Roverto Cobertera è un ergastolano, e anche un redattore di Ristretti Orizzonti, e ha deciso di morire. Vuole morire perché ritiene di essere stato massacrato dalla Giustizia italiana, che lo ha condannato allergastolo per un omicidio, che lui sostiene di non aver commesso. E questo ora lo dice anche il suo coimputato, che si è assunto tutta la responsabilità per quel reato. Roverto non è un innocente, no, lui non ha mai negato di aver commesso dei reati, ma non è un assassino. E noi gli abbiamo creduto non per un eccesso di fiducia verso un amico, ma per la forza della sua rabbia, per il dolore e il senso di desolazione che porta con sé, perché non si rassegna e preferisce morire per riaffermare la verità.
Sappiamo benissimo che ci diranno che uno sciopero della fame della redazione di Ristretti Orizzonti non serve a nulla e forse non aiuta neppure Roverto a trovare la forza di combattere contro una Giustizia spesso poco umana, ma questo sciopero lo vogliamo fare ugualmente, proprio per aiutare tutti a provare a immaginare limpotenza che si prova a venir condannati ingiustamente e non avere gli strumenti per difendersi.
Il nostro sciopero della fame sarà anche simbolico, ma ha degli obiettivi chiari e concreti:
ü in carcere nessuno deve più morire di disperazione, ci vuole attenzione e capacità di dar voce a chi sta male o ritiene di aver subito uningiustizia. Vi ricordate la telefonata del Ministro Annamaria Cancellieri per salvare dal rischio suicidio una persona amica di famiglia? Allora il Dipartimento dellAmministrazione Penitenziaria disse che la sofferenza dei detenuti e delle loro famiglie deve avere risposte immediate, parlò di una linea telefonica dedicata, un Centro di ascolto, una specie di Osservatorio a cui si potessero segnalare i casi critici e avere indicazioni e aiuto. Se ne è più fatto nulla? A noi sembra di no, ma non è mai troppo tardi, è ora di occuparsi della sofferenza in carcere, di monitorare le persone in sciopero della fame, di non abbandonarle;
– Roverto Cobertera deve avere una revisione del processo, con tempi certi e non disumani, perché se poi risulta che una persona è davvero innocente, cè urgenza di FARE IN FRETTA a salvarla;
– questa lotta disperata di Roverto sia occasione per ricordare che lergastolo è una pena disumana SEMPRE, anche quando comminata a una persona sicuramente colpevole; se poi ci sono dei dubbi, se una persona si dichiara con forza innocente e lotta per dimostrarlo, se una persona davvero lo è, allora quella pena diventa un orrore che nemmeno riusciamo a immaginare. Quando Roverto ci dice Voi non potete capire cosa vuol dire avere un fine pena mai per un reato di cui non sono responsabile noi gli rispondiamo che ha ragione, una mente umana non può neppure concepire una simile mostruosità;
– se ci dicono che è difficile trovare alleati per uno che è nero e cattivo, noi rispondiamo che non abbiamo paura di una società incattivita che per ogni fatto di cronaca sa urlare solo in galera, in galera!. Siamo anzi sicuri che, se si va, come facciamo noi, nelle scuole e nei quartieri a parlare di reati e di pene in modo nuovo, le persone cominciano a capire che nessuno è totalmente e sicuramente buono, e nessuno può illudersi di non essere mai toccato dal male. Roverto ha una storia che va raccontata con coraggio: non è un buono, non è senza colpe, ma merita rispetto e una pena giusta;
– ma la storia di Roverto è anche una storia di affetti negati dal carcere: lui ha retto per anni il peso di un ergastolo ingiusto proprio per la famiglia, per quelle sue figlie bambine che lo cercavano e lo aiutavano a stare al mondo. Ma ora le figlie sono lontane, vivono in Spagna, la famiglia arranca, e quel rapporto di affetto tra padre e figlie non si può salvare con una miserabile telefonata di dieci minuti a settimana, dove un padre dopo tre minuti deve dire alla figlia Basta, passami tua sorella, e deve anche sentirsi addosso lurlo di rabbia della bambina: Papà ti odio, non puoi avere tanta fretta e non volermi parlare più!;
– per Roverto e per tutte le persone detenute allora chiediamo che la parola, ormai abusata, umanizzare, riferita alle galere, si traduca in fatti. Ci sono al lavoro già gli Stati Generali dellesecuzione della pena, cè in Commissione Giustizia una proposta di legge per gli affetti delle persone detenute, noi vogliamo ricordare anche a loro che il primo, fondamentale fatto è: che ogni detenuto possa chiamare al telefono la sua famiglia LIBERAMENTE. Forse, se questo fosse possibile, oggi Roverto, ma anche tanti altri che pensano a togliersi la vita in carcere, desidererebbero un po meno morire e avrebbero tra le mani un filo sottile per restare attaccati alla vita.
Per tutti questi motivi, e primo fra tutti perché vogliamo che Roverto viva, il 30 settembre faremo uno sciopero della fame per ricordare che non ci deve più essere una Giustizia, non ci deve più essere un carcere che creino DISPERAZIONE.
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