Un problema non solo sanitario, ma anche e soprattutto sociale. Le apnee notturne, la più frequente causa medica di eccessiva sonnolenza diurna, provocano indirettamente il 20% degli incidenti stradali in Italia. Ma non si tratta dell’unica ripercussione negativa che possono avere sulla nostra vita quotidiana. “La Osas, cioè la Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno – fanno sapere gli esperti – è descritta come fattore di rischio anche per gli infortuni sul lavoro e, più in generale, può provocare peggiori performance lavorative con conseguente perdita di produttività“.
Per saperne di più l’agenzia Dire ha intervistato Desiderio Passali, direttore della Clinica di otorinolaringoiatria dell’università di Siena e past president della Società internazionale di otorinolaringoiatria.
Una patologia che incide nel quotidiano e che si ripercuote persino sulle nostre strade. Si può parlare di vero e proprio problema sociale?
“Non c’è dubbio che le apnee rappresentano anche un problema sociale, oltre che sanitario. Basti pensare che, in maniera indiretta, provocano sulle nostre strade il 20% degli incidenti. Non è un caso che ad interessarsi di questa patologia sia non solo il ministero della Salute, attraverso tavoli e discussioni relativi soprattutto alla diagnosi precoce e all’inquadramento dell’Osas, ma anche l’Aci (Automobile club d’Italia)”.
Le apnee sono un fattore di rischio per gli infortuni sul lavoro, ma più in generale causano peggiori performance lavorative, con conseguente perdita di produttività… È così?
“Certamente. Le apnee producono sonnolenza, la quale crea un abbassamento della soglia di attenzione, che a volte può essere anche fatale. E mi riferisco non solo a chi per mestiere guida, ma anche a tutte quelle persone che svolgono una professione che richiede una particolare attenzione”.
Quanti sono gli italiani che ne soffrono?
“Non ci sono ancora dati precisi in merito, perché solo ora le istituzioni stanno prendendo seriamente in considerazione questo tipo di patologia. Le ultime statistiche parlano di una percentuale che va dal 6% al 10% per quanto riguarda il russamento; di questo 10%, il 4% ha apnee notturne. Quattro su dieci è una quantità notevole, ma ripeto: questo è un problema soprattutto per quelle categorie che noi chiamiamo a rischio”.
Oltre alle ripercussioni sociali, le apnee notturne hanno un costo non indifferente per il Servizio sanitario nazionale. Si può fare una stima?
“Ancora non è possibile quantificare le apnee notturne sotto il profilo dei costi sanitari, ma certamente chi soffre di queste patologie la maggior parte delle volte si sottopone ad una serie di esami random. Il ministero, intanto, negli ultimi mesi ha creato un tavolo di lavoro che ha come scopo proprio la definizione della patologia e il percorso diagnostico che deve fare un soggetto con questo tipo di problema. C’è una presa di coscienza della patologia che mi auguro servirà ad inquadrare il paziente su dove andare per curarsi, spendendo di meno. Il tavolo ministeriale, tra l’altro, proprio a giorni darà risposte in questo senso”.
Qual è il campanello d’allarme? Come si a capire se ci si trova di fronte ad una stanchezza normale oppure ad una patologica?
“Ci sono persone che la mattina si svegliano stanche, con la sensazione di non aver possibilità di far nulla, e che associano questo stato ad una pressione bassa oppure a quello che hanno mangiato la sera prima. Spesso, invece la sonnolenza è dovuta all’interruzione del sonno che non è stato fisiologico e non ha dato la possibilità di poter usufruire completamente del riposo notturno. I campanelli d’allarme sono svogliatezza e sonnolenza cronica, alle quali bisogna porre attenzione quando ci si rende conto che non sono passeggere”.
Come vanno trattate le apnee notturne?
“Esistono una serie di possibilità terapeutiche, che vanno dalla semplice disostruzione nasale, quando la causa è nel naso, al Cpap, un apparecchio che aiuta a far respirare durante la notte erogando pressione nelle vie aeree, fino all’intervento chirurgico che ripristina le normali funzioni fisiologiche. Insomma: ci sono una serie di metodiche terapeutiche che possono eliminare questo disturbo o quantomeno ridurlo notevolmente”.
Carlotta Di Santo-Dire
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