Una recente visita guidata nel monastero aquilano di San Basilio, condotta dal Gruppo Aquilano di Azione Civica “Jemo ’nnanzi” nell’ambito dell’iniziativa Archeoclub “Una settimana non basta”, è stata l’occasione per constatare direttamente la presenza di un dipinto raffigurante il Cristo che appare alla Maddalena, nella interessante iconografia che lo raffigura con una zappa a spalla.
Del dipinto scrive Giovan Battista Manieri nel 1932 in una sua pubblicazione relativa all’analisi di alcuni affreschi presenti nella città di L’Aquila. Descrivendo il Cristo “ortolano” di San Basilio così ne parla il Manieri: «Esso sta incassato in una cornice dipinta dalle dimensioni m. 1,30 x 1,40 […] in una specie di altare – forse, anticamente una cappellina». La collocazione descritta dal Manieri è quella osservabile ancor oggi, all’interno della nicchia sotto il ballatoio di uno dei bastioni delle mura settentrionali della città che, all’interno, cingono l’orto delle monache benedettine-celestine. Il Manieri data il dipinto al XV secolo; a prima vista l’immagine sembrerebbe inquadrabile tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo.
Continua Manieri: «Rappresenta il Cristo, che, dopo risorto, compare alla Maddalena, nelle sembianze d’un ortolano – come dicono le sacre scritture».
Il riferimento è all’episodio narrato nel Vangelo di Giovanni (20,11-18), noto come Noli me tangere (letteralmente “Non mi toccare” dal latino, oppure “Non mi trattenere” secondo più recenti interpretazioni ufficiali facenti riferimento al passo greco): la Maddalena si reca al sepolcro di Cristo e trovandolo vuoto rimane sgomenta; nel voltarsi indietro le appare Gesù risorto che però ella non riconosce subito e lo scambia per il custode dell’orto-giardino nel quale si trovava il sepolcro stesso, il che spiegherebbe la presenza della zappa. Soltanto quando Cristo la chiama per nome, la donna lo riconosce e Gesù, pronunciando la celebre frase, la invita a tornare dai discepoli ai quali ella annuncia di averLo visto.
L’episodio del Noli me tangere è stato rappresentato nel tempo da diversi artisti più o meno noti ma nelle raffigurazioni il Cristo non compare sempre con la zappa: talora è rappresentato senza oggetti, talora recante il vessillo della Resurrezione con croce rossa su campo bianco.
Un’iconografia, quella del Cristo “ortolano”, fortemente attinente in un posto come quello di un orto-giardino monastico; una scena che, superando i secoli, si trasferisce idealmente dall’orto del sepolcro all’orto di San Basilio svolgendosi lì e in quel momento, ricordando che la Resurrezione di Cristo va oltre la storia umana e avviene ogni giorno, ogni momento.
L’immagine d’epoca riportata nella pubblicazione del Manieri denota per quel periodo (entro il 1932) uno stato di conservazione più che buono, nonostante nel 1915 il monastero fosse stato requisito e occupato temporaneamente per usi militari, più precisamente come sede di “Infermeria presidiaria” (Decreto del 29/03/1915 del Ministero della Guerra), come risulta anche dai periodici dell’epoca. L’autore rileva con sollievo che, nonostante le vicissitudini passate, l’immagine non risulta deteriorata.
Purtroppo lo stato attuale del dipinto denota invece una situazione di forte degrado dovuto forse a più fattori intervenuti nel corso degli ultimi ottant’anni. Tuttavia la posizione riparata in cui è collocato il dipinto ne ha probabilmente rallentato il deterioramento per cui, ancora oggi, una parte importante dell’immagine è visibile e può essere recuperata: si distingue ancora discretamente la figura del Cristo con la zappa e si riesce a leggere il profilo della Maddalena nonostante questa figura abbia perso gran parte del colore.
Sulla volta della nicchia campeggia invece un Agnello recante il vessillo della Resurrezione, immagine allegorica del Cristo risorto. La figura dell’agnello appare meno leggibile a causa di un elevato livello di degrado ma anche in questo caso potrebbero esserci dei margini di recupero.
Quel che appare evidente è che questi brani pittorici richiedono urgenti interventi di restauro e consolidamento che ne scongiurino la distruzione completa; la loro posizione riparata, come già detto, ne aiuterebbe di molto la conservazione.
L’augurio è che i lavori di restauro delle mura in quel tratto possano garantire il miglior recupero possibile di questi preziosi dipinti murari dall’interessante iconografia.
Mauro Rosati
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