Sono passati dieci dalla maledetta notte del 25 settembre 2005, quando il 18 enne ferrarese, Federico Aldrovandi, al termine di una serata di divertimento con gli amici, incontrò un’inspiegabile morte. Una vicenda che ha scosso e continua a scuotere le coscienze degli italiani, perché i responsabili della prematura fine del giovane furono quattro agenti di polizia, che nel 2009 sono stati riconosciuti colpevoli di “eccesso colposo nell’suo legittimo di armi” e per questo condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
Una vicenda poco chiara fin da subito, da quando cioè il referto medico constatò la morte del 19enne, attribuendola ad un “arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale”. Una causa di morte che non spiegava le 54 lesioni ed ecchimosi presenti sul corpo del ragazzo, che per altro era stato trovato dal 118 “riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena, incosciente e non rispondeva”.
Quella sera, secondo i racconti degli amici, Federico aveva assunto una modesta quantità di droghe ed alcool, ma al momento del commiato il giovane era tranquillo e in ottime condizioni. I poliziotti Enzo Pontani e Luca Pollastri, accorsi sul posto in seguito ad alcune segnalazioni e successivamente raggiunti dai colleghi Paolo Forlani e Monica Segatto, parlarono invece di un Aldrovandi “invasato, violento, in evidente stato di agitazione”, sostenendo di “essere stati aggrediti dallo stesso a colpi di karate e senza un motivo apparente”. Queste circostanze, secondo gli agenti, avrebbero giustificato la richiesta di rinforzi e l’uso della forza sul ragazzo disarmato, che comunque non giustificava, secondo i poliziotti la morte, anche perché, racconteranno poi nel corso del processo, “prima dell’arrivo dei soccorsi, il giovane stava bene”.
La famiglia, che fu allertata soltanto alle 11 di mattina, cinque ore dopo la constatazione del decesso, non ha mai creduto alla versione dei poliziotti, dando inizio ad una battaglia giudiziaria, divenuta nel corso degli anni, il simbolo della ricerca di giustizia per i morti per mano dello Stato. Da quando il 2 gennaio del 2006, la madre di Federico, Patrizia Moretti ha aperto un blog per chiedere giustizia per suo figlio, la vicenda ha ottenuto la risonanza nazionale e il 15 marzo del 2006 è stata anche aperta l’inchiesta a carico dei 4 agenti, grazie soprattutto alla perizia medica di parte che, contrariamente a quella disposta su richiesta del pubblico ministero, attribuiva la morte del giovane ad “un’anossia posturale”, dovuta al caricamento sulla schiena di uno o più poliziotti durante l’immobilizzazione, scartando inoltre anche l’ipotesi che l’arresto respiratorio potesse essere stato causato dalle droghe, assunte in quantità non sufficiente a provocare una tale conseguenza.
Il 10 gennaio del 2007 i quattro agenti sono stati rinviati a giudizio nel processo che poi ha portato alla condanna, confermata in seguito in appello ed in cassazione. Durante il processo, la famiglia di Aldrovandi ha attirato su di sé le antipatie, e talvolta anche gli insulti dei sindacati di polizia e di politici come Carlo Giovanardi, che non ha avuto alcun problema a descrivere il povero Aldrovandi come un drogato, morto a causa della propria dipendenza.
Per gli insulti ricevuti e per quelli indirizzati a suo figlio, Patrizia Moretti ha presentato numerose querele, tutte ritirate qualche mese fa. Dopo dieci anni di battaglia infatti, la madre di Federico ha chiesto soltanto silenzio sulla vicenda, nella consapevolezza che il dolore per l’assurda morte del figlio non scomparirà mai. Federico sarà ricordato il 25 e 26 settembre a Ferrara con due giorni di musica, parole e immagini, organizzai dall’associazione che porta il suo nome. Una due giorni che culminerà nel dibattito con la madre del ragazzo scomparso, al quale parteciperanno anche due rappresentanti sindacali della Polizia di Stato.
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