Siamo un paese corrotto e che non sa uscire dalla corruzione. Ce lo dicono i fatti antichi (Tangentopoli) e più recenti: il Mose, l’Expo, Roma Capitale.
Ma, soprattutto, ce lo dice l’atteggiamento che ciascuno porta nel suo quotidiano, la prassi che ci riguarda tutti di trovare scorciatoie, di eludere i controlli, di contravvenire alle regole e pensare al proprio tornaconto.
Forse aveva ragione Montanelli: “governare l’Italia non è difficile, è inutile”. Per questo le cose non cambiano col variare dei governi e destra e sinistra continuano a dare l’impressione di mettere in campo solo slogan e promesse, senza provocare nessun reale cambiamento.
Più che di politici avremmo bisogno di alchimisti in grado di trasmutare la nostra indole profonda portata al favore, alla raccomandazione, alla bustarella e all’inganno.
L’avvertimento di D’Azeglio è rimasto un buon proposito e quanto diceva di noi il Boccaccio nel suo Decamerone resta una assoluta verità: italiani sono coloro che vivono in Italia e che hanno fra loro in comune solo l’assenza totale della idea di cittadinanza.
Ciascuno cerca per sé la scorciatoia più comoda, salvo poi criticare tutti gli altri se fanno la medesima cosa.
Non amo in alcun modo i 5 Stelle, ma do ragione a odi Battista nel suo recente discorso a Renzi (o contro Renzi), ricorda che siamo non solo corrotti, ma intrisi di razzismo e xenofobia, nonostante ci professiamo cristiani e ci vantiamo di essere sede papale da sempre.
Non occorreva certo aspettare il meritorio studio di Fabrizio Barca per scoprire che cosa sia diventato il maggiore partito della sinistra e non occorrevano le repliche dei dirigenti di tale partito per scoprire che la corruzione dilaga ovunque e non ha colore politico.
In questo inizio d’estate, in attesa di quella magica notte (quella di S. Giovanni, il 24) che fu chiamata “porta degli uomini”, leggo con crescente amarezza l’analisi che “Il Sole 24 Ore” fa sulle difficoltà di Matteo Renzi, sotto assedio del cambiamento del clima politico in Europa, con il rafforzamento dei partiti anti-Buxelles, anti-euro e anti-immigrati, fenomeni che riguardano quasi tutti i Paesi europei, senza distinzioni fra Nord e Sud, fra Est e Ovest, fra ricchi e poveri, grandi e piccoli.
Sugli immigrati, Renzi non pare aver capito che i problemi sollevati dalla destra “xenofoba e razzista”, che sono essenzialmente problemi di sicurezza, rispetto delle regole, decoro, sono problemi reali, chiaramente avvertiti dalla maggior parte degli italiani. In questo, Renzi si è rivelato molto simile ai suoi predecessori progressisti, che sui temi della sicurezza hanno sempre balbettato, prigionieri dell’etica. Detto per inciso, il tasso di criminalità degli stranieri è circa 5 volte quello degli italiani, segno che l’allarme delle persone comuni è in linea con la realtà.
Ma se dico questo passo per un reazionario destrorso, una che la prossima volta voterà Salvini, uno che, nonostante le sue più radicate ed antiche convinzioni, sarà guardato con sospetto anche in famiglia.
Sabato, ì presso la Città dell’Altra Economia (nell’ex Mattatoio), a Roma, si è detto che anche il viaggio di chi si è sottratto alla morte e alla persecuzione nei paesi di origine o alle sevizie dei trafficanti di uomini, oggi trova le porte sbarrate di un continente incapace con le proprie istituzioni di affrontare un’emergenza.
E si è aggiunto che, contro l’elementare diritto alla protezione di chi chiede asilo e rifugio si rovesciano parole e atti di una campagna di paura e rancore che incentiva il razzismo e la xenofobia.
Ed io ho pensato che tutto questo è avvenuto anche perché sui migranti che sbarcano sulle nostre coste si è attivata una rete di corruzione e malaffare che li ha resi due volte vittime: del risentimento di chi vivendo il disagio delle nostre periferie finisce per farne il capro espiatorio delle proprie paure e di chi ne ricava l’alibi per negare ogni forma di accoglienza e protezione.
Ed ho anche pensato, dolorosamente, che non è volgendo altrove lo sguardo o illudendosi di rimanere al riparo delle frontiere d’Europa che si interromperà la fuga dall’incendio che divampa dal Medio Oriente all’Africa sub sahariana fino alle coste del nord Africa. Perché il terribile anno trascorso dall’ultimo 20 di giugno, è destinato a peggiorare un bilancio di morti, disastri umanitari, lacerazioni e conflitti.
Non mi genera minore amarezza il ritorno in grande stile del movimento anti-casta, alimentato dalla deprimente catena di scandali e inchieste che, per l’ennesima volta, ha colpito la politica italiana, coinvolgendo in pieno il partito del premier.
La tristezza deriva, come dicevo, dal constatare che nessuno ha il coraggio di farsi un esame di coscienza e dire che, come al solito, abbiamo una classe che ci rispecchia, che siamo scelta e meritata.
La realtà del nostro paese, ammesso che si possa parlarne in termini di unità, contiene un dato macroscopico di cui si tende a non parlare: la resistenza sorda ad ogni cambiamento, sostenuta da innato gattopardismo e dalla tendenza furba e scaltra del superamento dell’aggiramento delle regole con ogni possibile mezzo.
A Torino, il Papa, lì giunto per l’ostensione della Sindone, si è rivolto ai giovani e ha raccomandato loro di “vivere, non vivacchiare”.
Ma per far questo, ricordando anche l’insegnamento di Don Bosco di cui si celebra il bicentenario della nascita, occorre avere una forte tensione morale, quella stessa che oggi più che mai ci difetta, singolarmente.
Pochi giorni fa, stroncato da un infarto, è morto Fouad Allam, un uomo che, da intellettuale e da politico, ha sempre mostrato una tensione morale volta alla ricerca di un modo di vivere capace di rispettare le esigenze altrui e diverse secondo regole ve leggi condivise.
Figlio dell’Algeria in cui il padre si armava per andare a combattere in Israele e il potere attizzava la rabbia popolare contro la Francia ex ma per sempre occupante, era noi e loro insieme, intellettuale raffinato, musulmano, amico d’Israele, della Francia e dell’islam che veramente sostiene la pace.
Per questo viveva braccato dalle minacce. Ma non ha mai smesso di parlare. L’ha fatto fino all’ultimo con un corso universitario a Parigi, il suo ultimo libro “Il jihadista della porta accanto”, le infinite conversazioni con gli amici ad arrovellarsi sulle sorti di noi e di loro.
L’ha fatto con una vita esemplare, senza scorciatoie e sotterfugi, anche quando è stato politico, con La Margherita prima e l’Ulivo, poi.
“Siamo in guerra” aveva ha detto meno di un mese fa dal palco del Salone del Libro di Torino davanti a tanta gente, la sala piena come quando a raccontare sono studiosi che usano il cervello senza dimenticare il cuore.
E non parlava di noi e loro, occidente e medioriente, cristiani e musulmani, parlava di tutti gli uomini ancora animati da tensione morale.
Persone come lui ci ricordano che l’Italia non sta attraversando solo un periodo di difficoltà economica e finanziaria, ma, soprattutto, ha smarrito quella tensione definita in passato da un grande uomo politico “questione morale”.
Una questione che ci riguarda tutti, che ci impone singolarmente grande senso di responsabilità, da cui non ci si può sottrarre e di cui si deve rispondere in primo luogo a se stessi.
Carlo Di Stanislao
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