Lunedì prima udienza davanti al Tribunale internazionale del mare di Amburgo per il caso Marò, con l’India che ha manifestato “particolare aggressività” e l ‘ambasciatore Francesco Azzarello, agente del governo italiano, che si augura che il confronto giuridico si mantenga nei binari della correttezza e della verità.
Una verità complessa difficile e veramente delicata, con l’Italia ha tentato in tutti i modi, attivando canali informali e formali, di trovare una soluzione concordata con l’India, ma senza successo, con tentativi inutili e spesso contradditori durati più di tre anni.
Per l’Italia l’incidente è avvenuto in acque internazionali, ma secondo la versione indiana, che poggia su dati recuperati dal Gps della petroliera italiana e sulle immagini satellitari che hanno fatto chiarezza sulla posizione della nave, il fatto è avvenuto a 20,5 miglia nautiche dalla costa, nella zona contigua, al limite cioè delle acque internazionali, ove è diritto dell’India far valere la propria giurisdizione.
Al momento Girone è Nuova Delhi, con pesanti limitazioni della libertà personale, mentre Latorre è in permesso per cure a Taranto, dopo l’ictus dell’agosto del 2014.
La posizione indiana è antitetica perché contesta la giurisdizione del tribunale di Amburgo e afferma la propria assoluta competenza giurisdizionale sul caso.
Il duello vedrà contrapposti due pool di legali: per i marò la linea difensiva sarà tracciata dall’inglese David Bethlehem, ex consigliere legale del Foreign Office; per l’India il governo Modi oltre al procuratore generale aggiunto, PL Narasimha, ha ingaggiato due legali di fama, Alain Pellet, francese, già presidente della Commissione di Diritto Internazionale dell’Onu, e il britannico Rodman Bundy. L’udienza sarà presieduta dal giudice russo Vladimir Golitsyn, mentre del collegio faranno parte l’indiano P. Chandrasekhara e l’italiano Francesco Francioni, professore di diritto internazionale della Luiss.
Il verdetto non arriverà in poche ore: i lavori sono stati già calendarizzati fino al 24 agosto e già domani mattina l’Italia presenterà in forma orale le sue istanze, mentre nel pomeriggio ci sarà la replica indiana.
Noi attendiamo la risoluzione di un caso spinoso, reso ancor più aggrovigliato da una serie infinita di errori da parte sia italiana che indiana.
Il nostro primo errore è avvenuto quando i marò sono finiti in mani indiane. Il governo italiano avrebbe dovuto affidare il caso alla diplomazia dell’Unione Europea, visto che Salvatore Latorre e Massimiliano Girone non erano imbarcati per capriccio personale, ma impegnati in un’operazione antipirateria in linea con la le disposizioni dell’UE e che la decisione legale indiana sul loro caso determinerebbe una giurisprudenza tale da condizionare future situazioni similari. Responsabilizzando da subito l’UE col ruolo da protagonista, da una parte si sarebbero mutati i rapporti di forza tra Italia e India in quelli tra Unione Europea e India, e dall’altra si sarebbe vincolato la UE a un’azione protagonista, con il pieno controllo delle trattative.
Altro gravissimo errore il mutamento di strategia, passata dalla contestazione delle prove balistiche a quella della giurisdizione, argomento certamente più incontrovertibile, ma probabilmente troppo tardivo.
Per non parlare poi della cosiddetta contro-perizia Di Stefano, approdata anche alla camera dei Deputati, che ha scagionato i militari, rivelandosi però in seguito basata su fonti secondarie. E firmata da uno il cui titolo di “ingegnere” è stato messo in discussione, creando non poco imbarazzo.
Altro errore, poi, secondo alcuni (e fra questi il nostro ministro degli Esteri Terzi che si è dimesso), rimandare in India i marò nel marzo del 2013, dopo che erano tornati con un permesso, smentendo platealmente l’impegno giurato preso con le autorità indiane, ma salvaguardando due militari al centro di una questione ben al di sopra delle loro responsabilità.
L’India ha strumentalizzato la vicenda in molti modi e solo dopo un lungo iter ha permesso che il caso fosse discusso di fronte ad una corte internazionale, sbeffeggiando l’Italia in vario modo.
Un atteggiamento, quello indiano, che è ancora più odioso in considerazione del fatto che una loro motovedetta sterminò un decina di tailandesi scambiati per pirati, solo poco tempo prima del caso Enrica Lexie.
Comunque, lunedì, si riprendono le fila di un tessuto che noi italiani abbiamo ampiamente contribuito a cucire male, con i nostri due militari divenuti vittime della politica indiana e della insipienza di almeno quattro governi , che hanno portato la loro esaltazione in patria e la mala-gestione del loro dossier e che, tra l’altro, ci ha lasciati soli a livello internazionale, con buona pace delle lamentazioni dell’Alto Rappresentante Mogherini.
Carlo Di Stanislao
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