Tornano in Europa i vecchi muri della vergogna; oggi servono per fermare i migranti

La storia si ripete ed il richiamo ai corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico in questo caso è più mai che pertinente. Dopo l’abbattimento dei i vecchi muri “della vergogna”, primo fra tutti quello di Berlino il 09.11.1989, che suggellò la definitiva caduta del comunismo e restituiva ai berlinesi la libertà e il diritto […]

La storia si ripete ed il richiamo ai corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico in questo caso è più mai che pertinente. Dopo l’abbattimento dei i vecchi muri “della vergogna”, primo fra tutti quello di Berlino il 09.11.1989, che suggellò la definitiva caduta del comunismo e restituiva ai berlinesi la libertà e il diritto di circolare e di ricongiungersi con i propri famigliari, l’Europa torna a sperimentare barriere ed aree d’isolamento questa volta destinate e fermare i migranti, dalla Manica all’Ungheria, ricorrendo a strutture metalliche o pianificando veri e propri argini murari.

Ci ha lasciati molto perplessi il fatto che il Parlamento ungherese abbia deciso di costruire un muro alto ben 4 metri e lungo ben 175 chilometri alla frontiera con la Serbia per impedire l’ingresso nel Paese dei migranti; il muro sarà pattugliato notte e giorno dai soldati ungheresi; la notizia è stata diffusa nello stesso momento in cui è scoppiata una violenta reazione, l’ennesima per la cronaca, che ha creato ore di caos e lutti a Calais presso l’ingresso dell’Eurotunnel franco-britannico, dove un migrante è morto in circostanze poco chiare durante l’ennesimo disperato tentativo di attraversarlo clandestinamente. In questa che può essere considerata una vera e propria strettoia di transito, facilmente controllabile, le autorità francesi e britanniche hanno deciso lo scorso settembre di erigere ugualmente nuove barriere dal valore tristemente simbolico. Il dramma di Calais si trascina ormai da tante, troppe settimane con proteste e violente agitazioni quotidiane e con incursioni disperate nell’area costiera del capoluogo settentrionale francese, dove la Manica è osservata quotidianamente con un sospiro dalle circa tremila anime ammassate nella “giungla”; termine coniato per identificare la moltitudine di accampamenti di fortuna popolati da migranti e profughi d’origine soprattutto africana (eritrei, etiopi, sudanesi, egiziani) e asiatica (siriani e afgani), esposti all’insicurezza e spesso privi finanche di facili accessi all’acqua; il problema sembra ancora lontano da una soluzione; lo stesso dicasi per i migranti che da oltre un mese vivono sugli scogli nei pressi di Ventimiglia ed ai quali la gendarmeria francese impedisce l’ingresso in Francia. Nella notte fra venerdì e sabato scorso, circa 150 migranti della “giungla” hanno tentato d’irrompere a più riprese in una sezione del tunnel; sono scattati subito i blitz e le reazioni per bloccarli, con ricadute anche sulla circolazione di treni ed auto. Per prevenire nuove incursioni, un accordo franco-britannico siglato a settembre prevede di rafforzare le recinzioni esistenti nell’area portuale e di costruire una nuova barriera lungo la principale strada d’accesso. Una logica simile ha spinto, come dicevamo, una maggioranza di 151 parlamentari ungheresi (contro 41 contrari) ad approvare il progetto del nuovo muro alla frontiera con la Serbia, giustificato in questi termini da Sandor Pinter, ministro dell’Interno nel governo del premier conservatore Viktor Orban: “L’Ungheria deve affrontare la più grande ondata di migranti della sua storia. La sua capacità di accoglienza è superata del 130%. In proposito, secondo una stima ufficiale, il Paese è stato raggiunto quest’anno da 67mila migranti e rifugiati. Inoltre, nel quadro di una più ampia revisione delle regole interne sull’immigrazione, l’Ungheria ha varato ulteriori misure restrittive sul diritto d’asilo”. Una decisone criticata subito dall’Onu ma che non ha prodotto alcun tipo di ripensamento e di risultato. L’impressione è che tanto l’Unione Europea quanto l’ONU sulla questione dei migranti siano ormai entrati nel pallone; la mancanza di una strategia unitaria, l’ostruzionismo di molti paesi europei più propensi ai respingimenti che all’accoglienza impediscono all’Europa di raggiungere sul piano politico una intesa per affrontare con razionalità ma soprattutto con spirito umanitario un esodo biblico dettato da una pluralità di ragioni molte delle quali condivisibili e meritevoli di accoglimento ed altre che richiederebbero verifiche più severe per identificare i militanti dell’isis che giungono in Europa in incognito con i barconi dei migranti; per identificare coloro che si fingono migranti ma solo per sottrarsi alla giustizia nei paesi d’origine; per fermare la delinquenza organizzata come quella albanese che riesce a piazzare in tutta Europa incredibili quantità di droghe ed altro. Gli sbarchi ed i morti intanto non si fermano, sempre ieri, nell’Egeo, fra le isole greche di Farmakonisi e Agathonisi, e di Creta non lontano dalla costa turca, sono scattate le drammatiche operazioni per soccorrere in mare decine di migranti che occupavano due diversi natanti naufragati; secondo l’OIM ( Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) la quasi totalità degli sbarchi in Italia viene dalla Libia, mentre siriani e afghani puntano sulla Grecia partendo dalla Turchia ed hanno trasformato le isole greche ed in particolare l’isola di Lesbo in una “ nuova Lampedusa”.

Alla metà di giugno secondo le stime dell’ UNHCR, un totale di 103 mila persone sono sbarcate in Europa: 54 mila in Italia, 48 mila in Grecia, 920 in Spagna, e 91 a Malta. Il fenomeno è serio e complesso ma non si risolve sparando sui barconi , l’Europa ha varato il Piano Frontex si tratta di modificarlo ed integrarlo in modo da trasformare una azione di sorveglianza e di monitoraggio in una azione finalizzata ad assistere e soccorrere in mare quanti per le più diverse ragioni desiderano venire in Europa, fermo restando che la regolamentazione dei flussi in arrivo e la loro redistribuzione nelle diverse Nazioni europee dei deve essere negoziata con l’Unione Europea e con i Paesi dai quali provengono i migranti; è in quelle Nazioni che l’Europa, l’ONU e gli altri Organismi Internazionali devono lavorare con più determinazione sul piano diplomatico, della cooperazione e della solidarietà internazionale per creare le condizioni necessarie che convincano i migranti a restare nelle terre natie; vanno create strutture abitative, sanitarie, scuole, scuole di formazione, aziende agricole, imprese, strutture ed infrastrutture e quant’altro si renda necessario per il conseguimento del predetto obiettivo; l’appello va rivolto agli Stati desiderosi di investire ed agli imprenditori coraggiosi ed illuminati pronti a sponsorizzare un grande progetto umanitario che certamente consentirà il raggiungimento di obiettivi etici ed economici di grande rilevanza; la Comunità Internazionale, le Nazioni devono farsi carico di incentivare e sostenere questo Progetto.

La Federazione Italiana Lavoratori Emigranti si attiverà per sostenere, grazie anche alla collaborazione con il quotidiano internazionale on line “ Il Corriere di Puglia e Lucania, questo progetto presso tutte le Nazioni Europee per verificarne la disponibilità in concreto. Abbiamo ascoltato tante, veramente tante testimonianze dalle quali è emerso un dato veramente sconvolgente, la stragrande maggioranza dei migranti lasciano in lacrime la loro terra ed affermano che se ci fossero le condizioni resterebbero nei luoghi natii.

Giacomo Marcario

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