Doveva essere fine agosto. Ora potrebbe essere questione di giorni, di settimane, piu’ difficilmente di mesi, ma una cosa e’ certa: perche’ la Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, venga resa pubblica, manca solo – come prevede la legge – il nulla osta dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente a Sogin, la societa’ pubblica che, oltre a gestire il decommissioning degli impianti nucleari, e’ chiamata a localizzare, progettare, realizzare e gestire il deposito.
La Carta c’e’, e’ pronta e comprende “alcune decine” di aree sparse in tutta Italia. Da quelle aree, al termine di una selezione chiara, trasparente e, soprattutto, “condivisa” con le amministrazioni locali interessate, dovrebbe uscire quella destinata a veder sorgere, nel 2024, deposito e annesso parco tecnologico. (AGI) (AGI) – Roma, 5 ott. – La materia, nessuno lo nega, e’ di quelle incandescenti. E il precedente di Scanzano Jonico, datato 2003, sta li’ a ricordarlo: saputo dalla sera alla mattina che il deposito, in quel caso di profondita’, sarebbe nato nella loro terra, i lucani inscenarono una vera e propria rivolta, ottenendo la revoca della scomoda nomination. Ma stavolta sara’ tutta un’altra musica. A tracciare la strada e’ il decreto legislativo numero 31 del 2010, che fissa responsabilita’ e scadenze di una scelta che – questa la vera svolta – non sara’ imposta dall’alto. Lo screening delle aree candidabili al deposito avverra’ applicando ben 28 criteri di localizzazione (15 di esclusione e 13 di approfondimento) emessi da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) seguendo gli standard Aiea (Agenzia internazionale energia atomica).
Le aree potenziali individuate, ad esempio, non potranno’ essere a meno di 5 km dalla costa o sopra i 700 metri di quota; non dovranno essere comprese in una zona a rischio sismico, vulcanico o idrogeologico; non vicine a corsi d’acqua o a falde idriche profonde; lontane da grandi centri abitati; distanti da dighe e da grandi impianti industriali. La Carta, una volta pubblicata da Sogin sul sito www.depositonazionale.it assieme al progetto preliminare, sara’ oggetto di quattro mesi di “consultazione pubblica”, cui seguira’ un seminario nazionale aperto a tutti i soggetti interessati. A seminario concluso, Sogin avra’ altri 90 giorni per aggiornare la Carta (che da Cnapi diventera’ Cnai, ovvero Carta nazionale delle aree idonee). Le amministrazioni locali potranno esprimere allora la loro “manifestazione di interesse” (non vincolante), vere e proprie autocandidature dal basso. E a pesare sara’ anche l’appeal economico dell’operazione (un miliardo e mezzo l’investimento complessivo): alla costruzione del deposito lavoreranno 1.500 persone l’anno per 4 anni, e alla gestione di deposito e parco tecnologico a regime provvederanno 700 tecnici.
La costruzione del deposito nazionale e’ imposta da una direttiva europea (l’Italia e’ l’unico grande Paese Ue a non averne uno ne’ realizzato ne’ in costruzione) e consentira’ di dare una sistemazione ai rifiuti radioattivi italiani, non solo quelli degli impianti nucleari che oggi si stanno smantellando (fra cui le 4 centrali di Trino, Caorso, Latina e Garigliano), ma anche quelli prodotti dalle attivita’ della medicina nucleare, dell’industria e della ricerca. Il deposito nazionale permettera’ la sistemazione definitiva di circa 90mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di cui 75mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attivita’ (circa 25 mila gia’ prodotti) e lo stoccaggio temporaneo di circa 15mila metri cubi di rifiuti ad alta attivita’, che dovranno essere poi trasferiti in un deposito geologico di profondita’ per la loro sistemazione definitiva. Il tutto nella sicurezza piu’ assoluta, visto che i rifiuti arriveranno al deposito gia’ condizionati all’interno di appositi “manufatti” che saranno a loro volta sistemati all’interno di moduli di calcestruzzo speciale che andranno poi inseriti in appositi strutture, chiamate “celle”, fatte anch’esse di cemento armato che, una volta riempite, saranno sigillate e ricoperte da piu’ strati di materiali impermeabili – la cosiddetta “collina multistrato” – per prevenire infiltrazioni d’acqua, In sostanza, questo sistema di barriere di tipo ingegneristico insieme alle caratteristiche del sito garantiranno l’isolamento dalla biosfera dei rifiuti presenti nel deposito per 300 anni, fino al loro decadimento allo stesso livello del fondo naturale ambientale. Se non ci saranno rallentamenti o rinvii, il deposito nazionale sara’ inaugurato alla fine del 2024.
Lo scenario peggiore e’ che alla fine, anziche’ la razionalita’ – oggi i rifiuti radioattivi sono sparsi in decine di depositi sul territorio nazionale, ma pochi lo sanno – prevalga la logica del “Nimby”, ovvero il rifiuto ad ospitare il deposito “nel proprio cortile”. In quel caso, e solo in quel caso, l’ultima parola spetterebbe al governo, comunque dopo confronto con le Regioni potenzialmente interessate. Ma a perdere in questo caso sarebbero in molti.
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