Da giugno in avanti ogni volta che la Federal Reserve, la Banca centrale americana, si riunirà, potrebbe essere la volta buona per rialzare i tassi d’interesse. Nell’ultima riunione non sono trapelate indicazioni su quando questo avverrà. Quel che è certo è che la Fed, nel suo mandato, ha come obiettivi la stabilità dei prezzi, come la Banca centrale europea, ma anche, a differenza della cugina europea, della disoccupazione. Ecco perché inflazione e tasso di disoccupazione sono i due indicatori più importanti da tenere monitorati.
1. INFLAZIONE
Quanto all’inflazione, l’obiettivo è del 2%. Ad oggi, non considerando i prezzi dell’energia e del cibo, altamente volatili – parliamo dunque della cosiddetta “inflazione di fondo” – siamo all’1,7%. Considerando invece anche cibo ed energia, il dato è pressoché a zero. Considerato tuttavia che il prezzo del petrolio è comunque ancora basso, questa situazione non potrà durare troppo a lungo, ma ancora qualche margine per attendere, dal punto di vista dei prezzi, c’è.
L’area in grigio rappresenta la recessione
2. ASPETTATIVE DI INFLAZIONE
Quando si pensa all’inflazione, però, bisogna guardare anche alle attese di inflazione. In economia, si sa, quel che conta sono proprio le attese. Se infatti ci si attende un rialzo dell’inflazione in futuro, per esempio, i lavoratori chiederanno un adeguamento dei propri salari, questo si rifletterà sui costi di produzione e allora l’inflazione si alzerà veramente. Lo stesso per chi vende o compra: se mi aspetto un rialzo dei prodotti che servono per produrre le mie merci, inizierò subito ad alzare i prezzi… E da questo punto di vista le attese sull’inflazione prevedono un 1,7% medio per i prossimi dieci: più basso, dunque, del 2%.
3. SALARI
Il terzo indicatore è la dinamica dei salari. Questo è un indicatore che dà indicazioni sia sullo stato di salute del mercato del lavoro, sia sulla dinamica dei prezzi. Quest’ultimi, infatti, negli ultimi trimestri hanno mostrato una forte crescita, pur rimanendo ancora inferiori ai livelli precedenti la recessione. Significa che il mercato del lavoro si sta dirigendo verso una situazione di pieno impiego. In un mercato flessibile come quello americano, infatti, più ci sono posti di lavoro maggiore è il peso contrattuale di un lavoratore, che può dunque richiedere salari più alti. Esattamente l’opposto accade in un periodo con pochi posti di lavoro. Prima della crisi Lehman, infatti, in un periodo di espansione economica, i salari erano cresciuti molto. Questo indicatore potrebbe dunque far propendere per un rialzo dei tassi. Anche perché, come visto prima, questo potrebbe avere un effetto anche sull’inflazione. Oltre che dal lato di un incremento dei costi di produzione, salari più alti significano più soldi a disposizione per i consumatori, quindi maggiori spese, ma una domanda maggiore porta a fare salire i prezzi dei beni e quindi l’inflazione…
4. DISOCCUPAZIONE
Se poi, venerdì, i dati sull’occupazione andranno come previsto, con la disoccupazione in calo al 5,4% dal 5,5%, allora i segnali provenienti dal mercato del lavoro sarebbe di un chiaro rafforzamento.
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