La vita è la vita, le cose vanno avanti” (Dmitrij Medvedev). Il Procuratore della Corte dell’Aia, Fatou Bensouda, pare deciso a promuovere un’inchiesta ufficiale sugli eventi accaduti in Ossezia del Sud nell’Agosto 2008. Dopo aver esaminato i documenti presentati dalla Russia e dalla Georgia, il Procuratore è giunto alla conclusione che durante il conflitto armato in Ossezia del Sud furono commessi dei crimini di Guerra e “l’imputato principale” potrebbe essere “Mikheil Saakashvili, governatore della regione di Odessa in Ucraina”. I documenti e “altri materiali a conferma”, raccolti dal Procuratore, secondo fonti russe ufficiali, saranno passati alla Commissione della Corte che dopo l’esame potrà aprire una pratica. In precedenza l’inchiesta giudiziaria era già stata aperta in Russia. Secondo il Comitato investigativo della Russia, “la responsabilità per quanto accaduto nell’Estate 2008 in Ossezia del Sud ricade sui dirigenti politici e militari della Georgia di allora”. Nel 2014 la Procura della Georgia aprì a carico di Saakashvili alcuni procedimenti per abuso d’ufficio e peculato, spiccando un mandato di arresto e sequestrando i beni dell’ex-presidente della Georgia, interpretato dall’attore Andy Garcia nel film statunitense “Cinque Giorni di Agosto” (2011) del regista finlandese Renny Harlin. Tuttavia nel 2015 l’Interpol annuncia che, a suo avviso, il caso di Sakashvili è motivato politicamente, pertanto si è rifiutato di includerlo tra i ricercati. Anche la Procura dell’Ucraina nega alla Georgia l’estradizione dell’ex-presidente.
Da mesi gli attivisti del movimento “Odessa, porto franco” organizzano “flash mob”, nel corso di uno dei quali hanno lanciato nel cielo un enorme pallone con un’immagine di Mikhail Saakashvili. Il lancio è stato accompagnato dalla melodia della canzone che nel 1980 era stata scritta per la chiusura dell’Olimpiade di Mosca: “Misha, addio, ritorna nel tuo bosco delle favole”. Sul pallone era disegnata un’enorme immagine del governatore che mastica la propria cravatta, con la scritta: “Mishiko! Go Home!”. Secondo una delle attiviste del movimento, “Odessa ricorda bene che la guerra in Ossezia del Sud iniziò per diretto ordine di Saakashvili. Adesso vuole scatenare una guerra in Transnistria. Come tutti gli abitanti di Odessa, sono convinta che sia venuto al potere un altro dilettante, un favorito forestiero”. Non è la prima azione di questo tipo. Gli attivisti dell’Antimaidan di Odessa organizzano comizi per chiedere le dimissioni di Mikhail Saakashvili, esortando il nuovo governatore a tornare in patria ed accusandolo di crimini di guerra. Il Premier russo Dmitrij Medvedev provò compassione per l’Ucraina a seguito della nomina dell’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili a governatore di Odessa. Il presidente dell’Ucraina, Petr Poroshenko, insediato dagli Usa e dalla UE nel 2014, ha regalato la cittadinanza ucraina a Saakashvili, firmando il decreto di nomina a governatore di Odessa e presentandolo ufficialmente ai funzionari della città ucraina. Saakashvili aveva lasciato la Georgia dopo l’insediamento del nuovo presidente Georgi Margvelashvili nel Novembre 2013. La Procura Generale Georgiana lo ha incriminato in contumacia per diversi capi di imputazione, compresa l’appropriazione indebita di circa 5 milioni di dollari di fondi pubblici per spese personali. In Georgia su Saakashvili pende un mandato di arresto. Pare ragionevole pensare che la fondazione degli Stati Uniti di Europa con la Russia passi necessariamente nell’accertamento della Verità storica e giudiziaria dei suoi leader, contrastando le menzogne dei Warlords e di Hollywood che sono in grado di scatenare finanche conflitti mondiali, non soltanto regionali a bassa intensità. Esattamente sette anni fa, la notte tra il 7 e l’8 Agosto 2008, avevano inizio gli scontri in Ossezia del Sud. Il film “5 Giorni d’Agosto” è un prodotto hollywoodiano che vede protagonisti attori del calibro di Andy Garcia, Val Kilmer e Rade Šerbedžija. Nella pellicola, i Russi sono ovviamente i cattivissimi. Ancor più cattivi di quanto non fossero i georgiani nell’altro film “Olympus inferno”, fiction russa che racconta quello stesso conflitto. Le autorità che regolano internet in Georgia iniziarono una battaglia che non potevano vincere: contrastare la diffusione online della versione piratata di “Cinque Giorni d’Agosto”, alias “5 Days of August”, alias, in alcuni Paesi, “5 Days of War”. A poco servì il blocco di alcuni siti georgiani che consentivano di scaricare il film, anche perché pochi giorni dopo la première tenutasi, guarda caso, proprio a Tbilisi, con la benedizione della Unione Europea, il film uscì in vendita legalmente in Europa in Dvd e di rimbalzo ottenne ampia diffusione su tutti i network “peer-to-peer”. Era impensabile che una produzione hollywoodiana colossale, dedicata a un tema di forte attualità come quello della Guerra russo-georgiana del 2008, potesse passare in sordina quantomeno nel Caucaso, in piena Guerra contro il terrore globale del terrorismo fondamentalista islamico che attacca anche la Santa Russia. Il film vanta star come Andy Garcia nel ruolo del presidente georgiano Mikheil Saakashvili, Val Kilmer nel ruolo del cameraman olandese Stan Storimans ucciso durante il bombardamento aereo di Gori e Rade Šerbedžija nel ruolo di un ufficiale russo. La regia è di Renny Harlin, regista finlandese da anni attivo a Hollywood, famoso non solo per aver realizzato film di successo come “Die Hard 2” con Bruce Willis e “Cliffhanger” con Sylvester Stallone, ma anche per aver esordito nel 1986 con il film “Born American”, pellicola vietata in Finlandia per via del suo carattere eccessivamente anti-russo. Benché non vi sia formalmente partecipazione finanziaria diretta alla produzione da parte del governo di Tbilisi e dell’Unione Europea, è evidente che il governo Saakashvili non ha fatto mancare il proprio supporto alla pellicola in cui vengono utilizzati mezzi e uomini dell’esercito georgiano e varie scene sono girate all’interno del palazzo presidenziale di Tbilisi dove sventola l’azzurra bandiera europea con le dodici stelle dorate. Le prime scene del film sono ambientate in Iraq, dove il reporter di guerra americano Thomas Anders, vittima di un agguato, viene salvato da militari georgiani parte del contingente a guida NATO. Un anno dopo, ad inizio Agosto 2008, Anders si reca in Georgia, non appena sente che vi è una concreta possibilità che scoppi una guerra. Fa appena in tempo ad assistere a balli e scene di folklore di un matrimonio georgiano, quando iniziano i bombardamenti russi e un attacco di terra. Anders e il suo cameraman riescono a riprendere violenze perpetrate con crudeltà da militari russi, guerriglieri e mercenari ai danni della popolazione locale. Da quel momento, la loro “missione” diventa far arrivare quelle immagini al mondo per raccontare la verità sulla guerra in corso. Ad ostacolarli non vi sono solo militari e miliziani russi che uccidono e bombardano con aerei, elicotteri e carri armati tutto ciò che incontrano, ma anche gli stessi media americani che nel film accettano senza battere ciglio la versione russa degli eventi dando spazio alla voce del Presidente Vladimir Putin, alternandovi solo notizie sugli eventi sportivi delle Olimpiadi che si tenevano in Cina in quei giorni. Sullo sfondo, dunque, la grande politica internazionale. Un Saakashvili-Garcia stranamente remissivo dichiara “cessate-il-fuoco” unilaterali e costringe ripetutamente l’esercito a non rispondere al fuoco, richiamandolo solo a difendere la capitale. Non mancano però frecciate amare all’inerzia di Stati Uniti d’America, NATO ed Europa. Il film include una scena girata nell’Autunno 2009 di fronte al Parlamento di Tbilisi in cui gli abitanti della capitale recitano se stessi un anno prima, quando il 12 Agosto 2008 decine di migliaia di persone partecipano a una manifestazione contro la “invasione russa”. Prima dei titoli di coda, per tre minuti si sentono testimonianze di Georgiani che hanno realmente perso i propri cari durante il conflitto. Non è il primo film di propaganda dedicato alla Guerra dell’Agosto 2008. Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto, fu infatti realizzato un film di produzione russa, “Olympus Inferno” (Russia, 2008) del regista Igor Voloshin, trasmesso in prima serata sul primo canale russo nel Marzo del 2009. È la storia di un entomologo americano che si reca in Ossezia del Sud per filmare un particolare tipo di falene ed incontrare una vecchia amica una giornalista russa, ma accidentalmente si trova a riprendere il momento in cui le truppe georgiane attaccano l’Ossezia. Trovandosi in possesso della prova definitiva del fatto che sono stati i Georgiani ad iniziare la guerra, in una realtà in cui tutte le televisioni del mondo sembrano accusare ingiustamente la Russia per ciò che sta accadendo, la pellicola racconta di come i due giovani scappano da militari georgiani violenti, a stento frenati da ufficiali americani ai quali inevitabilmente obbediscono. In entrambi i film, il cuore dell’azione è la necessità di comunicare la Verità sulla guerra ad un mondo ingannato da Warlords e media di regime come quelli ancora oggi attivi in Europa e in Italia. Nella realtà, fin da subito i media georgiani e russi avevano sostenuto versioni radicalmente opposte di ciò che era avvenuto in quei giorni dell’Agosto 2008. Con il passare dei mesi, nei media occidentali compaiono report più attenti alle responsabilità di entrambe le parti del conflitto. Ai reportage di giornalisti e ai dossier di Ong che si occupano di diritti umani, è seguito il Report della Commissione d’Inchiesta promossa dall’Unione Europea e guidata dalla diplomatica Heidi Tagliavini, il documento più bilanciato riguardante gli eventi di quei giorni. Secondo la Commissione Tagliavini, la Guerra dei Cinque Giorni avrebbe causato circa 850 vittime e 100mila sfollati, 35mila dei quali destinati a non tornare alle loro case nel medio periodo. Sono dati significativi, importanti per ricordare che la Guerra nel Caucaso dell’Agosto 2008 non è solo un film, non è solo un conflitto mediatico, ma anche una tragedia umana che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone. Come oggi accade in Europa nel Donbass, in Libia, in Siria, in Iraq e in Afghanistan. Perchè? A sette anni di distanza, buona parte delle persone che avevano perso la casa nel corso di quel conflitto si ritrovano ancora a vivere in condizioni precarie, mentre i negoziati di pace che regolarmente si tengono a Ginevra non portano a passi avanti concreti che pongano basi reali per il ritorno degli sfollati alle loro case o ciò che ne resta. L’isolamento internazionale dei territori di Abkhazia e Ossezia del Sud, ampiamente sostenuto dallo stesso governo di Tbilisi poco propenso a cercare compromessi sulla questione territoriale, aumenta la dipendenza delle due regioni da Mosca. In Abkhazia, le autorità de facto continuano a cercare un difficile bilanciamento tra i propri desideri di reale indipendenza e la necessità di attirare il capitale russo ritenuto indispensabile per trasformare questa Regione dove sono ancora evidenti le tracce del conflitto di inizio Anni ‘90 in una moderna area turistica in grado di offrire lavoro e sostentamento sia alla popolazione locale sia euro-asiatica. In Ossezia del Sud è ritornato d’attualità il tema dell’unificazione con l’Ossezia del Nord e l’ingresso a pieno titolo nella Federazione Russa. Il Presidente Vladimir Putin dichiarò che è “effettivamente un problema” che vi siano due Ossezie divise da un confine e che l’eventuale ingresso dell’Ossezia del Sud nella Federazione Russa “dipende solo dalla volontà del Popolo Osseto”. Il giorno successivo, il presidente del de facto Parlamento di Tskhinvali dichiarò che l’Ossezia del Sud è pronta ad entrare a far parte della Russia, pur rimarcando che non si tratta di una questione di breve periodo. Da parte sua, il Presidente Dmitrij Medvedev annunciò durante un’intervista alla televisione georgiana “Kanal Pik” che al momento “non vi sono le precondizioni legali per l’ingresso dell’Ossezia del Sud nella Federazione Russa”, ma “la vita è la vita, le cose vanno avanti”. Medvedev si dichiarò dispiaciuto per gli eventi dell’Agosto 2008, ma nient’affatto pentito delle sue scelte, ed al contrario convinto di aver fatto bene ad intervenire militarmente e successivamente a riconoscere l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud. A sette anni dal conflitto del 2008, sembrano più remote che mai le possibilità di Tbilisi di riprendere il controllo su quei territori. Tutte le parti sembrano in ogni caso decise ad evitare un nuovo confronto militare nel prevedibile futuro. Sanno bene che la guerra non è una cosa che si vede solo nei film. Nel corso dell’intervista a Kanal Pik, Medvedev raccontò anche di come i presidenti armeno e azero gli avrebbero entrambi confessato che la “guerra dei cinque giorni è stata per loro un’importante lezione, meglio negoziati interminabili che cinque giorni come quelli”. Nella Regione continua però a mancare un clima favorevole alla riconciliazione e al compromesso. Film come “5 Giorni d’Agosto” e “Olympus Inferno”, antesignani di altri kolossal in produzione sulla Guerre europee nel Donbass, in Libia, in Siria, in Iraq, in Afghanistan, alcuni pro ed altri apertamente anti russi, dipingono sempre la parte avversa come crudele e violenta, in perfetto stile Isis. Dipende dai punti di vista. I tagliagole e tagliateste islamisti chi sono veramente? Possono i film contribuire a migliorare la situazione per l’accertamento della Verità dei fatti? La presenza di due superstar come Andy Garcia e Val Kilmer avrebbe dovuto garantire il successo della pellicola al botteghino. Così non è stato. Il film fu girato in condizioni di massima verosimiglianza, con scene nell’ufficio del presidente e sul piazzale situato di fronte al Parlamento, dove il 12 Agosto 2008 il vero Saakashvili pronunciò un discorso durante una dimostrazione di unità nazionale. Il giornalista olandese fu realmente ucciso durante i bombardamenti di Gori. Le immagini del reporter morto all’epoca fecero il giro del mondo. Il budget del film fu di 40 milioni di dollari: una parte della somma fu sostenuta dalla Georgia. Al progetto prese parte l’esercito abile al combattimento, inclusi in particolare i soldati che avevano realmente combattuto nell’Agosto 2008. Carri armati, elicotteri, aviazione e truppe nel film appaiono autentici nel ricalcare quei tragici avvenimenti. Tuttavia il giudizio dell’opinione pubblica in Georgia fu tutt’altro che univoco. Le autorità georgiane considerarono il film come un evento di Stato. Per il governo era importante che dell’esistenza di una Georgia unita si accorgessero non solo giornalisti e politologi, ma anche i semplici appassionati di Cinema e, in definitiva, tutti i potenziali turisti euro-asiatici. Il film offrì alla Georgia la possibilità di distinguersi in Europa, finalmente, dallo Stato della Georgia negli Usa, e di diventare così nota al grande pubblico. Una lodevole politica culturale che sarebbe certamente stata più logica senza la Guerra! Tanto più che il film “5 Giorni d’Agosto” non mostra solo il conflitto: il protagonista assiste a una cerimonia di nozze tradizionale georgiana in un ristorante della città vecchia. Esprime un’opinione radicalmente diversa l’opposizione. Le critiche furono rivolte innanzitutto all’aspetto finanziario. I leader dell’opposizione dichiararono che, in condizioni di crisi, spendere soldi per un film di propaganda è quantomeno immorale in un’economia dissestata come quella georgiana. “Andy Garcia mi è sempre piaciuto – dichiarò il conduttore televisivo Georgi Gachechiladze – e sono piuttosto deluso che abbia accettato di interpretare Saakashvili, un presidente che ha iniziato la guerra e che non è considerato legittimo dal popolo georgiano”. Gli interessi personali di Saakashvili in Ucraina sono oggi sotto i riflettori mondiali. Ovviamente a Mosca furono scontenti del sentimento anti-russo nella pellicola. Nella Duma di Stato qualcuno sollevò la questione del divieto di proiettarlo. La Russia aveva vinto la Guerra ma perso in partenza la competizione cinematografica. Il tentativo da parte di Mosca di arruolare il regista serbo Emir Kusturica per realizzare la versione russa della Guerra in Georgia si era risolto in un niente di fatto: Kusturica si recò a Tskhinvali, de facto capitale dell’Ossezia del sud, espresse tutta la sua compassione agli Osseti, ma non accettò di girare il film, dichiarando di essere già impegnato per i prossimi anni. La Russia rispose ad Hollywood con il film Olympus Inferno che però non ebbe grande successo né in Russia né in Ossezia del Sud nè in Europa Occidentale: la tradizione cinematografica russa per quanto riguarda i film d’azione non è ancora certo ai livelli di quella americana, tranne pochissime eccezioni soprattutto nella Fantascienza d’Autore (l’originale “Solaris”). Difficilmente, se non si cambia registro, Mosca potrà reggere il confronto con Hollywood. Le occasioni storiche non mancano: la distruzione di Isis, di al-Qaida e dei pirati su tutta la Terra. Gli Usa e la Nato da soli non possono farcela. Con tutte le guerre finora perse dagli Usa, dall’Europa e dall’Italia contro il terrorismo globale islamico (due in Iraq e una in Afghanistan), con le beghe sulle “guerre umanitarie”, sulle politiche della “pace” e della “democrazia” imposte dall’Occidente a suon di bombardamenti, le vicende storiche tra Osseti e Russi sembrano così poco importanti. Eppure si perde di vista un dettaglio fondamentale: in Europa lo scandalo espansionistico della NATO e la tragedia del Donbass dopo la Guerra nella ex Iugoslavia, mai raccontata veramente, quando l’Italia bombardò Belgrado, e negli Usa la politica delle major hollywoodiane per produrre film da vendere bene anche a scapito della verità storica, invocano un deciso cambio di registro cinematografico da parte della Santa Russia. Lo stesso Harlin più volte negò qualsiasi politicizzazione del suo progetto: “il film non è anti-russo né anti-americano né ancora qualcosa del genere; è un film contro la guerra; racconta storie di persone sullo sfondo della guerra”. A prescindere dai dettagli politici, non bisogna dimenticare che Hollywood non è né il Pentagono né il Dipartimento di Stato Usa. Un regista americano non si metterebbe al lavoro solo sulla base di considerazioni politiche. Probabilmente risulterà interessante se riesce il giusto mix di ingredienti: un tema spinoso e attuale, riprese quasi documentarie, un regista professionista, star nel cast, sponsor istituzionali e privati, partecipazione delle popolazioni locali alle riprese. Ed è proprio questo ciò che conta in un colossal storico. Alcuni critici hanno definito il film “August Eighth” (Russia, 2012) del regista Dzhanik Fayziev, il terzo sul conflitto georgiano e il secondo russo, “politico e propagandistico”, ma l’Autore lo descrive come una pellicola “sull’amicizia e l’amore”. Come al solito nè in Europa occidentale nè in Italia, questo terzo tentativo fatto finora dal cinema mondiale di portare sullo schermo il conflitto tra Georgia e Ossezia del Sud, ottiene le dovute attenzioni sperate. È la storia delle forze di pace russe schierate nel territorio georgiano. Decisamente una prospettiva controcorrente rispetto alla propaganda di Usa, Nato e Ue della “invasione russa”. Oggi tanto di moda anche in Ucraina per giustificare le spese militari e i nuovi muri della seconda “guerra fredda” anti Stati Uniti di Europa! Nel 2008 era stato il regista russo Igor Voloshin a proporre la propria visione del conflitto, col film Olympus Inferno. Poi, nel 2011, era uscito sugli schermi il film georgiano-americano Cinque Giorni d’Agosto. Girare un film sulla guerra non è un’impresa facile: eventi, fatti, documenti e testimoni sono sempre gli stessi. Dhanik Fajziev ha deciso di partire dalle vicende reali inserendo però una componente fantastica con robot guerrieri e draghi meccanici. Protagonista del colossal russoè Ksenija, una ragazza giovanissima e un po’ distratta, che vive col figlio di cinque anni Tjoma dopo aver divorziato dal marito militare e cerca di rifarsi una vita uscendo con un banchiere. L’ex marito la convince a mandare il figlio nel Caucaso per un paio di giorni, che la ragazza sogna di passare a Sochi col suo nuovo innamorato. Dopo aver imbarcato il figlio sull’aereo a Vladikavkaz, però, torna a casa e apprende dell’inizio delle azioni militari nella Regione. La giovane decide allora di mollare tutto e si lancia nell’inferno del conflitto per salvare il figlio. Ad aiutarla nella ricerca del bambino durante l’infuriare della Guerra, sarà Lekha, il capo delle truppe di ricognizione, che le salva la vita. Nel frattempo, il piccolo Tjoma sulle montagne del Caucaso assiste alla morte del padre e dei nonni. Il bambino si nasconde nell’abitazione trovando rifugio nella propria fantasia dove robot buoni e cattivi si scontrano in una guerra immaginaria. “Appena abbiamo deciso di inserire nel nostro film un tema fantastico – rivela Dzhanik Fajziev, sceneggiatore, regista e produttore di “Agosto ‘08” – mi è subito venuto in mente il figlio di miei amici il quale, ogni volta che c’era qualcosa che non gli piaceva, iniziava a fare finta di essere un robot cattivo per vivere una propria dimensione immaginaria. Per i bambini è una reazione naturale. Cercano di sfuggire al mondo reale vivendo nella fantasia”. Durante la prima fase di montaggio gli autori del film russo “Agosto ‘08” hanno capito che lo spettatore non avrebbe avuto problemi ad interpretare correttamente l’intreccio dei due generi nel film. Anche se all’inizio della lavorazione i dubbi erano forti. “Sono stati creati sei personaggi al computer e il film contiene 700 scene in cui viene utilizzata la grafica digitale – spiega il regista Dzhanik Fajziev – tuttavia il tema principale nel nostro film è il destino delle persone comuni che si sono ritrovate nell’epicentro del conflitto georgiano. Abbiamo cercato di fare un film il più possibile umano. Non è un film politico. La guerra è la catastrofe naturale che fa da sfondo alle tematiche principali della pellicola: l’amore e l’amicizia. La protagonista all’inizio del suo percorso non capisce cosa significhi essere madre. È oppressa da paure sociali e problemi giovanili, e tutto il percorso che Ksenija attraversa rappresenta la presa di coscienza del proprio istinto materno. Nel film gli accenti di ordine morale sono distribuiti in modo preciso”. Alle riprese del film “Agosto ‘08” hanno preso parte jet, elicotteri militari, carri armati e mezzi corazzati dell’Armata Rossa che oggi sta distruggendo l’Isis in Medio Oriente, salvando la Terra. “Tutta la documentazione disponibile ad oggi è stata presa da internet – osserva il regista – abbiamo messo a confronto le pubblicazioni sui quotidiani con le testimonianze dirette, ascoltando i racconti di oltre duemila persone. Quello che si vede nel film è al 90 percento tratto dalle loro parole”. I consulenti militari di “Agosto ‘08”, persone insignite del titolo di Eroi della Russia, sono diventati il modello per alcuni personaggi del colossal. Uno di essi è il comandante in carica della truppa di ricognizione, Aleksej Ukhvatov, insieme al suo collega, il carrista Yurij Jakovlev e al loro comandante, il colonnello Yurij Toldenko. Per le questioni strategiche la troupe si è rivolta al Ministero della Difesa e in particolare al Capo dello Stato Maggiore dell’esercito russo, Nikolaj Makarov e ad altri ufficiali militari. Le riprese si sono svolte in Abcasia, Ossezia del Nord e a Mosca. Nel film (budget di 16 milioni di dollari) i fondi, messi a disposizione dalla Fondazione Cinematografica Russa, rappresentano il maggiore finanziamento concesso nella categoria “Progetto di valore sociale”. Sono serviti in gran parte per finanziare il lavoro di animazione e gli effetti speciali. Inoltre, alcuni dei migliori specialisti hollywoodiani sono stati invitati a lavorare alla pellicola: il regista di montaggio Dennis Virkler (“Batman forever”, “Wolfman”) e il vincitore di 4 Premi Oscar per la regia del suono, Bob Bimmer (“Speed”, “Il Gladiatore”). A fare da consulente per l’animazione è stato invitato Aleksandr Dorogov, uno dei principali animatori dello studio Walt Disney Feature Animation (Florida, Usa). Il precedente film di Fajziev, “Gambetto turco”, con un budget di 4 milioni di dollari, aveva raccolto al botteghino russo 18,5 milioni di dollari. Anche i film “L’ammiraglio” e “High Security Vacation”, prodotti sempre da Fajziev, hanno avuto un grande successo commerciale. “Molti ritengono che presto il computer sostituirà gli esseri umani sulla scena – ricorda uno degli attori protagonisti, Maksim Matveev – ma le emozioni umane non possono essere create al computer, la grafica computerizzata può essere utile per portare la tensione emotiva dello spettatore fino al livello a cui aspira il regista. Credo che Dzhanik Fajziev nel suo nuovo film abbia inserito benissimo l’apparizione dei personaggi computerizzati. Nel film non c’è un solo dettaglio messo a caso, ogni cosa ha una ragione”. Il film è stato distribuito in Russia dalla 20th Century Fox Csi. “Non faccio mai progetti riguardo al destino internazionale dei miei film – confessa Fajziev – sarebbe abbastanza presuntuoso, viste le condizioni russe. Dopo che abbiamo messo il trailer in rete abbiamo ricevuto offerte da diversi Paesi. La Fox ha deciso di occuparsi della distribuzione del film nel mondo. Per ora nella lista ci sono Germania, Francia, Inghilterra e Giappone”. Dalla fine del Comunismo e dell’Unione Sovietica al riconoscimento da parte della Russia delle repubbliche secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud, non sempre sono chiare e note all’opinione pubblica le tappe principali del conflitto tra Mosca e Tbilisi, dal 1989 alla Guerra di Agosto 2008. Nel periodo 1989-91 sul territorio dell’allora Repubblica Socialista Sovietica di Georgia emergono in maniera sempre più esplicita richiami a una maggiore autonomia e indipendenza, espressi sia con manifestazioni popolari anche di grandi dimensioni sia con documenti legislativi delle assemblee nazionali di Tbilisi e di quelle regionali di Abkhazia e Ossezia del Sud. A Tbilisi si esprime con decisione il desiderio di ottenere l’indipendenza dall’Unione Sovietica e si afferma l’idea di uno stato centralista dove la cultura e la lingua georgiana avessero un ruolo dominante. Nell’Aprile 1991, in seguito ad un referendum, la Georgia dichiara la propria indipendenza. Zviad Gamsakhurdia, leader nazionalista, diventa Presidente della Georgia. Nello stesso periodo l’Abkhazia boicotta le elezioni promosse dal governo di Tbilisi e, in seguito ad elezioni parlamentari locali, dichiara la propria indipendenza nell’Agosto 1991 sulla base del suo status di repubblica riconosciuto nei primi anni di esistenza dell’Urss. Parzialmente in risposta a una nuova legge che rendeva la lingua georgiana obbligatoria in tutti gli organi di stato, la neo-costituita Assemblea Popolare dell’Ossezia del Sud richiede dapprima un livello maggiore di autonomia, poi dichiara di rimanere parte dell’Unione Sovietica quando la Georgia vota per la propria indipendenza, e infine, con un referendum del Gennaio 1992, dichiara la propria indipendenza ed il desiderio di entrare a far parte della Federazione Russa. La fine dell’Unione Sovietica nel 1991 coincide in Georgia con lo sgretolamento della struttura statuale: sul suo territorio si costituiscono formazioni militari e paramilitari non sottoposte effettivamente al controllo del governo di Tbilisi, che si mantengono con attività illegali e partecipano in diverso modo alla vita politica del Paese, sia con attacchi alle regioni separatiste sia partecipando ad azioni militari tra diverse fazioni politiche in Georgia. Nello stesso periodo si formano milizie locali prima in Ossezia del Sud, poi anche in Abkhazia. Tutte le forze armate in campo acquisiscono armi da truppe e milizie, dell’Unione Sovietica prima e della Russia poi, presenti nei loro territori. In questa fase non è quindi possibile parlare di una politica russa uniforme nell’area, e mentre da Mosca provengono richiami alla soluzione pacifica dei conflitti e vengono promossi dei negoziati, diverse unità dell’esercito russo forniscono armamenti e in taluni casi supporto diretto ad ognuna delle parti in campo. In questa fase, pare quindi che il supporto alle regioni separatiste da parte russa non sia giunto dagli Alti Comandi di Mosca, ma da singoli reparti delle milizie di confine o da singole regioni o gruppi organizzati nel Caucaso settentrionale. L’Ossezia del Sud ottiene supporto di vario tipo, aiuti economici e militari, con la partecipazione di volontari in particolare dall’Ossezia del Nord, una Regione russa notevolmente più ricca e più grande dell’Ossezia del Sud. Al conflitto militare in Abkhazia partecipano volontari provenienti da diverse repubbliche del Caucaso settentrionale per decisione della neo-costituita Confederazione dei Popoli Montani del Caucaso. Sebbene non sia chiaro il livello di coinvolgimento diretto di militari russi nel conflitto in Abkhazia e del ruolo delle forze dell’aviazione russa dislocate nella Regione, pare che militari russi abbiano fornito armamenti ed abbiano partecipato all’addestramento delle forze locali, mentre non vi è dubbio che aerei russi abbiano partecipato ad azioni militari a favore delle forze Abkhaze. In questo periodo, sia in Abkhazia sia in Ossezia del Sud si registrano intensi scontri militari che causano migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati. La maggior parte della popolazione georgiana residente in Abkhazia è costretta ad abbandonare la propria abitazione. Nel 1992 Zviad Gamsakhurdia perde il supporto dei leader delle principali milizie georgiane che decidono di chiamare l’ex-ministro degli esteri dell’Unione Sovietica, Eduard Shevardnadze, a guidare il Paese. Il 24 Giugno 1992 si giunge ad un accordo che pone fine agli scontri tra forze Ossete e forze Georgiane: prevede la dislocazione in un’area precisa di un contingente di “Forze miste per il sostegno alla pace” composto da soldati provenienti dalla Russia, dall’Ossezia del Nord e dalla Georgia. Per quanto riguarda l’Abkhazia, viene siglato un accordo formale sul conflitto solo nel 1994, dopo che la Georgia aveva accettato di entrare a far parte della Comunità Stati Indipendenti (Csi) ed aveva acconsentito alla presenza di basi russe in territorio georgiano. L’accordo, stipulato a Mosca il 14 Maggio 1994, prevedeva un cessate il fuoco, la dislocazione di un contingente di pace della Csi ed un impegno delle parti a risolvere pacificamente il conflitto. In pratica, le forze di pace includevano solo soldati russi, per la maggior parte provenienti dalle basi russe presenti in Abkhazia e Georgia. In seguito sarà stabilita la presenza di una missione di “monitoring” delle Nazioni Unite (UNOMIG) preposta a controllare la situazione. Negli anni seguenti a questi accordi, nelle aree di conflitto si registra una situazione di relativa calma, benché in diverse occasioni si siano verificati nuovi scontri a fuoco e nuovi attacchi, e solo una piccola parte dei georgiani che aveva dovuto abbandonare l’Abkhazia ha trovato le condizioni per ritornare nelle proprie abitazioni. Anche in Ossezia del Sud non vi sono stati nuovi scontri militari su larga scala e, nonostante occasionali incidenti, la situazione è rimasta nel complesso stabile e con un livello comparativamente basso, rispetto all’Abkhazia, di conflittualità interetnica. Da allora, queste regioni sono de facto indipendenti, sono in vigore leggi promulgate da autorità elette localmente ed in nessun modo sottoposte al governo di Tbilisi. Abkhazia e Ossezia del Sud hanno una propria amministrazione, un proprio sistema giudiziario, un proprio sistema educativo, un proprio esercito e proprie forze di polizia. La moneta correntemente utilizzata è il rublo russo. Con l’arrivo alla presidenza di Vladimir Putin in Russia si notano nuovi segni di apertura verso le due regioni separatist: quando nel 2000 viene introdotto un regime di visti per i Georgiani che vogliono entrare in Russia, i residenti di Abkhazia e Ossezia del Sud possono continuare a viaggiare in questo Paese col solo passaporto. In seguito all’approvazione di una nuova legge sulla cittadinanza in Russia nel 2002, nell’arco di pochi mesi, una larga maggioranza degli abitanti di Ossezia del Sud e di Abkhazia ottiene passaporto russo. Sia durante la propria campagna elettorale sia dopo la propria elezione a Presidente della Georgia, Mikhail Saakashvili ha fatto della costituzione dell’unità territoriale del Paese uno dei suoi principali punti programmatici. A tal fine aumenta la pressione su questi territori, riforma e rafforza significativamente il proprio esercito e contemporaneamente propone nuove soluzioni di pace. Saakashvili offre in diverse occasioni ai leader di queste regioni massima autonomia all’interno dello stato georgiano, con una rappresentanza garantita in tutti gli organi di governo del Paese, incluso il posto di vice-presidente, un sistema di specifiche tutele culturali, un piano di sviluppo basato su aiuti economici e sgravi fiscali. Ma per una serie di motivi non si riesce mai a stabilire un negoziato concreto. I leader di Abkhazia e Ossezia del Sud, infatti, avevano precedentemente svolto dei referendum riguardo alla propria indipendenza: nel 1999 in Abkhazia; nel 1992 e nel 2006 in Ossezia del Sud. Referendum mai riconosciuti dalla comunità internazionale anche perché svolti senza l’accordo di Tbilisi e senza la partecipazione dei rifugiati georgiani provenienti da quei territory. I leader di Abkhazia e Ossezia del Sud hanno ripetutamente dichiarato che l’indipendenza delle loro regioni non era in discussione. Nel Giugno 2004 le autorità georgiane decidono di chiudere il mercato di Ergneti, principale centro di contrabbando dell’Ossezia del Sud, ma anche luogo di incontro frequentato sia da Georgiani sia da Osseti. Nei mesi successivi aumenta la tensione nella Regione, con scontri di varia intensità che causano numerose vittime. Periodi di relativa tranquillità si alternano a nuovi incidenti, sparatorie e scontri nelle zone di confine in occasione dei quali le parti si accusano reciprocamente. Una situazione simile si registra in Abkhazia dove si hanno momenti di tensione in particolare nell’Estate 2006 quando forze georgiane prendono il controllo dell’alta gola del Kodori. Nella Primavera 2008, nei mesi che seguono la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il governo russo prende una serie di decisioni mirate ad aumentare i rapporti con Abkhazia e Ossezia del Sud, e a migliorarne la situazione economica. In particolare, il 6 Marzo 2008 il governo di Mosca dichiara di uscire unilateralmente dal regime di sanzioni economiche dichiarato dalla Csi ed in vigore dal 1996 nei confronti dell’Abkhazia. Il 21 Marzo 2008, la Duma russa raccomanda al governo di aumentare la collaborazione con queste repubbliche a tutti i livelli. Poche settimane dopo, il governo russo dichiara la propria intenzione di aprire delle rappresentanze in Abkhazia e Ossezia del Sud, di collaborare con gli effettivi organi di potere di queste Regioni e di riconoscere i documenti rilasciati dalle autorità locali. Nei mesi di Giugno e Luglio 2008 aumentano le tensioni e si registrano esplosioni e scambi a fuoco sia in Abkhazia sia in Ossezia del Sud. Nell’Agosto 2008 ha luogo un conflitto armato di ampia scala in Ossezia del Sud. Il 26 Agosto 2008 la Russia vittoriosa riconosce formalmente l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud. La Seconda Guerra in Ossezia del Sud fu combattuta dalla Georgia da una parte, e da Russia, Ossezia del Sud e Abcasia dall’altra. Il conflitto inizia nella notte fra il 7 e l’8 Agosto 2008 con l’ingresso dell’esercito georgiano nel territorio osseto approfittando del fatto che l’attenzione dei media internazionali era distratta dall’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino l’8 Agosto. Nel corso della notte l’attacco perpetrato con carri armati e cacciabombardieri costa la vita a 1700 Osseti, la maggior parte civili, e 21 soldati russi della forza di interposizione. Il giorno 9 Agosto 2008, la Federazione Russa, che già dal 1992 aveva una presenza militare in Ossezia del Sud ed Abcasia come forza d’interposizione su mandato della Csi, interviene massicciamente sconfiggendo rapidamente le forze georgiane. L’offensiva si svolge sia in Ossezia sia lungo la costa del Mar Nero, entrando dall’Abcasia, arrivando ad occupare un’ampia parte del territorio della Georgia, sino a poche decine di chilometri da Tbilisi sul fronte osseto, e sino al porto di Poti sul Mar Nero. Il 15 Agosto 2008 viene firmato fra Georgia e Russia un accordo preliminare sul cessate il fuoco, con la mediazione dell’Unione europea guidata da Nicolas Sarkozy, in quanto Presidente di turno della UE. In base all’accordo le truppe si impegnano al ritiro sulle posizioni precedenti l’inizio delle ostilità, e la Georgia a non usare la forza contro le due repubbliche secessioniste. Dopo un iniziale ritiro dalle posizioni più avanzate, come la città di Gori, la Russia decide di continuare l’occupazione militare di due zone cuscinetto in Georgia ai confini delle due Regioni per prevenire possibili futuri attacchi verso l’Ossezia del Sud e l’Abcasia. Questi teatri operativi comprendono inizialmente anche il porto di Poti sul Mar Nero, oltre alla presenza di alcuni posti di blocco russi nelle principali vie statali di comunicazione, e vengono mantenuti per circa due mesi. A partire dal 1º Ottobre 2008 nelle due zone cuscinetto vengono stati schierati 200 Osservatori militari dell’Unione Europea, come previsto dai colloqui di Settembre fra Russia e Ue, mentre il ritiro delle truppe russe dalla zona cuscinetto in prossimità dell’Ossezia del Sud viene completato l’8 Ottobre 2008. La Russia riconosce l’indipendenza di Ossezia del Sud e Abcasia il 26 Agosto 2008, sottoscrivendo successivamente accordi militari con le due repubbliche. Le guerre scoppiano sempre a causa della violazione di accordi, patti e trattati di Diritto Internazionale. Mai per caso. Tutto è quasi sempre prevedibile. La Seconda Guerra fra Georgia e Ossezia del Sud, provincia separatista filo-russa, comincia proprio dopo la violazione degli accordi sul cessate il fuoco in vigore dal 1992. Ciascuna delle due parti in conflitto accusa l’altra di aver causato la ripresa delle ostilità. Nella notte fra il 7 e l’8 Agosto 2008, approfittando dell’attenzione dei media focalizzata sulla spettacolare cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, la Georgia attacca e invade l’Ossezia del Sud impiegando tre brigate dell’esercito supportate da 27 batterie lanciarazzi e pezzi di artiglieria da 152 mm. L’attacco georgiano si concentra principalmente sul capoluogo della regione Tskhinvali, dove provoca gravi distruzioni. Secondo fonti dei rappresentanti della provincia secessionista, l’attacco causa fra 1700 e 2000 morti principalmente tra la popolazione civile. Tale grave bilancio di vittime viene descritto dalle autorità russe come genocidio. Non è ancora oggi possibile valutare il numero reale delle vittime civili del bombardamento di Tskhinvali. Le autorità georgiane affermano che l’attacco si era reso necessario per “ristabilire l’ordine costituzionale” e per impedire i continui attacchi sui civili georgiani da parte delle milizie dell’Ossezia meridionale che avevano ripreso il bombardamento di alcuni villaggi georgiani il 7 Agosto, violando il cessate il fuoco. Il comandante delle forze di interposizione russe, Marat Kulachmetov, riferisce che, in seguito al bombardamento georgiano con artiglieria pesante e razzi su Tskhinvali, la città è quasi interamente distrutta, che sono morti anche una decina di militari del contingente russo di “peace-keeping” presente in Ossezia dal 1992 e che alcuni caccia bombardieri georgiani Sukhoi-25, di produzione sovietica, hanno colpito postazioni dei separatisti nei dintorni del villaggio di Tkverneti. Dopo il bombardamento dell’artiglieria sulla capitale l’attacco prosegue via terra: truppe georgiane circondano Tskhinvali e occupano alcuni piccoli centri in Ossezia. Una televisione indipendente georgiana annuncia che anche i militari della Georgia sono entrati all’interno della capitale. Dopo aver discusso della crisi con il collega statunitense George W. Bush e con le autorità cinesi, che si esprimono contro la guerra, il Primo ministro russo Vladimir Putin, direttamente da Pechino, dove si trova per la cerimonia di inaugurazione dei XXIX Giochi Olimpici, garantisce azioni di risposta. Il presidente georgiano Mikhail Saakashvili decide di preparare le proprie forze alla reazione russa ordinando una mobilitazione generale attraverso la televisione, dove riferisce inoltre che le forze georgiane controllano circa metà di Tskhinvali e la maggior parte del territorio dell’Ossezia del Sud. Il Presidente russo Dmitrij Medvedev convoca, subito dopo, una riunione di emergenza del Consiglio Nazionale di Sicurezza sulla crisi nella Regione georgiana. Già durante il primo giorno del conflitto truppe russe appartenenti alla 58.ma Armata affluiscono in Ossezia attraverso il passo di Roki, anche se, secondo fonti georgiane, non confermate dalle agenzie di intelligence occidentali, alcuni reggimenti russi della 58.ma Armata sarebbero entrati in Ossezia “prima dell’attacco georgiano su Tskhinvali della mattina dell’8 Agosto”. La 58.ma Armata russa era però da tempo dispiegata in prossimità dell’Ossezia, avendo condotto nel Febbraio 2008 un’esercitazione militare, denominata “Caucasian Milestone”, che prevedeva una rapido intervento nella zona del tunnel di Roki. Altre esercitazioni militari si erano svolte in Luglio su entrambi i versanti di questa zona del Caucaso: la Quarta Brigata georgiana era stata impegnata nella “Immediate Response 2008”, mentre “Caucasus 2008” era stata l’esercitazione per alcuni reparti appartenenti al distretto militare del Caucaso Settentrionale, con il sostegno della 76.ma Divisione Paracadutisti. A un giorno dall’inizio delle violenze scatenate dopo l’iniziale attacco georgiano a Tskhinvali, le forze ribelli sudossete, sostenute dai militari russi, prendono il controllo della capitale. Non siamo in uno scenario fantascientifico di Star Wars VII. È la Storia dell’Umanità sulla Terra. Una delegazione congiunta di Stati Uniti d’America, Unione Europea e Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), come al solito impreparati e incompetenti nella prevenzione dei conflitti regionali, in Georgia propone un cessate il fuoco e un’immediata soluzione al conflitto solo dopo la risposta della Russia che passa all’offensiva, attaccando la città di Gori, direttamente in Georgia. Almeno due aerei russi, un Sukhoi Su-25 e un Tupolev Tu-22M, pare vengano abbattuti dalle forze armate georgiane, anche se il ministro della difesa della Georgia parla di addirittura 10 aerei russi abbattuti oltre che di un pilota fatto prigioniero. Nel frattempo 30mila profughi scappano dall’Ossezia, diretti verso i territori russi. Non altrove. A New York il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunisce in seduta d’urgenza al Palazzo di Vetro, su richiesta russa, per esaminare e discutere il conflitto tra Georgia e i ribelli dell’Ossezia del Sud, invitando la comunità internazionale a “intervenire per evitare un bagno di sangue”. L’ambasciatore belga Jan Grauls, presidente di turno, riferisce che “al momento il Consiglio di Sicurezza non è in grado di esprimere un’opinione sul conflitto”. Usa, Gran Bretagna e altri Paesi rifiutano di votare un documento in cui si chiede a tutte le parti del conflitto di “rinunciare all’uso della forza”. L’ambasciatore russo commenta la posizione occidentale come “un grave errore di giudizio”. L’Unione Europea chiede la cessazione immediata delle ostilità. La sessione si conclude senza che i 15 Membri del massimo Organo esecutivo mondiale dell’Onu abbiano raggiunto un accordo su una dichiarazione comune sulla crisi caucasica. Vitali Churkin lamenta una mancanza di volontà politica tra i partner del Consiglio di Sicurezza. Churkin e un rappresentante della Georgia si accusano reciprocamente della responsabilità delle violenze nella regione separatista. Dopo tre giorni di combattimenti, la Russia rivendica di aver assunto il controllo della maggior parte di Tskhinvali. Il vice capo di Stato Maggiore russo, Anatolij Nogovicyn, dichiara che “la città è controllata dalle forze di pace russe”, la denominazione usata dai Russi in base al Diritto Internazionale per definire il contingente di interposizione mantenuto da Mosca nella provincia georgiana ribelle. Si apre quindi un nuovo fronte da parte dei separatisti dell’Abcasia, altra repubblica georgiana filorussa. La Georgia offre allora un cessate il fuoco alla Russia che aveva però richiesto prima un ritiro completo delle truppe georgiane sulle posizioni precedenti l’inizio delle ostilità. Intanto unità da guerra della Marina Militare della Federazione Russa si attestano ai limiti delle acque territoriali della Georgia, sul Mar Nero, imponendo un blocco navale alla Repubblica caucasica. Il gruppo navale è guidato dall’ammiraglia delle Flotta del Mar Nero, l’incrociatore missilistico “Moskva”, accompagnato dal cacciatorpediniere “Smetlivy”, da tre mezzi anfibi da sbarco e da navi-appoggio. Nella zona già incrociano altre tre unità anfibie salpate dal porto di Novorossijsk, in Russia, e dalla base russa di Sebastopoli in Crimea, allora in Ucraina, oggi nella Federazione Russa. Nei combattimenti la motocannoniera missilistica georgiana “Dioskuria” del tipo “Combattante II” di costruzione francese e l’aliscafo lanciamissili “Tbilisi” della Classe “Matka” di costruzione sovietica vengono rapidamente affondati dalla Flotta russa. Secondo il comando militare russo, ai marinai viene assegnato il compito di impedire che armi e altri rifornimenti militari raggiungano la Georgia, e cioè che sono in corso i preparativi per il blocco navale della Georgia, operazione ritenuta assolutamente necessaria per impedirle di ottenere armamenti via mare, operazione che contribuirà a evitare un aggravamento delle attività militari in Abcasia. Secondo il portavoce del ministero dell’Interno georgiano, Shota Utiashvili, durante la notte altri 6mila soldati russi entrano sul “territorio georgiano” dall’Ossezia del Sud, attraverso il tunnel conteso di Roki, e ulteriori 4mila russi giungono via mare nel porto di Ochamchire, in Abcasia. I rinforzi inviati da Mosca arrivarono così a 10mila uomini. Nel frattempo proseguono i raid aerei russi: all’alba viene di nuovo colpito l’aeroporto di Tbilisi. Bombardamenti anche su Zugdidi e sulla gola di Kodori, unica porzione di Abcasia controllata dal governo centrale, che l’Aviazione di Mosca martella ininterrottamente. L’Amministrazione Bush invita Mosca a cessare gli attacchi. In caso contrario, è il monito della Casa Bianca, vi sarebbero state “significative ripercussioni” sui rapporti tra Usa e Russia. “Se la sproporzionata e pericolosa escalation russa dovesse continuare – tuona il vice Consigliere Usa per la Sicurezza nazionale, Jim Jeffrey – questo avrà un impatto significativo e a lungo termine sui rapporti Stati Uniti – Russia”. Intervenendo in mattinata a dare la propria versione dei fatti, lo Stato Maggiore russo sostiene che “le forze russe non hanno condotto raid aerei su nessuna area popolata della Georgia, solo su aree militari”, contestando la versione di Tbilisi. Il generale Anatolij Nogovicyn, portavoce dello Stato Maggiore, dichiara che “la Russia non intende prendere iniziative per un’escalation in Abcasia”, sottolineando che “la parte russa non ha ricevuto alcuna proposta ufficiale dalla parte georgiana per l’avvio di un processo di pace e per porre fine allo spargimento di sangue. Dalla Georgia vogliamo azioni, non dichiarazioni”. L’Abcasia dichiara lo stato di guerra, mentre le forze georgiane si sono ormai ritirate dall’Ossezia del Sud. L’Ucraina in questo momento riveste un ruolo importante nella mediazione, in quanto sembra non voglia dare il suo permesso alla Russia di utilizzare i porti affittati per scopi commerciali e che la Marina Russa vorrebbe utilizzare per schierare la sua Flotta. “L’Ucraina entra in campo”, affermando che bloccherà le navi russe di stanza davanti alle coste abcase, impedendo loro di tornare nella base di Sebastopoli. Il segretario dell’Onu, Ban Ki-Moon, si dimostra preoccupato dell’intensificarsi delle violenze in Georgia, per l’estendersi delle violenze, e chiede un immediato cessate il fuoco e una soluzione pacifica al conflitto. Il ministero degli Esteri israeliano ordina la sospensione immediata del rifornimento di armi alla Georgia, temendo ripercussioni da parte russa. Tuttavia il governo israeliano è altresì preoccupato dal fatto che la Russia possa vendere armi a Iran e Siria. Da un anno lo Stato ebraico aveva infatti sospeso la vendita di “armi offensive” alla Georgia, continuando a fornire però “materiale difensivo” e l’aiuto di consulenti militari. La Georgia respinge l’Ultimatum delle forze russe a deporre le armi nella zona di sicurezza all’esterno dell’Abcasia che denuncia anche un forte concentramento di truppe georgiane lungo il fiume Inguri, nella cosiddetta “zona di interposizione” stabilita dagli Accordi di Pace degli Anni Novanta. Si tratterebbe di 4mila uomini, artiglieria e carri armati. Ma anche i miliziani abcasi dispiegano un loro contingente lungo il fiume. Da Tbilisi arrivano segnali contraddittori. Dopo la nota nella quale si chiede il cessate il fuoco, fatta su richiesta del presidente Saakashvili, il ministro per la reintegrazione, Timur Iakobashvili, afferma che i soldati del contingente georgiano in Iraq, parte dei quali erano rientrati a Tbilisi, verranno schierati nella zona di conflitto in Ossezia del Sud. Lo stesso Iakobashvili aveva annunciato in precedenza che le truppe georgiane non si stavano ritirando dai territori sudosseti, ma stavano semplicemente effettuando un ripiegamento tattico per riposizionarsi, a causa della preponderanza degli effettivi russi. Nella notte tra il 10 e l’11 Agosto 2008, tiri di razzi georgiani su Tskhinvali provocano tre morti e 18 feriti tra le forze russe. Il Presidente russo Dmitrij Medvedev, parlando ai militari delle forze russe, afferma che la maggior parte dell’operazione per costringere la Georgia alla pace è stata portata a termine. Tskhinvali è infatti sotto il controllo delle forze russe che continueranno a proteggere i loro concittadini. Si conferma la solita politica italiana: se l’Unione Europea dovesse decidere di affiancare le forze russe in Ossezia del sud, l’Italia potrebbe mandare le sue truppe! L’Armata Rossa di Mosca, da anni, su mandato di Diritto Internazionale, presidia la Regione della Georgia e, secondo il ministro degli Esteri, bisogna evitare che si crei una coalizione anti-russa. Secondo il ministro italiano Frattini, “è importante che l’Europa sia a 27, che non si divida, ma deve essere il ponte tra Stati Uniti e Russia, se vuole essere un attore politico di peso”. Intanto Eduard Kokoity annuncia che l’Ossezia del sud e l’Abcasia presenteranno alle organizzazioni internazionali una denuncia formale per genocidio a carico dei Georgiani. Kokoity e Sergei Bagapsh si incontreranno per chiedere in modo congiunto alla comunità mondiale il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche secessioniste georgiane. Lo stesso giorno, un pattugliatore lanciamissili georgiano viene colpito e affondato da due navi da guerra russe mentre duri combattimenti, prevalentemente portati avanti dalle forze russe, caratterizzano la situazione in territorio georgiano. L’Unione Europea tenta una mediazione fra le parti affidata ai ministri degli esteri francese Bernard Kouchner e finlandese Alexander Stubb. Mikhail Saakashvili firma il Piano di Pace europeo che verrà presentato a Mosca nel pomeriggio. Intanto il Presidente Medvedev dichiara che “l’operazione per costringere la Georgia alla pace è completata per la maggior parte”, mentre lo Stato Maggiore di Mosca sottolinea che i soldati russi si fermeranno al confine amministrativo sudosseto, smentendo così quanto dichiarato dal presidente georgiano, secondo il quale i carri armati di Mosca stavano marciando verso la città georgiana di Gori. Sul piano militare, la Georgia denuncia oltre 590 bombardamenti russi contro la città portuale di Poti e contro Gori, già colpite nei giorni precedenti, e anche contro sobborghi di Tbilisi, ma la Russia smentisce, affermando soltanto che le navi della Flotta del Mar Nero hanno affondato una imbarcazione militare georgiana vicino alle coste abcase e annunciando l’invio in Abcasia di 9mila uomini di rinforzo e tecniche militari pesanti. Secondo lo Stato maggiore russo, dall’inizio delle ostilità sono stati abbattuti quattro aerei e uccisi 18 militari russi, mentre altri 14 risultano dispersi. I servizi segreti russi (FSB) affermano di avere arrestato georgiani che preparavano attentati terroristici anche in Russia. In Ossezia del Sud, secondo i militari di Mosca, “la capitale Tskhinvali è totalmente sotto il controllo delle forze di pace, e si procede al disarmo e alla cattura degli ultimi soldati georgiani rimasti”. Fra le forze georgiane ci sarebbero “cittadini stranieri”. Mosca ammonisce gli Usa di voler “monitorare con attenzione gli aerei Usa che trasportano forze georgiane, e trarne le dovute conseguenze”. Si tratta dei militari georgiani rimpatriati dall’Iraq, 800 dei quali arrivati la sera del 10 Agosto 2008, e ora probabilmente in movimento verso le zone di conflitto. Kouchner sottolinea che il compito principale di mediazione spetta all’Unione Europea, dato che “gli Usa sono per così dire parte in causa” per il loro appoggio all’alleato Saakashvili. Intanto Serghei Bagabsh e Eduard Kokoity affermano di voler chiedere alla Comunità internazionale il riconoscimento della loro indipendenza e di volersi appellare agli organismi mondiali per una condanna del “genocidio sudosseto” da parte di Tbilisi. Un documento ufficiale con la richiesta georgiana di un cessate il fuoco, afferma il comando russo, non è ancora arrivato a Mosca. Dal giorno 11 Agosto 2008, Gori, importante nodo strategico sull’asse viario georgiano est-ovest, è sotto controllo militare russo, costringendo così i militari georgiani a riposizionarsi in difesa della capitale, in attesa del ritiro delle forze russe. Dopo una missione diplomatica francese a Mosca e Tbilisi, che vede Nicolas Sarkozy e Bernard Kouchner negoziare con (da parte russa) il Premier russo Vladimir Putin e il Presidente russo Dmitrij Medvedev e (da parte georgiana) Mikheil Saakašvili, il 15 Agosto 2008, Festa della Madonna Assunta in Cielo, la missione diplomatica del presidente di turno dell’Unione Europea porta alla firma di un cessate il fuoco che impegna la Russia ad un ritiro dal territorio georgiano e la Georgia alla rinuncia all’uso della forza contro l’Ossezia e l’Abcasia. Tuttavia, dopo un iniziale arretramento con conseguente ritiro dalla città di Gori, la Russia si attesta su una nuova linea, comprendente al suo interno anche il porto di Poti sul Mar Nero. Il 26 Agosto 2008 il Presidente russo Dmitrij Medvedev firma il decreto di riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste, adducendo, come precedente di Diritto Internazionale, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Però l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America condannano fortemente il riconoscimento russo. Nello stesso giorno, la Russia proclama unilateralmente una “zona cuscinetto” sotto il proprio controllo militare, attorno alle due repubbliche, corrispondente all’area della Georgia ancora occupata. Il 6 Settembre 2008 la rivista britannica Financial Times pubblica l’articolo che conferma la preparazione delle Forze Speciali della Georgia, un mese prima dal conflitto nella Ossezia del Sud, da parte dell’americana Military Professional Resources. Evidentemente specializzata nelle guerre mondiali permanenti. L’8 Settembre 2008, in un nuovo incontro fra Sarkozy e Medvedev, l’Unione Europea ottiene dalla Russia l’impegno a ritirarsi da Poti entro una settimana e dal resto della “zona cuscinetto” entro un mese. Mentre la Russia ottiene che la zona stessa passerà sotto il controllo di osservatori Ue-OCSE e non dell’esercito georgiano. Il giorno successivo, il Governo di Mosca, presieduto da Vladimir Putin, firma trattati di cooperazione militare con i governi sud-osseto ed abcaso, che prevedono fra l’altro la creazione di basi militari russe nei due Paesi con una presenza complessiva di circa 7.600 uomini. I bambini dovrebbero essere uguali ovunque, il rispetto per le vittime e i morti innocenti dovrebbe valere in modo uguale in tutto il mondo. Le stragi umane dovrebbero essere documentate e raccontate indipendentemente dagli interessi politici e commerciali nei conflitti e nelle guerre in corso. Ma in realtà non è così. Ci sono guerre di cui si parla, foto di bambini morti, decapitati, che scappano da zone di crisi, che uccidono adulti nell’Isis, che girano il mondo e scuotono le coscienze. Ci sono altri bambini, invece, come quelli del Donbass, in piena Europa, che stando alla stampa occidentale e italiana, semplicemente non esistono perchè non devono esistere nelle coscienze europee. Come non esistono i milioni di profughi che scappano dal Donbass dilaniato dalle bombe e si recano in Russia, non a Kiev. Ma a Mosca dove trovano accoglienza. Non esistono i civili rimasti uccisi in questo conflitto, oramai più di 8mila. Come si spiega questo allucinante scandaloso silenzio dei media europei e italiani? Riuscirà mai un film a fare giustizia di tanta sciagura? Perché regna l’oblio più assoluto su questa tragedia europea? Dove sono confinati tutti i “je suis” pronti a gridare vergogna sempre e comunque, ma tutti zitti se si tratta del Donbass? Forse perché si parla di vittime russofone appartenenti all’etnia russa, quindi di seconda categoria? Ma la Russia è la vera Europa. Il Nuovo Occidente. La Santa Madre Russia. Gli Stati Uniti di Europa con la Russia saranno fondati sulla Giustizia e sulla Verità. Non sulla propaganda antirussa. Forse la risposta alle domande appena formulate esiste. Perché è lo stesso obsoleto “Occidente” ad avere un ruolo importante in questa e in tante altre guerre pubbliche e private sulla faccia della Terra, alimentando i Warlords e i terroristi che poi combattono, a suon di riscatti e donazioni, mentre i giornali e i media di regime, ubbidienti ai governi, tacciono e chiudono gli occhi alla gente. Come accade in Italia dove, nonostante un Referendum costituzionale celebrato nel 2006 a difesa della Carta Fondamentale degli Italiani, tutte le forze politiche sembrano unite, in nome del regime Renzusconi Mattarella, nel volerla annientare, abolendo il Senato della Repubblica elettivo e il Bicameralismo Perfetto a difesa della Democrazia e della Libertà garantita per 70 anni dai nostril veri Padri Costituenti. Un disegno eversivo illegale incostituzionale spacciato per le “legittime riforme”! Grazie a Dio esiste Internet, le persone si possono ancora informare e mobilitare liberamente. Ma in futuro? Chi ci assicura che non venga spento tutto? Ognuno può aiutare i civili del Donbass anche tramite Associazioni italiane. Una di queste, l’Associazione Culturale Lombardia-Russia, ha istituito una raccolta fondi per aiutare la popolazione del Donbass. “Abbiamo lanciato questa raccolta fondi per aiutare le popolazioni del Donbass – rivela il vice presidente Gianmatteo Ferrari all’Agenzia Sputnik Italia – perché in Occidente non se ne parla, è un disastro dimenticato. Ci sono altre Associazioni che fanno queste raccolte, però abbiamo voluto farla anche noi in maniera pubblica, abbiamo fatto in modo che sia un sistema trasparente perché tutti possano vedere esattamente quanto si è raccolto e dove andranno utilizzati questi soldi. Abbiamo pensato di mettere come budget massimo di raccolta nel sito la somma di 2.000 euro, che non è tantissimo, però speriamo possano essere utili. Mancano ancora 70 giorni alla termine della raccolta, siamo arrivati a 1800 euro, manca poco al traguardo. Siamo in contatto con esponenti dell’amministrazione di Donetsk, questi soldi verranno destinati ai progetti che loro stanno seguendo, noi daremo l’intera cifra e loro ci diranno come li spenderanno. Faranno la rendicontazione di tutto quello che viene speso e dovrebbero anche fornirci un video di come è stata spesa la somma. Sia sul nostro sito internet (www.lombardiarussia.org) che sulla nostra pagina Facebook c’è il link per la raccolta fondi”. Il silenzio sul Donbass grida Giustizia la cospetto di Dio. “Non si dice nulla perché è una tragedia, una guerra civile nel cuore dell’Europa, che però – ricorda Gianmatteo Ferrari – è stata creata ad arte dall’Occidente, ricordiamo che il tutto è cominciato con il colpo di stato a Kiev. Siccome tutti i mezzi di informazione occidentali sono controllati da chi ha fatto questo colpo di stato, le notizie non passano. C’è da dire che ci sono molti conflitti nel mondo legati all’Occidente, come in Siria per esempio. Se la foto con un bambino siriano annegato nel mare per raggiungere l’Europa fa il giro del mondo, dei bambini uccisi nel Donbass invece non si dice niente. Perché sono di etnia russa, quindi di un’altra categoria. Loro nonostante la guerra rimangono a difendere la propria terra. Non venendo in Europa, la notizia non passa, la gente non se ne rende conto. Poi senz’altro perché sono etnie russofone al confine con la Russia, quindi all’Occidente fa comodo non far sapere nulla di quello che accade”. In realtà molti cittadini del Donbass scappano dalla guerra. “Sì, ma vanno in Russia che li accoglie e li aiuta. Siccome in Occidente passa il messaggio che la guerra nel Donbass è stata causata anche da ingerenze russe, uno dovrebbe chiedersi: se la Russia ha fatto tutto ciò, come mai uno scappa verso la Russia, che dovrebbe essere l’aggressore?”. Il tema profughi è sulle prime di tutti i giornali, la Russia sta ospitando più di un milione di profughi dal Donbass, ma anche su questo scende il silenzio totale in Occidente. “Dire che la Russia accoglie più di un milione di profughi sarebbe un punto a favore della Russia e quindi non fa comodo all’Occidente far sapere questi fatti. Quella del Donbass è una guerra fratricida. L’auspicio è che torni ad esserci la pace nel Donbass, in Ucraina, e che chi vive sulle guerre la smetta di andare in altre nazioni a fare queste ingerenze. Ogni popolo è padrone a casa sua, i governi non devono essere decisi da Oltreoceano, ognuno a casa sua decide il proprio governo. Che i bambini, le donne, gli anziani, tutti tornino a vivere in pace, l’unica cosa che penso vogliano”. Nel Donbass, tra i tanti che hanno deciso di difendere la propria terra e il proprio popolo, non tutti abbracciano il potente Kalashnikov che non si inceppa, per recarsi al fronte. Sono tanti i giovani euro-russi che amano il proprio Paese. C’è anche chi ha deciso di dare il proprio contributo alla pace nella sfera umanitaria. Tra le autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk, tra i tanti patrioti c’è anche chi, con abnegazione, ha deciso di dare il proprio sostegno alla popolazione civile colpita dalla sofferenza della guerra. In modo particolare, di dedicarsi ai più deboli, ai tanti bambini, non solo orfani, ma anche feriti, vittime innocenti di una guerra brutale condannata da Papa Francesco. Un conflitto assurdo, deciso altrove, che sembra aver posto la sofferenza ai civili come una delle sue priorità. Tra gli eroi del nostro tempo, c’è il medico Andrey Prutskikh che sta portando avanti un programma di informazione tra i vari istituti scolastici, finalizzato all’insegnamento su come comportarsi qualora si venga incautamente a contatto con ordigni inesplosi e mine. Purtroppo, dopo oltre un anno di guerra e di bombardamenti, su Donetsk e città limitrofe, di tali ordigni in giro ce ne sono tanti. “Opero nell’organizzazione internazionale Spravedlivaya Pomosch’ (Giusto aiuto) – rivela Andrej Vladimirovich all’Agenzia Sputnik Italia – il direttore esecutivo dell’organizzazione è Elizaveta Petrovna Glinka, più comunemente nota come dottor Lisa. Io sono medico, insieme abbiamo fornito assistenza umanitaria nelle Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk. Semplicemente aiutiamo le persone che necessitano di cure mediche, cure che per vari motivi non possono ricevere nel territorio delle due Repubbliche. Ho incontrato Elizaveta Glinka all’inizio di Giugno del 2014 quando cominciarono le ostilità nel Donbass, comprese le operazioni militari a Slavyansk. Da subito abbiamo iniziato a lavorare in modo efficace. C’erano molti bambini che avevano bisogno di urgenti cure mediche, per il peggioramento delle condizioni sanitarie nei territori di Donetsk e di Lugansk a causa del “blocco” da parte di Kiev. La situazione era drammatica, il blocco iniziò nel mese di Luglio del 2014, con la cessazione di ogni fornitura di prodotti medici sui territori delle due Repubbliche. Gli ospedali rimasero privi di tutto: dai medicinali, al cibo per i pazienti, fino alla mancanza di stipendi per il personale dipendente. Come conseguenza, il numero dei bambini bisognosi di aiuto medico aumentò drammaticamente. Abbiamo anche ce
cato di inviare i bambini più ammalati verso l’Ucraina, ma, da subito, da parte ucraina emerse tutta una serie di difficoltà soprattutto nel passaggio dei checkpoint e della frontiera. Dopo queste esperienze Elizaveta si rivolse a me con la preghiera di trasportare i bambini bisognosi di cure mediche immediate verso la Russia. Nel frattempo Elizaveta aveva già preso accordi per eseguire ricoveri d’urgenza negli ospedali russi. Da parte nostra ci attivammo immediatamente per preparare gruppi di bambini della Repubblica Popolare di Donetsk e di Lugansk da inviare in Russia. A oggi, la Federazione Russa ha accolto nelle proprie strutture sanitarie per trattamenti terapeutici 205 bambini che fino al momento del ricovero risiedevano nei territori delle due Repubbliche. Oltre a lavorare sul territorio delle due Repubbliche, aiutiamo anche i nostri cittadini che sono stati costretti a lasciare la propria terra e che oggi, in qualità di rifugiati, risiedono temporaneamente sul territorio della Federazione Russa. Forniamo loro assistenza e collegamento con le loro famiglie rimaste nel Donbass. Siccome la maggior parte dei nostri medici non se sono andati, in primo luogo, cerchiamo di indirizzare i cittadini a medici locali. Il secondo problema che possiamo risolvere è il trasferimento di assistenza medico-umanitaria e di attrezzature, su richiesta delle strutture mediche locali. Tali richieste vengono dapprima indirizzate alla dottoressa Elizaveta, la quale, a sua volta, grazie al Consiglio del Presidente per i diritti umani della Federazione russa, cerca poi di soddisfare. Il suo lavoro è preziosissimo. È stata lei, nell’Agosto del 2014 a indurre la delibera da parte del governo della Federazione Russa, per accordare ulteriori mezzi dal bilancio per la cura dei bambini delle regioni di Donetsk e di Lugansk presenti nella Federazione Russa. In sostanza nel budget della Federazione Russa è stato inserito un atto umanitario di altissimo livello: gli aiuti umanitari che vengono predisposti, fanno riferimento a fondi del bilancio statale. Sono soldi che i Russi, pagano attraverso le tasse”. Un lodevole sostegno umanitario da parte della Russia ignorato dai media italiani. “Anche il supporto dei medici russi è molto forte. Prima di tutto, aiutiamo i bambini che sono stati feriti nei combattimenti. Ne abbiamo un’ottantina. Abbiamo un accordo con Leonid Mikhajlovich Rochal’, direttore dell’Istituto di Chirurgia d’Urgenza Pediatrica e Traumatologia della città di Mosca. Ha accolto tutti i nostri bambini feriti, sia per le immediate terapie d’urgenza sia per le successive fasi di riabilitazione. Non molto tempo fa gli abbiamo inviato un bambino gravemente ferito. Aveva una grave frattura dell’anca, grazie all’intervento di Elizaveta e di Leonid Rochal’, ora il bimbo si trova in clinica a Mosca ed è già in fase di riabilitazione. Una considerevole assistenza ci viene fornita anche dagli istituti oftalmici della Federazione Russa, in particolare l’Istituto Gel’mgol’tza e l’Istituto Fedorov, che si trovano a gestire un gran numero di ricoveri. In sostanza c’è una forte collaborazione col Ministero della Sanità della Federazione Russa. Molte volte ci siamo trovati nella necessità di cambiare il percorso di evacuazione, sempre a causa dei comportamenti dell’Ucraina. Fino a che la stazione di Donetsk era in funzione, riuscivamo a mandare i nostri piccoli pazienti direttamente in treno da Donetsk a Mosca. Poi, dopo che l’Ucraina tagliò questo collegamento diretto, fummo costretti a spostare i nostri bambini su percorsi alternativi più pericolosi e difficili. Da Donetsk mandammo i bambini nella città di Konstantinovka, che attualmente si trova sul territorio dell’Ucraina. Partirono poi in treno, con la dottoressa Elizaveta, da Konstantinovka con destinazione Mosca, dove una volta giunti furono immediatamente accolti e smistati nelle adeguate strutture sanitarie. L’ennesima complicazione è arrivata nel Dicembre scorso, quando le autorità ucraine hanno imposto alla dottoressa Elizaveta l’obbligo di ottenere un’autorizzazione, da parte di Kiev, per poter entrare nel territorio delle Repubbliche di Donetsk e di Lugansk, un documento da attendere un mese intero! Il fatto che la dottoressa si recasse solo il tempo necessario per caricare dei bambini gravemente feriti da trasportare in Russia, per le autorità ucraine, non aveva nessun valore. Secondo punto: non a tutti i bambini e a tutti gli accompagnatori sarebbe stata concessa l’autorizzazione di transito. Non penso sia umanamente possibile abbandonare dei bambini gravemente ammalati con i loro genitori in un campo e poi ripartire. Alla luce di queste “complicazioni”, il Ministero della Sanità della Federazione Russa, subito dal Gennaio 2015, ci ha accordato il permesso di evacuare i nostri bambini con il supporto dei nostri volontari, attraverso il confine russo in direzione di Rostov sul Don. Sempre su sollecitazione della dottoressa Lisa il Ministero delle Situazioni d’Emergenza della Federazione Russa addirittura ci mette a disposizione dei voli speciali da Rostov a Mosca per i casi più urgenti, con adeguate squadre di pronto intervento sanitario già predisposte in aeroporto in attesa dei nostri piccoli feriti”.
© Nicola Facciolini
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