La sindrome da crepacuore esiste e uccide quasi quanto l’infarto. “Morire di crepacuore” non è soltanto un modo di dire, ma una vera e propria malattia, nota come sindrome di takotsubo o cardiomiopatia da stress. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Istituto di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacrocuore del Policlinico Gemelli di Roma, che hanno anche calcato che questa patologia ha più o meno la stessa mortalità dell’infarto (5% dei pazienti ricoverati). I risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
“La sindrome da crepacuore colpisce soprattutto le donne (in questo studio in rapporto 9:1)”, ha spiegato Leda Galiuto, una delle autrici dello studio. “Prevalentemente dopo uno stress emotivo, tipicamente un lutto (nel 30 per cento dei casi), o fisico come un intervento chirurgico (nel 36 per cento). La sindrome di takotsubo si associa a malattia neurologica o psichiatrica nella meta’ dei casi, ovvero si presenta spesso in associazione a disturbi psichiatrici come la depressione”. La sindrome si manifesta come un infarto, con sintomi quali dolore al petto o affanno improvviso, si associa ad alterazioni dell’elettrocardiogramma, ma al momento della coronarografia d’urgenza, eseguita nel sospetto di infarto miocardico, le coronarie risultano sorprendentemente normali, senza stenosi (restringimento). Il cuore, però, mostra un’alterazione della forma, che diventa a palloncino, a simulare appunto il vaso (tsubo) che usano i giapponesi per raccogliere i polipi (tako).
Lo studio è stato condotto in 26 centri, sparsi in 9 Paesi tra Europa e Stati Uniti. Sono stati studiati 1750 pazienti, affetti dalla sindrome di Takotsubo. “Oggi – ha continuato la cardiologa – questo studio multicentrico chiarisce che, nonostante le disfunzioni microvascolare e miocardica, tipiche della sindrome da crepacuore siano reversibili, la prognosi per questi pazienti è simile a quella dei pazienti con infarto, cioè, con possibilità di shock cardiogeno (una condizione grave nella quale il cuore non pompa sufficiente sangue all’organismo) nel 12 per cento dei casi e di morte nel 5 per cento dei casi”.
Uno studio di grande importanza dunque, perché sfata il mito che il cosiddetto “crepacuore” sia una malattia benigna, dando una spinta alla scienza, per fare tutti gli sforzi necessari affinché siano meglio comprese le cause di origine della sindrome per una migliore scelta terapeutica.
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