Vanno forte i primi due film italiani a Cannes: 7 minuti applausi per “il racconto dei racconti” di Garrone e bel 10 per “Mia madre” di Moretti, mentre l’ancora atteso “Youth La Giovinezza” di Sorrentino è già stato acquistato dalla Fox di Murdoch che lo distribuirà per tutto il Nord America. del film di Garrone hanno scritto tutti bene: inglesi, statunitensi, tedeschi e solo qualche francese ha espresso riserve, pur dovendo ammettere che si tratta di una operazione intelligente, visionaria, sorprendente e barocca, secondo la definizione migliore del termine. Goffredo Fofi che continua a sostenere che le grandi produzioni rovinano anche le migliori intenzioni, secondo me più per partito preso che per altro. Moretti, ieri, dopo la proiezione del suo film (che invece secondo me è modesto e scontato rispetto al panorama morettiano), ha incontrato la stampa internazionale e si è detto molto soddisfatto per gli incassi: quasi tre milioni di euro in un mese ma si duole per il fatto che, comunque, l’Italia resta un Paese “sempre molto distratto rispetto al cinema sia come fenomeno industriale che artistico”.
In verità le distrazioni son ben altre se occupiamo solo il 23° posto su 36 nella speciale classifica OCSE sulla qualità della vita che oggi pubblica il Sole 24 Ore,l con il dettaglio regionale il dettaglio che ripropone la distanza che ci separa dai paesi davvero civili e la già nota disparità Nord-Sud:, con Bolzano, Trento ed Emilia Romagna che si piazzano nella fascia al top (soprattutto in tema di lavoro, sicurezza, reddito, salute e impegno civile) ed in fondo Campania, Calabria, Puglia e Sardegna.
Domenica, sulla Croisette, con Moretti, vengono presentati altri quattro film, fra cui “Carol” di Todd Haynes, con Cate Blanchett e Rooney Mara e il film francese “Mon roi”, della regista Maïwenn Le Besco, entrambi forti candidati alla Palma D’Oro.
Il 17 maggio è stato anche il giorno in cui si festeggiano i 120 anni del cinematografo, inventato dai fratelli Lumiére e per cerebrarli, sul red carpet, hanno sfilato i fratelli Coen, presidenti di giuria.
Ma la festa mi è sembrata minore e gli applausi ai nostri film meno scroscianti, perché da due giorni ho perso un caro amico: Massimo Gallucci, professore ordinario di neuroradiologia, medico e uomo di straordinarie qualità, che amava la medicina, ma anche la musica, la letteratura ed il cinema e con cui spesso, mi capitava di argomentare su questi temi.
Penso a lui e mi viene in mente il titolo di una mostra che ho intenzione di andare a vedere, che si aprirà il 20 maggio a Roma, realizzata con le foto di Leticia Ruiz Rivera, medico specializzando e fotografa che lavora nel reparto di Medicina Interna dell’Ospedale San Cecilio di Granada (Spagna), che ha voluto raccontare 24 ore di turno in pronto soccorso attraverso i volti dei i medici che vi lavorano., per dimostrare, come Massimo ha fatto per tutta la vita, che lo sviluppo della tecnologia non ha completamente tolto umanità alla medicina e che, anche quando si è un grande, raffinatissimo tecnico e scienziato, si può applicare il principio per cui la comunicazione (e, di conseguenza, il colloquio clinico nella sua accezione più ampia) costituisce l’elemento su cui fondare una relazione e in cui la cronaca della patologia possa tener conto del vissuto soggettivo, e delle emozioni.
Massimo ci ricorda che in medicina, non si agisce solo con la mano: esiste anche il potere terapeutico della parola, che è una via di accesso al mondo della storia, che è il mondo dell’importanza e del senso. Così come l’esercizio della mano si evolve fino a generare il mondo della tecnica, rappresentato dal ‘come si fa’, la funzione della parola genera l’universo del significato, rappresentato nel ‘perché’ e ‘a che scopo’ si fa.
E da un rimando a l’altro mi viene in mente “Terremoto” di Enrico Macioci, giovane, dottissimo scrittore aquilano, che sul fondale del sisma del 2009 indaga l’essere umano nelle sue piccole e grandi tragedie che ci dicono che, in fondo, siamo esseri fragili, inserito in un contesto di cose difficili ed impressionanti, fatti di mancanze che non riusciamo a colmare.
Dopo aver letto il suo “giallo” intitolato “Nick (coincidenze)”, gli dissi che vi avevo trovato il respiro per non temere le tragedia della vita e per considerare la morte solo un paasaggio di stato.
Ora mentre questo giorno si chiude e si scolara, ho iniziato lentamente a rileggere quel libro per non sentire la straziante scomparsa dell’autore.
Carlo Di Stanislao
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