Gran bel titolo, significativo e metaforico insieme questo Terra di libertà curato da Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta per le Edizioni Tracce – Fondazione Pescarabruzzo, Pescara, dicembre 2014.
Terra dell’Abruzzo interno, dei borghi, dei villaggi sperduti tra le montagne, di una geografia aspra e non sempre benigna, terra di guerra, della linea Gustav, di atrocità, di lacrime e sangue, di distruzioni e morte nella seconda guerra mondiale.
Terra di libertà, di volti senza nome, di eroi senza Storia, di donne e uomini arrivati fino a noi grazie a frammenti di memoria, di cibo scarso e condiviso, di eremi e grotte, di capanne e fienili, di sottotetti e di rifugi improvvisati.
Terra di giovani ed anziani, di pastori e cacciatori, di laureati e contadini, di sarte e muratori, di tanti altri ancora pronti al sacrificio pur di aiutare, rispondendo ai principi di umana solidarietà.
Terra di resistenza civile e resilienza, come Nicola Mattoscio ha evidenziato nella Presentazione,
alla violenza nazista cieca e dissennata, alle stragi gratuite nei paesi e nei villaggi, alla terra bruciata, agli esili e alle deportazioni di massa.
Trentacinque testimonianze di personaggi famosi e non, costituiscono il mosaico di questo libro con storie di donne e di uomini dal denominatore comune: la libertà “aspirazione e traguardo di ogni protagonista, in un tempo in cui la libertà era perseguitata, martoriata, assassinata”, come sottolineano gli autori. Un libro in cui avviene il “contatto tra culture lontanissime tra loro, divise non soltanto dalla lingua, ma anche da una distanza sociale, tra membri della borghesia di società allora molto avanzate rispetto all’Italia e tra i più poveri di un paese arretrato”, così Elena Aga Rossi nell’Introduzione. Tutti coinvolti nella tragica esperienza della guerra.
Ecco allora i fuggitivi dai campi d’internamento dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, i martiri delle contrade, gli intellettuali al confino o nelle galere, con le loro storie narrate direttamente o gelosamente nascoste e ritrovate, i parenti e gli amici che tornano nei pellegrinaggi della memoria, mani che si stringono, ricordi che si rinnovano in questa terra di libertà.
Carlo Azeglio Ciampi, riparato in Abruzzo dopo l’armistizio, e il macchinista (neppure il nome è rimasto) che rallenta il treno alla stazione di Anversa per permettergli di saltare giù senza essere visto; il filosofo Guido Calogero, confinato a Scanno, e le donne della Valle del Sagittario “che andavano al mulino per macinare il grano, lasciavano un pugno di farina perché servisse a sfamare i prigionieri fuggiaschi” e il pastore di Anversa Michele Del Greco fucilato dai tedeschi per l’aiuto dato agli ex internati e la sarta di Sulmona Iride Imperoli Colaprete, “organizzatrice dell’assistenza ai prigionieri liberati dal campo della Badia”, sopravvissuta alla rappresaglia; l’inglese John Furman, narratore prezioso nel libro Be Not Fearful, “una vita da fuggiasco tra Sulmona e Roma”, scappato dal campo di concentramento di Fonte d’Amore (Sulmona) aiutato da due anonimi soldati austriaci, Hans e Fritz, a fuggire di nuovo dopo essere stato ripreso e nascosto in casa dalla famiglia Valeri di Sulmona con Iride Imperoli “ambasciatrice” presso il Vaticano e la retata a Sulmona di numerosi soccoritori con successive condanne di prigionia e di morte; Domenico ed Elisa Silvestri, guide indispensabili per i fuggitivi per raggiungere il comando alleato a Casoli valicando in pieno inverno il Guado di Coccia sulla Maiella… ma molti rimangono tra la neve; Walter Leslie Jagger e William Pusey, fuggiaschi sulle montagne del Sirente, e il loro angelo protettore un ragazzino dodicenne e successivamente William anche l’amore; l’internata ebrea Maria Eisenstein e la sua testimonianza in un diario “l’angoscia di ogni ebreo…fotografia di personaggi, diario di vita quotidiana”; Leone e Natalia Ginzburg, famiglia nota di intellettuali, Leone morto a seguito della tortura nazista, confinati a Pizzoli, paese dell’aquilano, e gli ottimi rapporti con la popolazione locale e un oscuro muratore poi divenuto deputato del P.C.I., Vittorio Giorgi, “…un amico lungamente atteso”; John Verney, artista e scrittore, catturato dai tedeschi in Palestina, rinchiuso nel campo n. 21 di Chieti, successivamente trasferito al campo n. 78 di Fonte d’Amore, fuggito da un treno durante la deportazione in Germania, testimone straordinario e autore di una lettera per i contadini che l’avevano aiutato “Forse la più coinvolgente e la più bella delle opere scritte dagli ex-prigionieri di guerra in Abruzzo”; Stann Skinner, sopravvissuto al terribile bombardamento della stazione de L’Aquila prima di essere deportato in Germania, e il suo libro Sulmona and After (Sulmona e dopo) dove racconta la disperata fuga sul monte Morrone e l’aiuto ricevuto a Roccacaramanico dalla gente del luogo “…vivemmo davvero in un mondo di sogno per tre settimane”.
Sono alcune delle testimonianze, altre non riportate ma tutte da leggere in un libro che in questi giorni consolida ancor di più “per non dimenticare”.
Terra di libertà chiude le sue pagine con l’intervista di Maria Rosaria La Morgia a Carlo Troilo sulla storia della Brigata Maiella e sul padre Ettore Troilo ma non sono sufficienti poche righe per illustrare questa formazione partigiana, la sola in Italia ad essere riconosciuta come “reparto irregolare” dagli stessi alleati, onore e gloria del nostro Abruzzo.
Queste Storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale, sicuramente è uno dei pochi scritti che rievocano attraverso le testimonianze di protagonisti diretti (moltissimi hanno preferito cercare di cancellare la loro tragica esperienza una volta tornati nella terra d’origine) l’impegno, la dedizione, le tragedie di una popolazione che, annullando ogni ideologia e pensiero politico, aprì le proprie case, offrì le proprie scarse cose a coloro indicati fino al giorno prima i nemici da annullare.
Lo Stato, gli Enti locali, Fondazioni come la “Brigata Maiella” devono perpetuarne la memoria.
Un esempio per tutti. Corrado Colacito nel libro Sotto il tallone tedesco. Cronaca di un paese d’Abruzzo, lasciò per le edizioni Carabba di Lanciano ne 1945 la testimonianza delle atrocità commesse dalle truppe tedesche a Caramanico (paese vicino ai luoghi sopra narrati) e il valore singolo e d’insieme di una popolazione. Così il libro inizia: “Caramanico, tranquillo paese d’Abruzzo, è stato durante il periodo dell’occupazione tedesca, teatro di singolari avvenimenti che sarebbe ingiusto far cadere del tutto in oblio…fu, per circa dieci mesi, sottoposto ad ogni sorta di soprusi e di vendette e parecchi caramanichesi pagarono con la vita la loro umana, fraterna opera di soccorso a chi domandava pane e asilo…” Così il libro si chiude: “Il 18 giugno 1944, cioè otto giorni dopo la fuga dei tedeschi, Caramanico ha commemorato i suoi morti. Dopo una breve cerimonia religiosa, una lapide posta sulla facciata del palazzo comunale…è stata scoperta al pubblico”. Seguono le parole incise e i nomi non illustri dei martiri di una piccola comunità che non ha conosciuto da parte nazista alcun sentimento di pietà.
Naturalmente non solo una lapide perpetua il ricordo.
Gianfranco Giustizieri
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