Mediaset mette sul piatto 1,22 miliardi di euro per prendersi le torri di trasmissione del segnale della Rai e portarle via da Piazza Affari, lanciando un’offerta pubblica d’acquisto e scambio per conquistare il 100% di Rai Way, attraverso la controllata Ei Towers, a sua volta la società che possiede le antenne delle televisioni di Cologno Monzese.
Il deputato Pd e segretario della Commissione di vigilanza, Michele Anzaldi, ha definito l’offerta “incomprensibile”, anche se sa bene che invece è molto chiara negli intenti e negli scopi.
Bersani fa lo spiritoso e dice: “ora mi aspetto che il Milan compri l’Inter” e Toti, che ormai è in tutto e per tutto la voce di Berlusconi, replica dicendo che “le imprese italiane soffrono di nanismo capitalistico”.
A borse chiuse, nel tardo pomeriggio, il governo cerca di stemperare i toni con una nota dove, da un lato si sottolinea “l’apprezzamento da parte del mercato della scelta compiuta dal governo di valorizzare la società facendola uscire dall’immobilismo nel quale era confinata” e poi si ricorda che, “considerata l’importanza strategica delle infrastrutture di rete, un Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 2 settembre 2014 ha stabilito di mantenere in capo a Rai una quota non inferiore al 51%” di Rai Way”.
Di fatto uno stop alle mire del Biscione che ha allarmato larghe strati del Pd, il Movimento 5 Stelle, Susanna Camusso ed il Sel, con Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, che dice: “Lanciamo un allarme: non vorremmo che quel patto del Nazareno uscito dalla porta rientrasse dalla finestra”.
L’Opa, comunque, ha giovato per ora sia alla Rai che a Mediaset che brindano per l’apprezzamento in borsa dove Rai Way balza ad un più 9,4%, ed Ei Towers (gruppo Mediaset) chiude a +5,2%.
Comunque, scrive il Corriere, in Rai ci sono alcuni manager che considerano appetibile l’operazione del Biscione perché porterebbe in casa contanti per almeno 385 mln, una quota del 12% nella nuova società della antenne e almeno due posti in cda.
Pertanto, anche se il Governo la bolla come irricevibile, oggi a Milano il cda della Rai discuterà nel merito l’offerta aggressiva di Mediaset , che è così eclatante da giustificare approfondimenti (e preoccupazioni) seri.
Ettore Livini su Repubblica commenta che come sempre, quando ci sono di mezzo Berlusconi e le sue casseforti che si svuotano, partono complesse operazioni in cui finanza, politica e questioni di famiglia si intrecciano strettamente.
Scrive sempre Livini che il Biscione ha iniziato a mettere “fieno in cascina” fin dal 2013 varando quella che – fino a poche settimane fa – sembrava solo una campagna di saldi per sistemare i conti e girare un po’ di liquidità ad Arcore. Sul mercato sono finiti il 5% di Mediolanum, il 7,7% di Mediaset, una quota di Ei Towers, tv digitali in Spagna, il 10% di Premium e persino il Milan, i cinema e il golf di Tolcinasco e con un incasso totale di 1,5 miliardi.
Ed ora che si è chiuso l’ombrello del Nazzareno Fininvest ha una liquidità tale da costruirsi un futuro da solo, senza i lacci e laccioli della politica, sferrando un doppio attacco a Rcs Libri e Rai Way, facendo così traballare i fragili equilibri della finanza e dei palazzi romani.
Il fine “industriale” del doppio blitz è chiaro: costruire sotto il cappello di Arcore “campioni nazionali” in settori dove la crisi ha limato i margini (l’editoria) o dove non c’è spazio per troppi concorrenti (le reti di trasmissione); con l’obiettivo – dicono i maligni – di renderli più appetibili in vista di un’eventuale vendita.
Vale la pena ricordare che, non meno sospetta anche se meno eclatante, è l’offerta della Mondadori per i libri Rizzoli; un segnale chiarissimo che ha innestato proteste degli scrittori e accuse di monopolismo che però non hanno prodotto alcuno scudo, dal momento che i soci di via Solferino passano il tempo a tirarsi per la giacchetta tra loro, mentre Segrate, dopo aver rimesso in sesto i suoi conti, può mettere i soldi sul piatto e puntare secca al Bingo, sperando – con molte buone ragioni – che quel che resta dei vecchi salotti buoni non sia più un ostacolo serio ai suoi sogni di grandezza.
Mentre la galassia Berlusconi si lancia negli acquisti il governo vende ed il ministro del Tesoro annuncia raggiante di aver concluso la cessione di una quota del 5,7% dell’Enel, corrispondenti a circa 540 milioni di azioni, ad un pool di quattro banche, Goldman Sachs, Bofa Merril Lynch, Mediobanca e Unicredit, selezionato per realizzare l’operazione attraverso un bookbulding accelerato, ovvero la scelta di una rosa qualificata di investitori disponibili a comprare il titolo a un determinato prezzo.
Così’ se ne va un altro pezzo della economia pubblica e, soprattutto, nessuno dice dove andranno i fondi ricavati e se saranno indirizzati destinati i a coprire le maggiori spese correnti, ridurre l’indebitamento pubblico, aumentare gli investimenti o finanziare una avventura militare in Libia.
E’ scoraggiante poi, oltre al raffronto fra Italia di oggi ed Argentina del 2001, ricordare che Renzi, solo pochi mesi fa, aveva detto: “Le privatizzazioni si faranno e i target previsti verranno rispettati”, ma “non sono convinto che si debba partire da Eni e Enel che guadagnano bene. Non vedo prioritario ridurre le quote dello Stato in due società che hanno grandi potenzialità, il corso dei titoli può ancora crescere, si può fare un discorso più strategico.”
Davvero grande coerenza e lucidità di pensiero.
Il 21 febbraio, al Policlinico di Milano, è morto Luca Ronconi, inventore ed artefice di nuovi luoghi teatrali, genio indiscusso della creazione di “fabule”, ma un dilettante rispetto a certi politici nostrani.
Nel 2012 Ronconi ha ricevuto il Leone D’Oro alla carriera ed ora di spremo per chiedermi quale premio sia adatto per l’irriducibile Berlusconi e l’affabulatore Renzi.
Mi viene in mente che quasi sempre, nella storia dei grandi, vi è un dualismo ed una rivalità. Coppi e Bartali, Ronconi e Strehler, Berlusconi e Renzi e, al solito, è chi riesce a generare mutazioni nella percezione della realtà e nel nostro immaginario è destinato a rimanere nella memoria.
Nel suo Laboratorio, a Prato, Ronconi allestì una memorabile versione “neorealista” de “La vita è sogno” di Calderon de La Barca, dove allestì in modo sublime lo scontro inevitabile con riflessioni filosofiche di straordinaria entità: la vita umana intesa come processo verso la vera conoscenza, in chiave platonica o cristiana, il passaggio dalla pura ferinità alla razionalità, il rapporto tra fato, provvidenza e libero arbitrio.
E dove, soprattutto, con chiare sfumature psicoanalitiche, ci disse che la cultura è strumento di coercizione e ci ricordò che tra essere e non-essere esiste una realtà intermedia, il sensibile che, essendo un misto di essere e non-essere, prevede una conoscenza intermedia tra scienza e ignoranza: la doxa o opinione e chi domina questa, può dominare gli uomini ed il mondo.
Carlo Di Stanislao
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