Di tutti i mali è la fame quello che ricorda con più dolore. Antonio, 84 anni, sposato e padre di tre figli, tutti e tre laureati come tiene a precisare, sopravvissuto ai lager del periodo fascista, racconta la sua storia al microfono di tiKotv che apre una finestra ‘sociale’ nell’ambito del progetto New Media Center, Web Community. “Nessuno mi dava da mangiare, il campo era pieno di gente cattiva che non ti dava niente”. Antonio aveva appena 12 anni quando finisce prigioniero in un campo di concentramento. Un calvario che ha inizio con i bombardamenti delle truppe tedesche a Castel di Sangro. In fuga verso la frontiera, Antonio viene catturato e portato a piedi fino a Campobasso, da lì la deportazione in un lager di Brindisi dove patì la fame e la sete, la solitudine e la disperazione, quella di un bambino che della vita aveva già conosciuto il volto peggiore.
“Oggi mi sento bene, quì alla casa di riposo si riposa davvero” sembra ironizzare Antonio, un signore orgoglioso e fiero che incontriamo sul pianerottolo della Casa di Riposo di Fontecchio, L’Aquila, dove è ospite da qualche anno. “Quì siamo tutti amici e ci divertiamo davvero. Quasi meglio di una famiglia” Sì una famiglia vera, dopo la priogionia, Antonio mette su famiglia, tre figli ai quali non farà mancare nulla e anni di duro lavoro agricolo che lo porteranno su una sedie a rotelle. ” I miei figli sono tutti lontani e mia moglie, malata, è andata a vivere con una di loro. Io non potevo rimanere a casa da solo, con la badante che una volta mi ha anche picchiato” Antonio non sembra soffrire la distanza dalla famiglia almeno apparentemente. “Mia figlia, con i minuti gratis della compagnia telefonica per la quale lavora, la sento quattro volte al giorno.” E’ a quel punto che gli occhi di Antonio si inumidiscono rivelando quel senso di malinconia che niente al mondo può alleviare, se non il calore di un abbraccio che tuttavia non è possibile inviare per posta.
Daniela Braccani
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