I flussi migratori non sono un problema che mette in difficoltà soltanto Italia ed Europa, ma anche realtà diametralmente opposte alle nostre. Il governo australiano, in questi giorni, deve fronteggiare una pesante polemica, scatenata da un’inchiesta indonesiana, dalla quale è emerso che dei funzionari di Canberra avrebbero pagato gli scafisti in arrivo verso le coste australiane, con barconi di migranti perché tornassero indietro.
Il premier, il liberale Tony Abbott, non ha smentito la notizia, limitandosi ad assicurare che farà “di tutto” per fermare il traffico di esseri umani verso il suo Paese. “Lo fermeremo costi quel che costi”, ha dichiarato, “abbiamo arrestato questo flusso e faremo di tutto perché le cose non cambino”. Quanto al presunto pagamento, Abbott ha precisato che non intende rivelare nulla della politica australiana alle frontiere “per non fornire informazioni agli scafisti”.
Uno scafista aveva riferito alle autorità indonesiane di aver ricevuto 30.000 dollari australiani (26.500 euro) dagli australiani per tornare indietro con un barcone carico di 25 richiedenti asilo provenienti da Bangladesh, Myanmar e Sri Lanka. Un portavoce di Giacarta ha affermato che, se confermato, si tratterebbe di un fatto “davvero increscioso”. Per scoraggiare l’arrivo dei “boat people”, l’Australia ha lanciato con le sue forze armate l’operazione “Frontiere sovrane”, con cui intercetta in alto mare i barconi di migranti e li dirotta verso il loro punto di partenza, spesso l’Indonesia. Una politica che secondo il governo di Canberra ha pagato, visto che dal dicembre 2013 un solo barcone è riuscito ad arrivare sulle coste australiane. Tuttavia i barconi continuano a partire e centinaia di migranti sono annegati tentando di raggiungere l’Australia.
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