In attesa di un presidente che lo sostenga o, comunque, non lo ostacoli in Patria, arriva per Matteo Renzi l’assist del Vicepresidente della Commissione Europea Jyrki Katainen che, oggi, nel corso della sua audizione alle commissioni riunite Bilancio, Attività produttive, Lavoro e Politiche Ue di Camera e Senato, si è prefisso il doppio obiettivo di illustrare il piano di investimenti da 315 miliardi di euro messo a punto da Bruxelles e, al contempo, quello di mobilitare l’interesse di investitori pubblici e privati.
Nella sua prima giornata italiana a Roma Katainen ha detto che le riforme messe in campo dal Governo italiano “sono importanti” e, secondo lui, “tutte giuste” ed in grado di aumentare “la la competitività del Paese” ed ha promosso il Jobs act, che: “aiuterà ad assumere le persone ed è più equo rispetto ai giovani”.
In particolare, ha aggiunto, la riforma della giustizia “se attuata rapidamente e in modo efficiente realizzerà un cambiamento positivo”, mentre è possibile, anche se “bisogna attendere le previsioni di primavera”, che l’Italia possa sfruttare la nuova clausola sulla flessibilità sui conti della Ue.
Durante l’audizione Katainen ha spiegato che in Europa uno dei problemi chiave degli investitori privati “è che non trovano progetti sostenibili e redditizi2 ed è proprio su questo aspetto che punta ad intervenire il nuovo fondo sugli investimenti strategici voluto dalla commissione Juncker.
Posto che il grosso dei progetti dovrà essere finanziato da privati, il numero due della Commissione ha dichiarato che il fondo europeo garantirà non distribuzioni a fondo perduto, “ma prestiti a tassi inferiori a quelli di mercato”.
Dopo Roma, domani, l’ex premier finlandese sarà a Milano per incontrare esponenti del governo, dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali, soprattutto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini e per ribadire, come aveva fatto al suo debutto in Romania, il “disperato bisogno di crescita” dell’economia europea e l’importanza degli investimenti, ripetendo a tutti che il Fondo europeo per gli investimenti strategici darà una risposta agli investitori che, attualmente, non torvano progetti “£sostenibili e redditizi”, offrendo un’ancora di condivisione dei rischi con l’accollo della prima perdita.
Con fermezza rintuzza le molte critiche di chi ritiene ottimistico pensare che 21 miliardi di euro effettivamente sul piatto possano attirare, con un effetto moltiplicatore, investimenti pubblici e privati che portino il totale oltre 300 miliardi. “Molti ci hanno criticato perché il nostro moltiplicatore sarebbe irrealistico. Ebbene, il nostro moltiplicatore è inferiore a quello che si è registrato e ancora accade nelle operazioni finanziate dalla Bei, che hanno un moltiplicatore maggiore”, rileva rispondendo alle domande. E concludendo che: per la Bei”, la Banca europea degli investimenti, “il moltiplicatore medio è di uno a 18 per noi di uno a 15”.
E’ possibilista, poi, come detto, sulla situazione dei conti italiani e si schiera dalla parte di Camerun, Hollande e di Renzi dicendo che “ è triste vedere che per rispettare i vincoli di bilancio nel fare tagli, gli Stati hanno dato la precedenza agli investimenti pubblici, che li ha ridotti moltissimo”, sottolineando la coraggiosa scelta di estromettere i co-investimenti pubblici dal conteggio del Patto di stabilità e crescita come possibilità di maggiore elasticità per vari Paesi.
Di segno contrario e tutt’altro che tranquillizzante, è quello che viene nelle stesse ore dalla Banca centrale svizzera, che ha cancellato il cambio fisso, che da settembre del 2011 – nei mesi caldi della crisi dell’euro – aveva cercato di scongiurare un rafforzamento eccessivo del franco e che da tre anni lo teneva inchiodato a 1,20 contro la moneta unica, mentre la stessa banca, neanche due mesi fa, aveva assicurato i mercati che avrebbe difeso “con assoluta determinazione” la soglia minima decisa all’apice dell’eurocrisi, quando era cominciata una corsa agli acquisti della valuta elvetica.
La decisione a sorpresa ha scioccato i mercati: il franco è schizzato in pochi istanti del 27%, a 0,86 contro l’euro, per poi risalire, dopo una notevole altalena, sopra la soglia di un euro. Il rafforzamento contro il dollaro ha spinto la valuta elvetica a quota 0,75 per poi ripiegare a 0,89.
Ma, in soldoni, questa lasciata del franco a briglia sciolta per impedirne un rivalutazione eccessiva, in vista del quantitative easing della Bce ed anche alla luce anche della fuga di molti capitali colpiti dalla crisi russo-ucraina verso la Confederazione, porta a divergenti traiettorie delle banche centrali, con la Fed che va verso un rialzo dei tassi di interesse , la Bce che lungo agli attuali minimi storici e si prepara al quantitative e la Svizzera che preferisce svalutare dopo il forte indebolimento della moneta unica che ha trascinato con sé la valuta elvetica.
Carlo Di Stanislao
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