si sostengonofinanziariamente dall’attuale struttura politica, governativa a livello nazionale come locale.
I bonus sparpagliati alla rinfusa dal governo non hanno salvaguardato questa soglia minima, anzi, hanno ulteriormente intaccato il reddito del ceto più basso. Facciamo presente che un reddito annuo pari a 18 mila euro equivale a circa 1.500 euro al mese, con cosa dovrebbe vivere una famiglia?
Argomenti che dovrebbero essere oggetto di dibattito al Parlamento, di proposte, di ricerca di risoluzioni.
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