“Lo spirito di questo convegno è stato costruttivo, non competitivo; si è perseguito l’obiettivo di dare ai giovani gli strumenti giusti per poter crescere professionalmente” ha commentato con toni soddisfatti la Prof.ssa Cristina Mussini, Direttore della Clinica di Malattie Infettive all’Università di Modena e Reggio Emilia, e una dei tre presidenti del Congresso ICAR di Riccione. Oltre 1000 specialisti giunti da tutta Italia e ospiti internazionali per fare il punto sulla ricerca in tema di malattie infettive, HIV ed epatite in particolare.
Protagonista la popolazione, le scuole, gli studenti dell’Emilia-Romagna, grazie ai test in piazza, il concorso indetto per le scuole superiori, la gara podistica, in una méta estiva e luogo d’incontro celebre a livello europeo. A Riccione, città di dimensioni ridotte, è stato anche più facile realizzare attività extracongressuali: “Il sindaco e l’assessore al turismo hanno accolto le nostre proposte, come la campagna di prevenzione per l’AIDS, i test in piazza e la maratona, un gesto simbolico che ha dimostrato che siamo noi che andiamo incontro alla popolazione, non rimanendo chiusi nei nostri ospedali e nei nostri laboratori” ha sottolineato la professoressa Mussini. La scelta della sede è stata dovuta anche al fatto che la provincia di Rimini è quella con la più alta incidenza in Italia del virus HIV, 18 su 100mila, con una media regionale di 8 su 100mila.
Per la prima volta non solo Hiv al centro dell’analisi. Oltre a Ebola e ai rischi per il personale sanitario di primo soccorso, anche e soprattutto la diffusione e la cura dell’epatite C: “Oltre il 30% dei nostri pazienti anche con infezione da HIV sono coinfetti col virus C, per cui la nostra pratica quotidiana di trattare anche l’epatite C è stata accentuata anche da un punto di vista scientifico al fine di iniziare a formare i clinici su come trattare al meglio i pazienti” ha proseguito la Mussini.
La PrEP. Un capitolo specifico è stato riservato alla profilassi Pre-Esposizione (PrEP), tra numeri di successo e perplessità di chi la ritiene solo una difesa contro il virus, efficace tanto quanto il preservativo, ma con ricadute economiche e sociali non prevedibili.
La profilassi pre-esposizione è una strategia che, grazie all’uso di un farmaco utilizzato per la terapia, permette di prevenire l’infezione da Hiv nei soggetti esposti. “Ci sono ancora tanti studi da effettuare prima di poter prescrivere una profilassi Pre-Esposizione” ha concluso la Mussini “ma abbiamo una solida base data da studi che evidenziano protezioni di oltre l’80%. Restano dubbi sulle modalità di somministrazione della terapia, sugli eventuali effetti collaterali, ma sicuramente, da infettivologa, se posso devo cercare di prevenire una malattia”.
Nel contesto della Tavola Rotonda “PrEP: is it the right time to act”, oltre ai vari specialisti, è risultato fondamentale il contributo della Community, e delle diverse associazioni dei pazienti.
Rosaria Iardino, Presidente onorario di Network Persone Sieropositive Italia Onlus (NPS), ha sottolineato due principi fondamentali: “la PrEP ha bisogno di un ragionamento collettivo e complesso, che non sia fatto solo da studi clinici, che talvolta sono ancora in fase di elaborazione o sono solo di un certo tipo”. L’NPS, infatti, a questo proposito ha ribadito la preoccupazione dei pazienti sulla possibilità di accedere alle cure per chi è affetto da HCV e HIV. Inoltre, per la Iardino bisogna parlare di PrEP a tutta la popolazione che ne possa avere la necessità: va aperta alle donne, ai sex worker, alle fasce più vulnerabili. Ciò necessita pertanto di studi che prendano in considerazione l’andamento della PrEP in una popolazione allargata.
Alla tavola rotonda hanno partecipato anche una funzionaria di EMA e il responsabile mondiale di Gilead (l’azienda che produce il farmaco) per la PreP, perché il primo problema da superare sarà l’approvazione di questa indicazione da parte di EMA, fino ad allora non sarà possibile prescrivere la PreP in Europa.
Il dialogo è stato comunque ben visto e lascia sperare in una efficiente concertazione. “Dal punto di vista della community, questo è stato il primo congresso che ha coinvolto i pazienti affetti da epatiti; è stato finalmente preso in considerazione il punto di vista degli attivisti di lunga data” ha infatti affermato Margherita Errico a nome di tutte le associazioni pazienti, e membro della segreteria scientifica Icar 2015. “È una peculiarità italiana: un’unica conferenza che riunisce e fa dialogare medici e pazienti per mandare un messaggio ai decisori politici è un sistema poco diffuso negli altri Paesi. Da parte nostra c’è dunque stata una grande adesione per entrare in quest’area di lavoro e l’augurio è che ciò prosegua per le prossime edizioni di ICAR”.
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