“L’indagine del primo Giudice tralascia il merito giungendo a conclusioni incerte e fallaci, inidonee” a dimostrare colpa; “il fatto non sussiste” e la famosa “riunione” aquilana del 31 Marzo 2009 “non fu legale”. È in estrema sintesi il cuore del Dispositivo della Sentenza di secondo grado nel Processo di L’Aquila versus gli “scienziati” della Commissione Grandi Rischi, per il terremoto di 71 mesi fa, delle ore 3:32 del 6 Aprile 2009 (Mw=6.3; 312 morti; 1600 feriti), in ordine al presunto nesso causale “scienza-decessi” di alcune delle vittime indicate nell’imputazione. Il 6 Febbraio 2015 sono state depositate a L’Aquila le Motivazioni della Sentenza d’Appello. Farà Giurisprudenza. Assolta la Scienza e illuminata “a giorno” l’oscura ombra proiettata dalla vicenda mediatica e sociologica sui responsabili politici della catastrofe aquilana del 6 Aprile che si poteva senz’altro evitare con la prudenza e saggezza del buon padre di famiglia, bisogna ora chiarire le potenzialità giuridiche del Dispositivo. Esso infatti offre un ragionamento logico potenzialmente in grado di proteggere e salvare prima delle catastrofi. Dell’intero Documento è stato rilasciato un frammento di una dozzina di pagine (pp. 165-176) che contiene gli argomenti principali volti a chiarire l’esatta composizione tecnico-scientifica della Commissione Grande Rischi, la mancanza del numero legale nella famosa “riunione” e il ruolo della Scienza e del DPC anche nella percezione delle persone, poche ore prima e dopo l’evento. Assolti Giulio Selvaggi, Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Claudio Eva, Michele Calvi. La Corte d’Appello di L’Aquila ridetermina in due anni la condanna inflitta in primo grado a Bernardo De Bernardinis (per le dichiarazioni rilasciate in un’intervista televisiva) che è stato come gli altri assolto per le imputazioni principali. Si legge: “la Corte ritiene che la pur imponente istruttoria dibattimentale non abbia consentito di raggiungere un sicuro convincimento in ordine alla stessa sussistenza del fatto contestato ai sei accusati prosciolti dall’accusa”. Il Documento procede poi sostenendo che “la riunione del 31 Marzo 2009 non risponde a nessuno dei criteri legali che valgono a identificarla come riunione della Commissione Nazionale Grandi Rischi”, che va pertanto ricondotta al paradigma delle ricognizioni, verifiche e indagini che il Capo del Dipartimento di Protezione Civile può disporre. La Motivazione dimostra poi come l’oggetto della riunione non possa essere desunto che dalla lettera di convocazione (“attenta disamina degli aspetti…relativi alla sequenza in atto”) in contraddizione con quanto sostenuto nella imputazione. Prosegue poi contestando le modalità dell’indagine svolta dal primo Giudice, e sostiene che “la verifica della correttezza scientifica delle valutazioni formulate dagli imputati…conduca necessariamente alla conclusione che nessuna censura possa essere mossa agli imputati”. Poi viene affrontata la questione della rassicurazione (“peraltro ignoto in tali termini al capo di imputazione”), negando quanto sostenuto dal Tribunale, nel Processo di primo grado, che Bertolaso avesse intenzioni di “rassicurare”, e riportando gli intenti di Bertolaso a un obiettivo ben più logico, in riferimento alle “propalazioni di G.” e “al comunicato della Regione Abruzzo”. Stabilito che nelle dichiarazioni degli scienziati non vi era nessun contenuto rassicurativo, la Corte ritiene invece che nell’operato di De Bernardinis, che rappresentava Bertolaso, possa essere riscontrata “una incidenza causale diretta nella formazione dei processi volitivi di alcune delle vittime”. Tale incidenza viene verificata “anche senza fare ricorso al modello delle rappresentazioni sociali, la cui validità scientifica non ha trovato alcuna conferma”. In sostanza una prima conferma di quanto ipotizzabile a valle della Sentenza d’Appello, in particolare una sostanziale smontatura dell’impianto accusatorio e l’accettazione di numerosi elementi delle tesi difensive. La Documentazione disponibile è stata illustrata con accenti diversi sui media (http://news-town.it/cronaca/6536-grandi-rischi,-depositate-motivazioni-sentenza-d-appello-i-giudici-de-bernardinis-rassicur%C3%B2.html). La Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi è la struttura di collegamento tra il Servizio Nazionale della Protezione Civile e la comunità scientifica. La sua funzione principale è quella di fornire pareri di carattere tecnico-scientifico su quesiti del Capo Dipartimento e dare indicazioni su come migliorare la capacità di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi naturali. Il 18 Febbraio 2013 il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, con un Decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.85 dell’11 Aprile 2013, dal titolo “Integrazioni e modifiche inerenti la composizione della Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi”, ha integrato la composizione della Commissione Grandi Rischi. Il confine dell’eterna battaglia tra il bene e il male, come scrive lo scrittore russo Alexander Solzhenitsyn, premio Nobel per la Letteratura, attraversa il cuore di ogni Uomo. Il Giorno Prima di qualsiasi catastrofe sismica, vulcanica, da impatto cosmico e/o da Terza Guerra Mondiale scatenata dai Warlords, con annessi tsunami e inverni nucleari, è un giorno come tutti gli altri. Assai diverso però dal Giorno Dopo e da quelli successivi quando si contano le vittime, i danni e le lacrime di coccodrillo. La Scienza non può fare miracoli. Le Politiche di Prevenzione del Rischio Naturale, invece sì. Anticipare i disastri naturali è quasi sempre possibile, mitigandone gli effetti sia sul territorio sia sulle persone. Alla vigilia dell’EGU Spring Meeting (www.egu.eu/) di Vienna (Austria, 12-17 Aprile 2015) e del “6th INQUA International Workshop” su Tettonica attiva, Paleosismologia e Archeosismologia, che si terrà dal 19 al 24 Aprile 2015 a Pescina (AQ) dove si celebrerà il centenario del terremoto del Fucino 1915 (www.fucino2015.it), è bene fidarsi della Scienza di Galilei, cioè del metodo scientifico. Si è fatto un gran parlare sui media mondiali di un dispositivo a basso costo, pubblicizzato sulle reti di un’importante piattaforma televisiva, che pare offrire una soluzione domestica per la protezione personale durante un terremoto, emettendo un segnale sonoro di allarme, all’arrivo delle onde primarie di un sisma (onde P). Le quali hanno normalmente un’ampiezza minore rispetto alle onde secondarie (onde S) che arrivano successivamente ma a cui sono associate le vittime e il danneggiamento delle strutture. Lo strumento realizzerebbe un “EarlyWarning” sismico, lanciando un’allerta prima dell’arrivo del forte tremore del suolo associato al terremoto. Le traduzioni di “Early Warning” nella lingua italiana (Allarme Sismico Preventivo, Allerta Precoce) sono talmente meno affascinanti, rassicuranti ed esotiche dell’espressione inglese. Tanto che si preferisce generalmente la sua definizione nella lingua di Shakespeare. Il termine Early Warning è utilizzato oltre che in Sismologia, in campo militare per i sistemi anti-missile; economico per la previsione di crisi finanziarie; medico per l’identificazione in anticipo della propagazione virale di malattie infettive; religioso per non far fallire il Matrimonio tra un uomo e una donna salvando così la Famiglia naturale, l’infanzia, la società civile e la civiltà giuridica; astrofisico per il Supernova Early Warning System grazie a una Rete mondiale di rivelatori neutrinici (Sudbury Neutrino Observatory; Borexino; Super-Kamiokande; KamLAND; NOνA; MiniBooNE; BooNE). L’impulso di neutrini dalla Supernova 1987A fu rivelato 18 ore prima dell’arrivo dei fotoni, il 23 Febbraio 1987. Sulla pubblicità e sulla reale efficacia dello strumento “anti-sismico” sono piovute critiche severe da parte degli scienziati, del Dipartimento della Protezione Civile, e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) per la potenziale ingannevolezza del messaggio pubblicitario che non fornirebbe le informazioni complete circa la reale efficacia dello strumento nel malaugurato caso di un evento sismico sul territorio nazionale. La distribuzione geografica dei sistemi di Early Warning sulla Terra riproduce in Sismologia la variazione della pericolosità sismica su scala planetaria, espressa dal livello di accelerazione che ha una probabilità del 10 percento di essere superato in 50 anni. Alcuni esperti giudicano singolare il fatto che le critiche dei sismologi e in particolare la segnalazione della Protezione Civile all’Antitrust, non riguardino le caratteristiche tecniche dello strumento e le sue presunte prestazioni quanto piuttosto la fattibilità dell’Early Warning sul nostro territorio, licenziando la metodologia come inutile e inefficace per la mitigazione del Rischio sismico in Italia. L’Early Warning è una metodologia scientifica rigorosa che si sviluppa e sperimenta da almeno venti anni in varie parti del Mondo. Anche in Italia. Le maggiori associazioni scientifiche internazionali di Geofisica e Scienze della Terra (AGU, American Geophysical Union; EGU European Geophysical Union; IASPEI, International Association of Seismology and Physics of the Earth Interior) dedicano una sessione sui metodi e le applicazioni dell’Early Warning nei loro Congressi annuali da circa dieci anni. Il Giappone ha avviato nel 2008 l’Early Warning Broadcast, la diffusione capillare mediante mass-media del Messaggio di Allerta Istantaneo, oltre a promuovere campagne di educazione e informazione a tutta la popolazione. Nel Paese del Sol Levante l’uso dell’Early Warning è disciplinato da un’apposita normativa che definisce l’Ente preposto alla diffusione dell’Allerta, la Japan Meteorological Agency (www.jma.go.jp/jma/indexe.html), le responsabilità legali sull’uso corretto e non corretto dell’Allerta e gli standard di qualità che devono soddisfare i dispositivi e le metodologie utilizzati per la disseminazione dell’Allerta preventiva. Negli Stati Uniti d’America, l’Early Warning è in fase di sperimentazione in California da circa tre anni nella Rete sismica integrata CISN. L’USGS, il Servizio geologico statunitense, che ha il compito del monitoraggio sismico su scala nazionale, ha lanciato il progetto “Shake Alert” in collaborazione con un consorzio di partner universitari. L’obiettivo è quello di verificare e sperimentare l’Early Warning negli Stati della West Coast minacciati dai terremoti e dagli tsunami che possono generarsi lungo le famigerate faglie più o meno simili a quella di San Andreas e, a nord, nella zona di subduzione della Cascadia ricca di vulcani. Gli Stati Uniti di Europa hanno finanziato nell’ultimo decennio due progetti in successione, SAFER e REAKT, con l’obiettivo di sviluppare e sperimentare l’Early Warning nelle principali zone sismiche dell’area Euro-Mediterranea. Nell’ambito di questi progetti è stato implementato in Italia meridionale, in funzione per la ricerca, un prototipo di sistema di Early Warning chiamato PRESTo, sviluppato dai ricercatori del Laboratorio di Sismologia del Dipartimento di Fisica dell’Università “Federico II” di Napoli. Secondo gli scienziati, l’obiezione principale che viene mossa all’Early Warning è che, considerata la distribuzione della sismicità rispetto a quella dei centri abitati, durante un terremoto il tempo a disposizione per mettersi in sicurezza dopo l’Allarme sarebbe estremamente breve, della durata di qualche secondo o decina di secondi, quindi praticamente inutile per compiere qualsiasi azione di protezione personale. La sua sperimentazione e implementazione in Italia, quindi, aprirebbe una questione di Responsabilità legale in caso di falso o mancato Allarme. Che nel Belpaese non è ancora adeguatamente disciplinata da una Legge certa, efficace e giusta. Secondo alcuni pare che su questo aspetto (ruolo e responsabilità di scienziati, Protezione Civile, politici e amministratori pubblici) non abbia contribuito a fare chiarezza né il famoso Processo di L’Aquila ai sette scienziati della Commissione Grandi Rischi, accusati e poi (sei) prosciolti in secondo grado di giudizio dall’accusa di errata comunicazione del Rischio durante la crisi sismica poi culminata nel terremoto distruttivo del 6 Aprile 2009; né tanto meno i giornali e i media che rilanciano le accuse di quanti parlano, nei loro comunicati, di “ri-uccisioni” di massa delle povere 312 vittime aquilane. Quando appaiono evidenti le responsabilità dei politici mai spediti a processo e mai condannati. Gli specialisti dell’Early Warning quantificano il Tempo utile di sicurezza, in gergo tecnico “lead-time”, come la differenza tra il tempo di arrivo delle onde sismiche S a più grossa ampiezza, capaci di produrre danni, ed il tempo in cui viene lanciato l’Allarme. Quest’ultimo dipende a sua volta dal tempo di arrivo delle onde P al sistema di rilevazione che può essere costituito da una rete di sensori posti in prossimità della sorgente (Early Warning regionale) o del sito da proteggere (Early Warning in-situ). Dato che le onde S viaggiano a una velocità di circa la metà delle onde P nella crosta terrestre, il lead-time dipende dalla distanza del sito di interesse dall’ipocentro del terremoto. Nei sistemi in-situ, il lead-time è dato direttamente dalla differenza tra le onde S e le onde P al sito di misura, mentre nei sistemi regionali esso è dato dalla differenza tra il tempo di arrivo dell’onda S al sito di misura e l’arrivo dell’onda P alle stazioni in prossimità della sorgente. Quindi i sistemi di Early Warning in-situ sono estremamente rapidi nel rilascio dell’Allerta e sono preferibili per i siti a piccola distanza dalla sorgente. I sistemi di Early Warning regionali invece producono lead-time più grandi e sono preferibili per siti posti a grandi distanze dalla sorgente. A un lead-time nullo corrisponde un’Allerta contemporanea all’arrivo della prima onda S. L’area entro cui il lead-time è zero o negativo, è definita “zona cieca” (Blind-Zone) e rappresenta l’area in cui l’Allerta è inefficace. L’analisi della pericolosità sismica, basata sui cataloghi storici dei terremoti in Italia, indica che la magnitudo massima attesa per un evento distruttivo che abbia origine nelle regioni a più elevato rischio sismico nel Belpaese, è compresa tra 7 e 7.5 gradi Richter. Le tristi tragedie di Colfiorito nel 1997 e di L’Aquila nel 2009 mostrano che in Italia anche eventi di magnitudo moderata (6-6.5 gradi Richter) possono produrre danni ingenti e vittime nella popolazione esposta agli effetti del terremoto e della mancata politica di diffusione della Cultura del Rischio Naturale. L’area di danneggiamento di un sisma dipende primariamente dalla magnitudo dell’evento, ma anche da altri fattori legati a fenomeni di propagazione ed amplificazione in situ delle onde sismiche. Per i terremoti di L’Aquila 2009 e Colfiorito 1997, di magnitudo Richter 6.3 e 6.0 rispettivamente, i danni più importanti sono stati osservati entro un’area di raggio pari a circa 40-50 Km dall’epicentro del terremoto, con intensità macrosismiche maggiori del VII grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg. Nel più forte terremoto dell’Irpinia del 1980 (magnitudo 6.9) l’area di danneggiamento fu decisamente più ampia (circa 100 Km) a causa della maggiore profondità ipocentrale (40 Km). Allora, come dovrebbe funzionare un eventuale Allarme pre-Sismico italiano? Se si ipotizza una Rete densa di Stazioni sul territorio nazionale, quale quella attualmente garantita dall’Ingv e dalle Università italiane, calcoli teorici del lead-time indicano che per queste due categorie di eventi storici di magnitudo 6 e 7, l’Allerta di un sistema di Early Warning regionale raggiungerebbe gli abitanti delle aree maggiormente esposte ai danni del terremoto, circa 5 o 6 secondi dopo il Tempo Zero di origine dell’evento, includendo anche il ritardo richiesto dall’elaborazione e dall’analisi automatica dei segnali sismici in tempo reale, con una Zona-Cieca di raggio pari a 10-20 Km dall’epicentro. Se si considera poi l’area del danneggiamento osservato dopo il terremoto di L’Aquila, il lead-time teorico sarebbe pertanto positivo, compreso tra circa 3 e 8 secondi, in una vasta area all’interno della zona in cui sono state rilevati i maggiori danneggiamenti. Sempre in teoria. Nel caso del terremoto dell’Irpinia nel 1980, l’area di danneggiamento fu più ampia, di conseguenza la regione che avrebbe potuto beneficiare di un lead-time positivo sarebbe stata anch’essa più vasta, con tempi disponibili, per mettersi in sicurezza, compresi tra 3 e 20 secondi. Il tempo utile per misure precauzionali è però probabilmente maggiore di quello indicato dai calcoli teorici perchè raramente i livelli massimi di accelerazione e velocità del moto del suolo, potenzialmente generatori di danni, sono associati ai primi arrivi delle onde S. Il cedimento degli elementi non strutturali o i crolli parziali-totali degli edifici non sono istantanei e contemporanei al primo arrivo delle onde S. Anche in questo caso il tempo utile potrebbe essere maggiore di quello stimato teoricamente. Allora, quanto è utile ricevere un’Allerta qualche secondo o decina di secondi in anticipo, rispetto all’arrivo delle onde sismiche potenzialmente distruttive e omicide? Secondo gli scienziati bisognerebbe analizzare tutte le possibili azioni automatiche o individuali che possono essere intraprese in tempi così limitati stando in casa, per strada o nel luogo di lavoro. In un Rapporto realizzato qualche anno fa da J. Goltz, specialista nella Gestione dei Disastri e membro dell’Ufficio Emergenze del Governatorato della California (Usa), vengono passate in rassegna tutte le possibili applicazioni dell’Early Warning, comprese le azioni di mitigazione del rischio sismico. Nell’analisi sono considerati i settori dell’Educazione, della Sanità, delle Agenzie di Stato e Locali per l’emergenza post-sismica, dei Servizi di trasporti e le Reti per l’erogazione di elettricità, acqua e gas. Il Rapporto conclude che l’Early Warning è fattibile in California, previa la realizzazione di un sistema robusto di elaborazione e trasmissione dei dati in tempo reale e la definizione e sperimentazione-pilota di un Protocollo scientifico per la validazione e la diffusione del Messaggio di Allerta ai potenziali utilizzatori. Nel Rapporto viene infine fornito un elenco di azioni possibili in seguito ad un Early Warning per ciascuno dei settori considerati e nel lasso di tempo utile. Tra queste, l’interruzione automatica dell’erogazione di energia elettrica-gas per la prevenzione di incendi, l’interruzione di interventi in sale operatorie, l’arresto di trasporti di materiali pericolosi in industrie chimiche o nei cantieri edili, l’attivazione di sistemi semi-automatici di protezione degli edifici, il controllo del traffico aereo, autostradale e ferroviario, l’attivazione degli interventi di emergenza da parte dei Vigili del fuoco, una serie di azioni di protezione individuale a casa, nelle scuole e negli edifici pubblici. Una tipica obiezione rilevata dagli scienziati è che alcuni secondi di pre-Allerta sarebbero pochi e insufficienti per l’evacuazione di interi quartieri di città popolate esposte al sisma. È bene però considerare che oggigiorno, senza alcun tipo d’informazione disponibile in tempo reale sull’occorrenza di un terremoto o di un’eruzione vulcanica, i tempi di reazione nella popolazione sono probabilmente molto più lunghi. Al contrario, con solo pochi secondi di anticipo rispetto all’arrivo delle onde di ampiezza più importante, le persone potrebbero mettersi al riparo in una zona sicura della propria abitazione o all’esterno di essa. Il Protocollo attuale per la sicurezza nelle Scuole in occasione di incendi e terremoti prevede che l’evento disastroso sia riconosciuto dal personale presente nella scuola e che il Responsabile (docente) allerti studenti e professori attraverso il suono di una campanella. Collegare in automatico la sirena in una scuola ad un sistema di Early Warning consentirà di anticipare le azioni di protezione degli allievi sotto i solidi banchi, oltre che le operazioni di evacuazione dalle classi, con largo anticipo. Il progetto REAKT ha portato alla sperimentazione del primo prototipo europeo di un sistema di Early Warning. Un istruttivo esempio dell’utilizzo dell’Early Warning nelle scuole è dato dall’esperimento realizzato da studenti e docenti dell’Istituto ITIS “Ettore Majorana” di Somma Vesuviana in provincia di Napoli. La collaborazione tra i ricercatori dell’Università “Federico II” e la scuola, resa possibile dal progetto REAKT, ha portato alla realizzazione e sperimentazione del primo prototipo europeo di attuatore di un sistema di Early Warning per le scuole. Per la simulazione, durante il normale svolgimento delle lezioni, è stato inviato dal Centro di controllo di Napoli al dispositivo attuatore, un segnale di allarme, come se fosse davvero in atto un terremoto. Al suono della Sentinella (è il nome del dispositivo) i ragazzi e i docenti in aula hanno riconosciuto l’imminente arrivo dell’evento sismico ed avviato le procedure di emergenza. In pochi secondi gli allievi hanno trovato riparo sotto i banchi, i docenti indossato il caschetto protettivo e si sono posizionati sotto l’arco della porta, restando in sicurezza per tutta la durata dell’evento sismico simulato. Un secondo e diverso segnale sonoro ha avvisato poi della fine del terremoto e ha dato inizio all’evacuazione dell’aula, così come previsto dal Regolamento di Istituto. Secondo gli esperti, un aspetto molto sottovalutato è che l’Early Warning possa risultare utile per ridurre l’effetto-panico in quelle zone in cui, sebbene risentito, lo scuotimento del sisma non produca danni sensibili alle abitazioni. La popolazione di queste aree potrebbe essere utilmente allertata circa l’occorrenza di un terremoto forte ma distante e rassicurata sugli effetti minori del sisma al proprio sito. Dunque il tema dell’Early Warning è legato alla gestione, alla comunicazione del Rischio naturale e alla responsabilità dell’Allerta. In Italia, la gestione dell’emergenza e la prevenzione di fenomeni sismici sono responsabilità del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale (DPC), organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si avvale della consulenza della Commissione Grandi Rischi composta da esperti (scienziati e tecnici, ma non ancora Magistrati!) nei settori della Sismologia, Geologia e dell’Ingegneria sismica. Il DPC segue da alcuni anni lo sviluppo della ricerca scientifica nel settore dell’Early Warning e partecipa, con suoi funzionari di Stato, ai progetti di ricerca internazionali ed europei su quest’affascinante disciplina che diventa problematica solo quando manca un efficace quadro normativo con chiare Responsabilità nella catena di comando e controllo. L’implementazione di un sistema di Early Warning su scala nazionale italiana non pare rientrare, tuttavia, tra le priorità nel Piano di Prevenzione del Rischio Sismico a breve e medio termine del Belpaese. Siamo di fatto, come osservano molti scienziati, ancora lontani da una sperimentazione operativa dell’Early Warning, che richiede un adeguamento tecnologico sostanziale delle Reti sismiche operative in Italia e un lapalissiano aggiornamento giuridico in grado di coivolgere direttamente e preventivamente la Magistratura ordinaria nel “team” operativo. Nella sua segnalazione all’Antitrust, il Dipartimento della Protezione Civile dichiara che “una vera mitigazione del Rischio sismico può essere perseguita seriamente attraverso una matura conoscenza del territorio, una consapevolezza dei comportamenti di auto-protezione da adottare sia quotidianamente che in situazioni di emergenza, la diffusione dei piani di emergenza alla popolazione, la messa in sicurezza degli edifici”. Tra le azioni elencate pare non vi sia, quindi, l’Early Warning antisismico, il cui messaggio, veicolato al grande pubblico, sarebbe ritenuto “in dottrina” fuorviante, indicando una soluzione inefficace ed inaffidabile al problema della mitigazione dei danni causati dai terremoti. Naturalmente, come hanno ben capito in Giappone e altrove, l’Early Warning non può sostituirsi sic et simpliciter alle azioni prioritarie suggerite dalla Protezione Civile Nazionale. Piuttosto le integra, promuovendo azioni automatiche e individuali, volte a limitare danni, ferimenti e perdite dovute agli effetti di un sisma, un’eruzione vulcanica, un impatto cosmico, uno tsunami. La natura stessa del fenomeno è complessa. Il Messaggio di Allerta ricevuto da un abitante di un edificio che collassa totalmente durante il terremoto, potrebbe non consentirgli di mettersi in salvo. Se la sua abitazione fosse invece capace di resistere al terremoto, l’Allerta preventiva potrebbe consentirgli di mettersi al sicuro dal cedimento di elementi non strutturali, dalla frattura dei vetri delle finestre, dalla caduta di oggetti, biblioteche o mobili. Idem per chi si trova già in strada, dal rischio del collasso di cornicioni pericolanti. Molteplici sono le azioni di tipo automatico che possono essere effettuate e che riguardano gli impianti industriali, le reti di erogazione di elettricità, acqua e gas, le reti di trasporto e di emergenza. L’attuazione di misure protettive in seguito ad un Early Warning istituzionale, richiede una preparazione ed addestramento specifico della classe dirigente e della popolazione, il cui investimento è in genere nettamente inferiore ai costi di ricostruzione dopo le catastrofi e le lacrime di coccodrillo. Per ciò che riguarda l’educazione comportamentale durante un terremoto, il Giappone insegna che una popolazione addestrata a ricevere un segnale di Allerta preventiva ed a comportarsi di conseguenza, è anche maggiormente informata sul rischio dei terremoti ed è particolarmente sensibile alle iniziative per la protezione e la messa in sicurezza degli edifici in cui abita e lavora. Negli istituti pubblici (scuole, università, ospedali) esistono già Protocolli e misure codificate da adottare per la sicurezza del personale e dell’utenza, in particolare in caso di incendio e terremoti. In questi casi il sistema di Allerta immediata dovrà integrarsi con le procedure ed i dispositivi di allarme esistenti, consentendo agli utenti di reagire e proteggersi in un tempo molto più rapido di quello attualmente perduto per riconoscere e fronteggiare l’emergenza sismica in corso. In Italia la questione più delicata riguarda naturalmente la Responsabilità legale dell’Early Warning che, quando l’Allerta è diffusa ad una vasta popolazione, diventa una pubblica problematica di ordine istituzionale e politico, per il numero di abitanti che essa coinvolge e per la necessità di tutelare la loro sicurezza, grazie anche al coinvolgimento di mass-media sinceri e di specifici canali radiotelevisivi e telematici di Emergenza istituzionale in grado di essere le Fonti Supreme per irradiare con ogni mezzo e in tempo reale la Notizia, magari sovrapponendosi a tutte le altre trasmissioni. Come accade negli Usa. Nell’Early Warning, basato su misure sperimentali affette da incertezze, la probabilità di incorrere in falsi allarmi oppure in mancati allarmi non è nulla. La Dichiarazione di Allerta di un sistema di Early Warning è basata sull’elaborazione di pochi secondi di segnale da un numero limitato di sensori, per cui la probabilità di un falso/mancato allarme dipende dalla rapidità con cui viene dichiarata l’Allerta. E la sua riduzione può avvenire solo a spese di un maggior tempo necessario ad acquisire maggiori informazioni sull’evento in corso. Ottimizzare la misura e la modellazione di parametri del moto del suolo in tempo reale, per ridurre il numero di falsi e mancati allarmi, è la sfida attuale della ricerca scientifica sui sistemi di Early Warning di nuova generazione. Sono tuttavia molteplici le problematiche di carattere legale, istituzionale, culturale, politico e sociale che derivano dall’uso di un Sistema Automatico di Decisione in caso di emergenza sismica con probabilità non nulla di falso e mancato Allarme. A chi va attribuita la Responsabilità di un falso Allarme prodotto da una dispositivo elettronico senza l’intervento umano nella decisione? E nel caso di un mancato Allarme? Quale Autorità certifica per legge la qualità e lo standard del Sistema di Early Warning adottato in Italia? Poiché il segnale di Allerta dev’essere diffuso mediante molteplici mezzi di comunicazione, come si definiscono le responsabilità nella catena che va dalla misura scientifica, alla decisione, alla diffusione dell’Allerta e all’attuazione delle misure di prevenzione? In Giappone queste urgenti questioni sono state affrontate e regolamentate in un apposito dispositivo di legge (Meteorological Service Law) che prescrive le modalità di diffusione al pubblico delle informazioni e delle osservazioni riguardanti i fenomeni meteorologici, sismici, vulcanici ed oceanografici. Per i sistemi di allerta automatica, la legge nipponica definisce le responsabilità per il rilascio e la diffusione dell’Allerta della Japan Meteorological Agency (JMA) ed altre organizzazioni che sono preposte all’invio immediato dei messaggi di Early Warning alla popolazione; e stabilisce le caratteristiche standard e le certificazioni dei metodi e delle tecnologie a cui devono attenersi i fornitori del servizio di Early Warning, in particolare nella previsione dell’intensità macrosismica attesa (quantità che misura l’effetto ed i danni dei terremoti) e del tempo di arrivo delle onde di massima ampiezza. In Giappone l’Allerta istituzionale, diramata per i terremoti dalla JMA, include la magnitudo e la localizzazione dell’evento in corso, mentre non rientra nei compiti dell’Agenzia nazionale la previsione degli effetti di danneggiamento e del tempo di arrivo delle onde potenzialmente distruttive. In Italia come la mettiamo? Non occorre certo aspettare la prossima tragedia nazionale né le famigerate “riforme” (alibi perfetto) incostituzionali in corso d’opera nell’Assedio alla Carta Fondamentale del 1947, per non rendersene conto e per non fare già subito qualcosa di utile prima delle lacrime. Il pregiudizio culturale italiota nei confronti di una seria sperimentazione nel Belpaese di un Sistema di Early Warning sismico su scala nazionale, pare davvero ingiustificato, assurdo, illogico e in controtendenza rispetto alle scelte politiche operate in questa delicata disciplina da Nazioni come il Giappone, la Nuova Zelanda, il Cile e gli Stati Uniti d’America, dove la gestione e la valutazione del Rischio naturale è all’ordine del giorno, senza scomodare la Costituzione! L’implementazione di un sistema rapido ed avanzato di Allerta sismica su scala nazionale e le azioni di mitigazione del Rischio Naturale di medio e lungo termine, intraprese dalla Protezione Civile Nazionale, non sembrano in antitesi. Al contrario, la riduzione della vulnerabilità degli edifici e l’educazione al comportamento individuale e pubblico durante un’emergenza sismica o vulcanica, sono requisiti essenziali per l’azione efficace di un’Allerta sismica immediata. “Sono d’accordo sull’utilità dei sistemi di Early Warning (EW) sismico e sulla necessità di svilupparli in Italia – osserva Alessandro Amato dell’Ingv – certamente l’avvisatore locale e i sistemi di EW regionali, non vanno confusi. In particolare in Italia, dove i tempi di risposta sono di pochi secondi, è importante essere in grado di rilevare l’accadimento di un terremoto nel più breve tempo possibile per mandare un Allarme nella zona da proteggere che deve essere abbastanza lontana e fuori dalla Blind Zone”. Quindi servono sismometri vicinissimi alle faglie che si decide di monitorare e lontani dalla zona che si vuole proteggere. “Si tenga presente che per il sisma del Marzo 2011 in Giappone – ricorda Amato – il tempo trascorso tra il terremoto e la prima rilevazione dell’onda P, da parte del sistema di EW regionale, è stato di 21 secondi, perché il sisma si è generato nell’oceano, e da questo momento al primo allarme sono trascorsi altri 8.6 secondi (http://seismo.berkeley.edu/~rallen/research/WarningsInJapan/). Per migliorare questa prestazione che comunque è molto buona, bisogna avvicinare gli strumenti alle aree sorgente dei grandi terremoti, cosa che i Giapponesi stanno facendo con grandi investimenti per strumentare il fondale oceanico, e ridurre ulteriormente il tempo di calcolo per il Primo Allarme che comunque non potrà scendere molto al di sotto di quei 9 secondi. Il sistema di avviso in situ ha tempi di reazione più lunghi e quindi tempi di avviso decisamente più corti per il fatto che deve attendere l’arrivo in situ dell’onda P riducendo sensibilmente il margine di preavviso. Sbagliato a mio avviso far credere che si possa fare più di quanto sia realisticamente nelle nostre possibilità. Dire per pubblicizzare uno strumento – avverte Amato – che le onde S arrivano fino a 60 secondi dopo il terremoto, è corretto (anche più di 60 sec., ma a quel punto saremmo così lontani dall’epicentro che non ce ne importerebbe nulla) ma fuorviante per l’Italia e per la stragrande maggioranza dei terremoti che causano danni nel nostro Paese. Nelle aree più lontane danneggiate dai terremoti più grandi, infatti, un’onda P impiega circa 15 secondi, un’onda S circa 27 secondi, la differenza è di 12 secondi (a 100 km dall’epicentro), mentre nella maggior parte dei casi (incluso L’Aquila 2009) questa differenza resta sotto i 5 secondi. Con i sistemi di EW regionali possiamo guadagnare parecchi preziosi secondi. A valle di un sistema di EW regionale potrebbe innestarsi poi un EW in situ, ma senza il primo il secondo rischia di essere poco utile se non controproducente. Se non si accompagna un EW con delle informazioni chiare sui comportamenti da tenere e con azioni automatiche di protezione, si rischia di generare un panico ingiustificato che potrebbe essere più dannoso del terremoto stesso”. Come rivela il “combinato disposto” dell’intensità macrosismica (effetti del terremoto osservati) e del “lead-time” per il terremoto dell’Irpinia 1980 di Magnitudo 6.9 (Picozzi et al., 2014). I lead-time sono stati simulati supponendo l’esistenza di un sistema di Early Warning basato su una Rete Accelerometrica Nazionale con la configurazione attuale operante in tempo reale. L’intensità macrosismica per ciascuno dei Comuni in cui essa è stata rilevata, è rappresentata secondo la scala Mercalli-Cancani-Sieberg con i colori più scuri (arancione/rosso/marrone) associati ai livelli per cui sono stati osservati danni significativi alle abitazioni. Il cerchio più interno indica la Blind-Zone (BZ), l’area entro cui l’Allerta è emessa successivamente all’arrivo delle onde S, le più distruttive durante un terremoto. Gli studi dimostrano che un gran numero di Comuni ricadrebbe nelle aree a lead-time positivo, e per un numero consistente di essi sarebbero disponibili dai 5 ai 20 secondi per effettuare azioni automatiche o individuali di messa in sicurezza di persone o impianti. Quindi, in questi casi, la differenza tra la vita e la morte, potrebbe essere decisa in pochi istanti utili. Ma solo grazie a specifiche esercitazioni pubbliche e istituzionali di massa. Che la Politica evidentemente può già programmare. A volte gli scienziati hanno le mani legate. E le sentenze non c’entrano affatto. Il convegno “Anticipating volcanic eruptions: developing multidisciplinary tools to track the source, volume and duration of magma movement from the mantle to the surface”, organizzato dalla sezione di Pisa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, è stato finanziato dall’European Science Foundation-Memovolc Research Network. L’arrivo di magma nel sistema di alimentazione profondo dei vulcani è il primo segnale della possibile riattivazione di tutto il punto caldo. Riconoscere questo segnale è importante per capire come e in che tempi il magma viene trasferito dalle profondità abissali fino in superficie ed è fondamentale per riconoscere i precursori di lungo-medio termine di eruzioni vulcaniche esplosive come nel complesso Pompei-Campli Flegrei. Sviluppare sinergie tra competenze complementari è fondamentale per quantificare le origini, i volumi e la durata del movimento del magma dal mantello alla superficie. Ciò ha importanti implicazioni sulle strategie di monitoraggio e mitigazione del Rischio, fornendo anche elementi significativi per definire modelli concettuali su come funzionano i vulcani in Italia e nel Mediterraneo. Il ruolo del Campo Termico nella geofisica ha radici profonde: il calore sviluppato all’interno della Terra, attraverso i movimenti convettivi del mantello, sembra in ultima analisi responsabile dell’occorrenza dei terremoti. Anche abbandonando questa scala geodinamica globale, basta focalizzare la propria attenzione su una singola faglia sismogenetica, ossia su quel complicato oggetto geofisico nel quale si sviluppano le fratture di rocce intatte o variamente soggette a danneggiamenti interni, gli scorrimenti improvvisi di rocce già fratturate e vari fenomeni fisico-chimici che comportano l’emissione di energia, avvertita concretamente con il movimento del suolo (“ground shaking”), per capire dove poggiamo i nostri piedi. Oltre alla dissipazione dell’energia rilasciata sotto forma di onde elastiche, la più spettacolare e la più drammaticamente nota, un sisma rilascia energia anche sotto forma di calore. È ben noto anche dalle più banali applicazioni ingegneristiche e meccaniche che due corpi che scorrono l’uno rispetto all’altro e mantenuti in mutuo contatto, sviluppano calore per effetto dell’attrito (“frictional heat”) che si esercita sulla superfice di scorrimento. Allo stesso modo le rocce che scorrono durante un terremoto, più esattamente le micro-asperitità di contatto dei materiali rocciosi che scorrono l’uno rispetto all’altro in un evento improvviso di instabilità dinamica, si scaldano sfregando le une contro le altre. L’energia che ne deriva è calore che si ridistribuisce in vario modo nell’ambiente circostante. Calore che può essere misurato. Oltre a rappresentare un importante ruolo nel condizionare l’ambiente chimico del sistema faglia e ad innescare reazioni chimiche attivate termicamente, il calore prodotto per attrito, direttamente proporzionale alla velocità di scorrimento e all’attrito resistivo che si oppone al moto, è causa di numerosi processi fisici che hanno un ruolo determinante nella caratterizzazione del terremoto, dell’energia sismica rilasciata, della sua magnitudo e dei suoi effetti (cf. Bizzarri ed altri, 2011). Una delle numerose conseguenze del cambiamento del Campo Termico è quello della fusione delle rocce e dei frammenti (breccia di faglia, “gouge”) che si frappongono tra le rocce in mutuo scorrimento. La fusione provoca la formazione di pseudotachiliti, minerali ampiamente studiati nella comunità geologica, che hanno caratteristiche molto simili a quelle di materiali vetrosi. Le pseudotachiliti vengono considerate come “impronte fossili” che preservano informazioni relative alla storia sismica di una faglia attiva (Sibson, 1975). Di recente hanno ricevuto molta attenzione anche nella comunità dei modellatori geofisici. In un lavoro apparso sulla rivista “Bulletin of the Seismological Society of America”, Andrea Bizzarri propone un modello fisico per descrivere quantitativamente il comportamento di parziale fusione all’interno di una struttura sismogenetica (Bizzarri, 2014). In particolare, l’Autore considera l’evoluzione di un clasto di forma sferica imprigionato all’interno di una vena di pseudotachilite appena formatasi per effetto di un evento sismico. Un clasto è un elemento detritico litoide originato dalla disgregazione e frammentazione di rocce preesistenti. Il modello proposto, matematicamente complicato ma estremamente semplice dal punto di vista concettuale, considera gli effetti che il campo termico della vena di pseudotachilite provoca sul clasto. Il calore all’interno della vena di pseudotachilite non è uniforme, ma è massimo al suo centro e minimo ai bordi, come fisicamente previsto. Il clasto immerso nella vena viene ridotto in dimensioni per effetto della fusione parziale delle sue regioni più esterne a contatto con le alte temperature della vena di pseudotachilite appena formatasi, mentre il suo nocciolo può resistere e rimanere intatto, almeno parzialmente preservato o sopravvissuto. Il destino del clasto dipende oltre che dai parametri generali del modello (composizione chimica, dimensioni della vena di pseudotachilite), dalla sua dimensione originaria e dalla sua posizione relativa rispetto al centro della vena stessa. Come ampiamente discusso dal lavoro di Bizzarri, i risultati di oltre 600 simulazioni numeriche di questo modello teorico sembrano in ottimo accordo con osservazioni geologiche indipendenti effettuate sul terreno. In particolare, il modello è in grado di spiegare e riprodurre la legge di potenza che lega il numero di clasti sopravvissuti (non fusi e assimilati alla vena di pseudotachilite) al loro diametro. Altri studi sono in corso sui processi fisici e chimici che avvengono prima, durante e dopo un episodio di rottura nella crosta terrestre, mediante esperimenti di laboratorio e modelli numerici. Questi studi permetteranno di comprendere sempre meglio il complesso fenomeno del terremoto e della fagliazione delle rocce alle profondità sismogenetiche, purtroppo quasi completamente inaccessibili all’indagine diretta. Il catastrofico terremoto dell’11 Gennaio 1693 nella Sicilia orientale, l’evento più forte della Storia sismica italiana, rappresenta una vera e propria pietra miliare nella Sismologia del Belpaese. Nell’attuale versione del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, viene classificato come il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi mille anni sull’intero territorio nazionale. Per vastità dell’area colpita, numero di vittime e gravità degli effetti provocati, è tra i terremoti maggiormente distruttivi in Italia. E riveste un’importanza enorme per la colossale e problematica opera di ricostruzione e riedificazione che modificò radicalmente l’intera rete insediativa di un’ampia parte della Sicilia. Il terremoto colpì un territorio vastissimo in due riprese, con due violentissime scosse avvenute a distanza di due giorni. Il primo forte evento si verificò il 9 Gennaio 1693 attorno alle ore 21 GMT (il Tempo Medio di Greenwich, orario riportato per convenzione nei cataloghi sismici), le 4:30 secondo l’uso orario “all’italiana” in vigore all’epoca. Nonostante la prima scossa sia avvenuta a meno di 48 ore dal secondo ben più grave terremoto, il quadro complessivo dei suoi effetti macrosismici risulta ben documentato. Secondo lo studio di Guidoboni ed altri del 2007, ripreso dal catalogo “CPTI11”, la scossa raggiunse un’intensità epicentrale valutabile tra i gradi 8 e 9 della Scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). I danni furono gravissimi in centri come Augusta, Avola (l’attuale Avola Vecchia), Noto (l’attuale Noto Antica), Floridia e Melilli, dove crollarono molti edifici. Gravi danni e crolli interessarono anche Catania e Lentini. A Catania, già seriamente danneggiata dalla distruttiva eruzione dell’Etna del 1669, molti palazzi e abitazioni, nonché chiese e monumenti, subirono lesioni diffuse, alcune case private crollarono provocando la morte di 16 persone. A Siracusa molti edifici furono lesionati, alcuni rimasero pericolanti, ma nel complesso i danni furono meno gravi rispetto a Catania. La scossa fu avvertita fortemente, ma senza danni, a Messina e a Malta, e sensibilmente fino a Palermo. Il secondo terremoto, preceduto circa 4 ore prima da un’altra forte scossa che però non aggravò sensibilmente i danni della prima, avvenne il giorno 11 Gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT, le 21 secondo l’orario “all’italiana”, ed ebbe effetti veramente catastrofici. La cui enorme gravità fu dovuta anche al fatto che questi andarono in parte a sovrapporsi a quelli della scossa del 9 Gennaio. L’area colpita fu molto più vasta rispetto a quella del primo sisma, tanto che molte località che erano state solo leggermente danneggiate o non toccate affatto il 9 Gennaio, questa volta subirono danni importanti con vere e proprie distruzioni. L’area dei danni più gravi risultò estesa su un vasto territorio di oltre 14mila chilometri quadrati che venne completamente devastato. Tutta la Sicilia orientale fu gravemente colpita. Crolli e danni gravi si ebbero fino a Messina e alla costa tirrenica (Patti e Naso), verso nord, e fino a Malta verso sud. Danni diffusi e rilevanti furono riscontrati a Reggio Calabria, Agrigento e addirittura a Palermo, situata a più di 150 Km dall’area epicentrale. Danni più leggeri si ebbero fino alle Isole Eolie e in alcuni centri della Calabria centro-meridionale. La vastità dell’area danneggiata, al di là degli effetti cumulati delle due scosse più forti, suggerisce agli scienziati che quello dell’11 Gennaio sia stato un evento di magnitudo veramente elevata. Il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, che riprende lo studio di Guidoboni et al. (2007), classifica questo terremoto con un’intensità epicentrale pari al grado 11mo MCS e una Magnitudo momento equivalente (Mw), calcolata sulla base della distribuzione degli effetti macrosismici, pari a 7,4 ossia tra le più alte dell’intera area mediterranea. Nell’estrema parte occidentale della Sicilia (Trapani, Mazara del Vallo, Marsala) la scossa dell’11 Gennaio fu avvertita molto fortemente, ma non sono ricordati danni. Sembra accertato che fu avvertita sensibilmente fino alla Calabria settentrionale e sulla costa tunisina. Un’area vastissima. Le distruzioni più gravi si ebbero nella zona sud-orientale della Sicilia e interessarono i territori corrispondenti alle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa. Furono gravemente colpiti tutti i centri di grande importanza economica e culturale. Catania, Acireale e i piccoli centri del versante sud-orientale dell’Etna furono quasi interamente distrutti. Tutti i centri della Val di Noto furono praticamente rasi al suolo. Tra questi, Sortino, Ragusa, Modica, Melilli, Lentini, Avola, Augusta, Noto. Molti crolli e danni estesi si ebbero a Siracusa, Caltagirone, Vittoria, Comiso. Complessivamente si verificarono effetti uguali o maggiori al grado 9 MCS in una settantina di località. Il terremoto, in particolare la grande scossa dell’11 Gennaio 1693, ebbe un forte impatto anche sull’ambiente naturale, producendo effetti d’intensità e dimensioni notevoli su un’area estesa. In molte località della Sicilia orientale, sparse tra Messina e l’area Iblea, si aprirono fenditure nel terreno dalle quali, in molti casi, furono segnalate fuoriuscite di gas, acque calde e materiali fluidi. Nel territorio Ibleo, dove si ebbero i massimi effetti, vi furono frane e smottamenti che in alcuni casi sbarrarono e ostruirono i corsi d’acqua portando alla formazione di nuovi invasi. Tutto il periodo sismico fu accompagnato da un’intensa attività dell’Etna. Gli effetti più rilevanti, però, furono quelli del maremoto. La scossa dell’11 Gennaio generò ondate di tsunami che investirono varie località della costa orientale della Sicilia, da Messina a Siracusa. Gli effetti più gravi si ebbero ad Augusta dove l’onda di maremoto raggiunse l’altezza di circa 15 metri danneggiando le galere dei Cavalieri di Malta ancorate in rada e inondando la parte della città prospiciente il porto. A Catania il mare dapprima si ritirò dalla spiaggia per alcune decine di metri, trascinando alcune barche ancorate sulla riva, poi a più riprese si riversò violentemente sulla costa con onde di tsunami alte oltre 2 metri che entrarono in città fino alla piazza San Filippo, l’attuale piazza Mazzini. La fase sismica fu molto lunga e intensa. Le repliche, anche di forte intensità, furono avvertite per oltre 3 anni, almeno fino all’Aprile 1696, e misero a durissima prova la capacità di resistenza dei sopravvissuti. L’impatto del terremoto sul contesto antropico fu devastante: la popolazione in molte località fu ridotta drasticamente. Lo studio di Guidoboni et al. (2007) mette in evidenza come le fonti storiche dell’epoca risultino a volte contradditorie sul numero complessivo delle vittime, ma è certo che furono decine di migliaia. La statistica ufficiale, redatta nel Maggio 1693, riporta circa 54mila morti, di cui quasi 12mila nella sola Catania (il 63 percento dei circa 19mila abitanti di allora); 5.045 (51 percento) a Ragusa; 1.840 (30 percento) ad Augusta; 3mila (25 percento) a Noto; 3.500 (23 percento) a Siracusa, e 3.400 (19 percento) a Modica. Le condizioni dei sopravvissuti nei mesi successivi al disastro furono di estrema precarietà, tra continue scosse, scarsità di viveri e di beni di prima necessità, mancanza di medici necessari per curare i tantissimi feriti, il costante rischio di epidemie. Catania fu praticamente abbandonata e rimase in mano a sciacalli e ladri. All’epoca il Regno di Sicilia era sotto il dominio della monarchia spagnola, come tutta l’Italia meridionale: il Regno di Napoli e il Regno di Sardegna. La Sicilia era suddivisa in tre “valli”, province amministrative introdotte già in epoca normanna sulla base degli antichi confini arabi: il Val Demone, il Val di Noto e il Val di Mazara. Il settore orientale della Sicilia, quello maggiormente colpito dal terremoto del 1693, si divideva tra Val Demone, a nord, e Val di Noto, a sud, e comprendeva con l’eccezione di Palermo i più importanti centri economici e culturali dell’isola, come Catania, Siracusa, Noto e Caltagirone. Gli effetti del disastro sismico sul tessuto sociale ed economico della vasta area colpita, furono pesantissimi. L’impatto fu aggravato dal fatto che la situazione economica del Regno era già duramente provata da una grave recessione che aveva colpito gran parte dell’Italia a più riprese nel corso del XVII Secolo. Tuttavia, se il terremoto nei primi tempi dell’emergenza ebbe l’effetto di deprimere ulteriormente la già precaria economia siciliana, nel medio termine, invece, fece da volàno per la ripresa economica. Questa infatti risultò incentivata dalla vasta attività edilizia che rifiorì in tutta l’area colpita, attraverso progetti imponenti di ricostruzione e spesso di rifondazione di intere città e paesi, richiamando molta manodopera e riattivando l’intero ciclo produttivo. Così il terremoto del 1693 rappresenta nella storia italiana uno dei pochi casi in cui un disastro sismico si sia rivelato occasione di sviluppo e di rilancio economico per le zone colpite. Il complesso processo di ricostruzione impegnò il governo centrale e le amministrazioni locali per molti anni, con interventi che vennero attuati secondo modalità diverse per tutto il Settecento. I cambiamenti di sito furono complessivamente pochi, perché richiedevano l’assenso della popolazione e il parere favorevole del viceré: fra gli insediamenti ricostruiti in un luogo completamente diverso da quello antico vi sono Noto, Avola, Occhiolà (l’attuale Grammichele), Giarratana, Sortino, Biscari (Acate), Monterosso, Fenicia Moncata (Belpasso). Ragusa fu praticamente sdoppiata, con la creazione di un nuovo abitato. Oltre ai veri e propri cambiamenti di sito, vi furono casi di spostamenti a valle: alcuni insediamenti abbandonarono picchi o declivi poco sicuri e furono ricostruiti sui pianori o nelle vallate sottostanti, come Scicli, Buscemi e Ferla. Tutti gli altri centri vennero invece ricostruiti dove già sorgevano precedentemente. In alcuni casi, come a Catania, venne tracciata una nuova pianta urbana, tenendo conto di ciò che rimaneva delle antiche strutture della città, ma anche delle nuove esigenze. In altri casi, come a Lentini, dopo un iniziale tentativo di cambiamento di sito, ci si limitò a rettificare leggermente il tracciato di alcune strade. La maggior parte delle città, come Siracusa e Caltagirone, furono ricostruite seguendo la pianta originaria. La ricostruzione post-sismica del 1693 fu caratterizzata da una straordinaria capacità progettuale, da cui nacque l’attuale volto barocco di numerose città e paesi della Sicilia sud-orientale. Questo terremoto, insieme agli altri forti eventi che hanno interessato storicamente l’area, contribuisce a fare della Sicilia Orientale una delle zone a maggiore pericolosità sismica di tutta l’Italia. Pericolosità che, infatti, considera la storia sismica di una zona insieme alle informazioni disponibili dagli studi sulle sorgenti sismogenetiche (comprese le faglie che possono generare terremoti) e combina questi dati in una stima probabilistica dei livelli di scuotimento attesi in un prossimo futuro. Oltre al terremoto del 1693, per questa zona il Catalogo CPTI11 riporta altri tre eventi di magnitudo maggiore del sesto grado Richter (4 Febbraio 1169, con Mw=6.4; 10 Dicembre 1542, Mw=6.8; 20 Febbraio 1818, Mw=6.2) e 13 terremoti di magnitudo compresa tra il grado 5 e 6 Richter. L’ultimo forte terremoto a interessare la Sicilia sud-orientale è quello del 13 Dicembre 1990, chiamato “terremoto di Santa Lucia” o “di Carlentini” dal nome del Santo venerato in quel giorno e della località maggiormente colpita. Il suo epicentro fu in mare a pochi chilometri dalla costa e la magnitudo momento fu pari al grado 5,6 Richter. Nelle località investite dall’evento, il sisma produsse effetti fino al grado 7-8 della scala Mercalli. La pericolosità sismica generalmente si esprime come il valore dello scuotimento del suolo atteso con una probabilità del 10 percento in 50 anni: ciò significa che in 10 casi su 100 si potranno avere valori di scuotimento anche maggiori, in 90 casi su 100 si registreranno valori minori di quelli indicati. I diversi colori della Mappa di Pericolosità Sismica descrivono tali valori di scuotimento, misurati come frazione dell’accelerazione di gravità “g” (9,8 m/s2). In Sicilia Orientale la pericolosità sismica presenta valori molto alti (superiori a 0.27 volte “g”) che in Italia si hanno solo in questa zona e in provincia di Cosenza. Il Dvd “Terremoti e città fantasma in Sicilia, un viaggio attraverso i luoghi della memoria” prodotto nel 2008 dall’Ingv, propone un viaggio virtuale nella storia sismica siciliana, attraverso le tracce degli effetti distruttivi di alcuni terremoti del passato: non solo quello del 1693, ma anche i terremoti del 1783 nell’area calabro-messinese e l’evento del 1968 nel Belice. Il documentario, ideato come strumento di formazione destinato agli studenti della scuola secondaria di 2° grado e al pubblico adulto in genere, può essere richiesto gratuitamente (www.edurisk.it/it/itinerari/viaggi-virtuali.html). Nel 2014 la Rete Sismica Nazionale dell’Ingv ha permesso di localizzare 24.312 terremoti, circa 3000 eventi in più rispetto al 2013. In Italia nel 2014 sono avvenuti in media 66 terremoti al giorno, quasi un sisma ogni 20 minuti. I terremoti di magnitudo 1.5 o superiore sono stati meno di un terzo del totale: 7.169, ma se ci si limita a contare i terremoti da magnitudo 2.5 in su, quelli per i quali l’Ingv effettua una comunicazione alla Protezione Civile, si scoprono 731 eventi, ossia una media di due comunicazioni al giorno. I dati di tutti gli eventi sismici che avvengono in Italia vengono rivisti dai sismologi in turno H24 nella Sala Operativa di monitoraggio sismico, pubblicati pochi minuti dopo ogni terremoto sul sito Ingv denominato Iside. Nonostante il numero di terremoti registrati nel 2014 sia stato maggiore degli anni precedenti, non sono stati registrati eventi di magnitudo superiore o uguale al quinto grado Richter. Sono stati due gli eventi di magnitudo più alta, Mw=4.7, entrambi nel mese di Aprile 2014 a distanza di tre giorni. Il primo è avvenuto il 5 Aprile ed è stato localizzato nel Mar Ionio al largo della Costa calabra orientale nelle vicinanze di Isola Capo Rizzuto in provincia di Crotone. L’evento è avvenuto ad una profondità di circa 60 Km, è stato avvertito in tutta l’Italia meridionale come risulta dalla mappa dei risentimenti ricavati dai questionari compilati da più di mille persone (www.haisentitoilterremoto.it). Il secondo evento di magnitudo Mw=4.7 è avvenuto il 7 Aprile nelle Alpi Cozie in territorio francese, a pochi chilometri dal confine italiano. Anche questo terremoto ha avuto un gran numero di risentimenti, in particolare nel Piemonte, nelle città più vicine al confine con la Francia, come Cuneo e Torino. Nel 2014 altri 14 eventi hanno avuto una magnitudo compresa tra 4.0 e 4.4 e 198 eventi tra 3.0 e 3.9. Dall’andamento spazio-temporale della sismicità nel 2014 si nota che la maggior parte della sismicità si è manifestata attraverso sequenze sismiche. I terremoti, per la maggior parte, non si presentano isolati ma a gruppi di eventi. Al crescere della magnitudo del terremoto principale generalmente cresce il numero di terremoti di una sequenza, anche se questa fenomenologia non vale sempre. In genere, anche la durata di una sequenza può variare da alcune decine di minuti fino a molti mesi. Se si analizzano i dati del 2014 con una tecnica specifica (Reasenberg, 1985) si individuano oltre 400 sequenze. Di queste, 100 sono costituite da almeno 5 eventi ciascuna. Alcune sequenze hanno avuto breve durata e pochi eventi, altre invece sono durate diversi mesi e hanno superato il migliaio di terremoti registrati. Dalla figura Ingv che mostra le 100 sequenze individuate, non è difficile notare che esse hanno interessato praticamente tutte le zone sismiche italiane. Le sequenze sono rappresentate in base alla loro durata in giorni che varia da meno di una settimana a oltre tre mesi. Sono 9 le sequenze di durata maggiore di un mese, 28 tra una settimana ed un mese, 63 quelle di durata inferiore a una settimana. Le sequenze possono essere rappresentate anche in base alla loro “magnitudo equivalente” calcolata sommando l’energia liberata da tutti i terremoti della sequenza e valutando quale sarebbe stata la magnitudo di un unico evento che avesse liberato la stessa energia. Si nota che le due sequenze che hanno liberato l’energia maggiore sono avvenute al di fuori del territorio nazionale, non lontane dai nostri confini, e coincidono con le aree dove si sono verificati gli eventi di maggiore magnitudo nel 2014. La sequenza delle Alpi Cozie, con l’evento principale avvenuto il 7 Aprile, di Mw=4.7, sul versante francese, ha liberato in due mesi e mezzo un’energia equivalente a un terremoto di magnitudo 5 Richter. La sequenza avvenuta in Slovenia, circa 35 chilometri a est di Trieste, con l’evento principale avvenuto il 22 Aprile, di Mw=4.3, ha avuto una magnitudo equivalente di 4.6. Altre sequenze che hanno avuto magnitudo equivalente superiore al quarto grado Richter sono avvenute nel Mar Tirreno, nei pressi delle Isole Eolie; sul Pollino, dove anche nel 2014 è continuata la lunga sequenza iniziata anni prima; sui Monti del Matese; a sud di Firenze nella Val di Pesa, dove si è liberata un’energia di magnitudo equivalente M=4.4 in 337 terremoti avvenuti in soli 13 giorni. La fascia appenninica centrale, che si estende verso nord a partire dalla città di L’Aquila, lambisce la provincia di Rieti e prosegue negli Appennini umbro-marchigiani fino a Città di Castello (PG) e Sansepolcro (AR), è stata anche nel 2014 l’area con il maggior tasso di sismicità di tutto il territorio nazionale per numero di eventi. In questo settore appenninico sono state registrate dall’Ingv le due sequenze italiane più durevoli nel tempo e più numerose di eventi dell’anno: la prima nei pressi di Pietralunga, con 1078 terremoti e quasi 4 mesi di durata, e la seconda nei pressi di Gubbio con 636 terremoti e oltre 7 mesi di durata. In realtà queste due sequenze appartengono a una stessa area sismogenetica che ha avuto nel 2014 un’attività quasi continua descritta come sequenza sismica di Gubbio. Che ha avuto periodi di grande attività soprattutto nei primi mesi dell’anno. La sismicità, che aveva prima interessato il settore tra Gubbio e Pietralunga, si è concentrata successivamente in una zona diversa, più a nord-ovest, tra Umbria e Marche, circa a metà strada tra Città di Castello e Apecchio (PU), per poi interessare di nuovo l’area vicino a Gubbio. In totale sono stati localizzati nel 2014 oltre 12mila terremoti in quest’area, la metà di tutti gli eventi registrati dalla Rete Sismica Nazionale. La gran parte di questi eventi sismici ha una magnitudo minore di 2, soltanto 400 terremoti hanno fatto registrare una magnitudo uguale o superiore a questo valore. L’andamento della sismicità eugubina, manifestata con tutte le caratteristiche di uno sciame sismico durante il 2014, è ben evidenziato nel grafico Ingv dov’è rappresentato il numero di terremoti registrati mese per mese. Si osserva un numero maggiore di eventi nei primi mesi dell’anno per poi scendere costantemente fino a una ripresa dell’attività nel mese di Dicembre. Dal grafico è possibile notare anche la percentuale di eventi di magnitudo uguale o maggiore di 2.0 rispetto al totale. Impariamo dall’India, dal Cile, dalla Nuova Zelanda e dalla Turchia: ricostruzione, ripresa economica, boom degli affari e rivoluzione del lavoro. E fondiamo la FEMA, la Protezione Civile Europea, insieme alla Russia. La logica giuridica del Dispositivo della Sentenza aquilana cristallizza con formula piena il clima oscurantista che si respira oggi in una Italia sempre più lontana dalla logica della Scienza e dal buonsenso, dalla diligenza e dalla prudenza del Pater familias.
© Nicola Facciolini
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