In anni recenti sarà capitato probabilmente a tutti di vedere immagini del transetto del Duomo aquilano scoperchiato dal crollo causato dal terremoto del 2009. In alcune di quelle foto molti avranno notato i resti di un altare in gran parte distrutto perché travolto in pieno dal crollo ma ancora oggi leggibile nelle sue linee essenziali, soprattutto nel registro più basso dove si nota anche la nicchia che ospitava l’urna con le spoglie di San Vittorino, recuperata pressoché integra. Quell’altare, oggi così malconcio, fu realizzato nel 1827 dalla comunità milanese di Aquila che, mediante la propria confraternita, acquistò lo spazio nel braccio sinistro del transetto. Ancora adesso, nonostante la distruzione, sono visibili due stemmi della nazione milanese simboleggiata dal serpente visconteo che ingoia una figura umana; un serpente che oggi a molti è più noto come ‘il biscione’ che troviamo nello stemma di una famosa casa automobilistica italiana, nel logo di un noto canale televisivo nazionale e, in passato, anche nello stemma di una nota squadra di calcio, tutti e tre milanesi. Tornando all’altare, nel 1888 esso fu arricchito con una pala del pittore abruzzese Teofilo Patini che raffigurava San Carlo Borromeo in processione tra gli appestati; il dipinto, come noto, è andato purtroppo distrutto, in parte a causa dell’impatto del crollo del transetto, avvenuto principalmente da quel lato, e soprattutto a causa dell’esposizione alle intemperie nei quasi due anni intercorsi tra il sisma del 2009 e la rimozione delle macerie. La posizione di riguardo di quell’altare, che sorge nella zona del presbiterio, la dice lunga sull’importanza della comunità milanese nella città di Aquila.
La presenza dei Milanesi, e più in generale dei Lombardi, accompagna la storia aquilana fin dai secoli medievali: come per altre nazionalità, si trattava di una presenza legata a motivi commerciali, commercio di lana e zafferano in particolare, ma nello specifico anche alla nota fama dei Lombardi come qualificate maestranze edili, i “magistri lommardi” che ad esempio lavorarono al cantiere di palazzo Margherita nella sua versione cinquecentesca e di nuovo nella sua ricostruzione successiva al terremoto del 1703. Influenze lombarde sembrerebbero affiorare nelle didascalie degli affreschi con le storie di San Giorgio (datati alla fine del XIV secolo), nella chiesa di San Pietro a Coppito dentro le mura, nelle quali compare il termine ‘tusella’, ovvero ‘fanciulla’, sotto la scena di San Giorgio che libera la principessa dal drago (“Q[ua]N[ndu] S[an] GIORGIU LIBERÒ LA TUSELLA DALLU DRAU”). A poca distanza da San Pietro a Coppito, ‘Via dei Lombardi’ ci ricorda ancora oggi la presenza di quella nutrita comunità che pare fosse particolarmente concentrata nel Quarto di Santa Maria.
Molto stretto è il rapporto dei Milanesi con il Duomo dei Santi Massimo e Giorgio: al milanese Giovanni de’ Rettorii è attribuita l’edicola-ciborio che copriva il fonte battesimale nella Cattedrale tardo-quattrocentesca; gran parte di questa edicola andò distrutta con il terremoto del 1703 ma alcune parti si salvarono e furono riposizionate in altra collocazione. E proprio nel Duomo i Milanesi avevano costituito dal 1458 la cappella di Sant’Ambrogio e, nel 1617 avevano fondato la cappellania di San Carlo Borromeo: la Cattedrale infatti, come madre di tutte le chiese cittadine, aveva un ruolo ‘neutrale’ rispetto ad altri edifici di culto, nei quali invece era forte il legame locale con il territorio, per cui le cappelle e gli altari di alcune comunità straniere trovarono collocazione nel Duomo.
La presenza di Milanesi e Lombardi ad Aquila rimase solida anche dopo il sisma del 1703 ed essi furono tra i principali attivi protagonisti nella ricostruzione della città. Nella nuova Cattedrale settecentesca i Milanesi vollero riprendere una loro posizione e lo fecero proprio nel transetto, sul lato opposto all’altare che la città aveva dedicato a Sant’Emidio; quest’ultimo altare è stato meno duramente colpito dal sisma del 2009 perché addossato alla parete non interessata dal crollo.
Oggi, i malandati stucchi e mattoni superstiti dell’altare dei Milanesi, esposti alle intemperie, ricordano l’urgenza di avviare il recupero del Duomo dei Santi Massimo e Giorgio e, contemporaneamente, sono ancora la testimonianza tangibile di un aspetto importante e secolare della storia della nostra città che non deve andare cancellato. È quindi importante che quanto rimane di quell’altare venga recuperato nei lavori di restauro del Duomo e che quel braccio del transetto torni ad ospitare una presenza materiale della comunità milanese. E perché no, proprio la Milano di oggi potrebbe essere coinvolta nel recupero e nell’integrazione di quanto distrutto di quell’altare; e, perché no, gli studenti dei licei artistici e delle accademie d’arte aquilane e milanesi potrebbero essere coinvolti attivamente nella ideazione e realizzazione di una nuova opera, sempre a tema, che possa sostituire la tela perduta del Patini e rigenerare quell’angolo di Cattedrale.
Perché se è vero che con le mutate esigenze liturgiche dell’ultimo secolo i molti altari laterali nelle chiese non hanno più una funzione operativa, è anche vero che molti di essi hanno ancora comunque motivo di esistere perché testimoniano materialmente le tracce delle comunità e dei privati cittadini nella storia delle città e dei paesi.
Mauro Rosati
*Foto: L’altare dei Milanesi prima del crollo del transetto (2007): al centro la tela del Patini e in alto il principale dei tre stemmi della comunità milanese; in basso la nicchia contenente l’urna di San Vittorino (Fonte iconografica: Wikipedia; Autore: Ra Boe – selbst fotografiert DigiCam C2100UZ).
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