Il premio Nobel per la medicina è stato assegnato il 5 ottobre 2015 a Tu Youyou, una dottoressa cinese che ha scoperto l’artemisina, la molecola utilizzata ormai in tutto il mondo per la cura della malaria e che ha salvato e sta salvando milioni di vite in tutto il mondo.
Dopo Ronald Ross nel 1902 e Alphonse Laveran nel 1907, la professoressa Tu Youyou è la terza scienziata ad essersi distinta con un Nobel per un lavoro sulla malaria: 200 milioni di casi e più di mezzo milione di decessi registrati nel 2013, una delle principali cause di mortalità nel Mezzogiorno del mondo.
È molto interessante ed istruttivo raccontare l’intreccio di una vicenda che mescola la storia della Cina e dell’Indocina degli Anni ’60 e ‘70, la moderna ricerca della biomedicina e le antichissime conoscenze della medicina tradizionale cinese. Negli Anni ’60, mentre in Vietnam si combatteva la feroce guerra tra Nord e Sud, i vietcong, i soldati del Vietnam del Nord del generale Ho Chi Minh, venivano falcidiati dalla malaria più ancora che dai bombardamenti delle truppe americane. Il territorio in cui erano costretti a combattere infatti era infestato dal Plasmodium falciparum, agente infettivo della malaria.
Fu per questo motivo che la Cina, che appoggiava l’esercito del Nord Vietnam, avviò un progetto di ricerca per verificare se fosse possibile mettere a punto qualche nuova cura per aiutare i soldati malati. Il progetto di studio venne deciso il 23 di maggio del 1967 e prese il nome di “progetto 523” unendo le cifre del mese di maggio (5) e quelle del giorno del mese (23) in cui era stato deciso il suo avvio.
Vennero analizzate numerose molecole di sintesi che tuttavia non dimostrarono di possedere effetti rilevanti sulla malaria e si decise allora di verificare se non fosse possibile fare tesoro delle antiche conoscenze della farmacologia tradizionale cinese che tutt’oggi viene studiata ed utilizzata in Cina e che annovera 5000 differenti erbe medicinali prescritte in base a centinaia di ricette spesso tramandate per secoli e talora per millenni.
L’incarico venne affidato all’Accademia di Medicina Tradizionale Cinese di Pechino, la più importante istituzione cinese del settore, che affidò la ricerca alla dottoressa Tu Youyou e ad un piccolo gruppo di esperti da lei diretto.
La dottoressa testò migliaia di piante senza ottenere grandi risultati fino a che non decise di rifarsi ad alcune antiche formule fitoterapiche cinesi utilizzate da millenni per la cura delle cosiddette “febbri intermittenti” o “febbri alternate a brividi”. In questo gruppo di patologie definite in cinese “nue” era classificata anticamente la sintomatologia con cui si presenta la malaria. Alla fine Tu Youyou scelse di fare tesoro delle conoscenze che nel III secolo dopo Cristo Ge Hong, uno fra i maggiori medici della Cina antica, aveva tramandato ai posteri.
Nel suo testo Zhou hou bei ji fang o Manuale di prescrizioni per le emergenze, redatto nel 321 d.C., Ge Hong analizza decine di ricette per le “febbri intermittenti” e l’elemento comune a tutte queste è la presenza di Artemisia annua, in cinese Qinghao, che si raccomanda di impiegare non in decozione ma con una semplice immersione in acqua seguita da macerazione, spremitura e filtraggio. Tu Youyou provò a verificare nel ratto l’efficacia del farmaco ottenuto utilizzando questo antico metodo e, una volta compreso che l’estratto di Qinghao possedeva degli effetti terapeutici sulla malaria nell’animale da esperimento, pensò di mettere punto un metodo di estrazione che permettessero alla molecola originale contenuta nella pianta di conservarsi intatta senza alterazioni per mantenerne l’efficacia. Dal momento che l’antico testo di Ge Hong suggeriva di non sottoporre il Qinghao a decozione (metodo generalmente usato per la preparazione dei fitoterapici) ma ad una semplice macerazione in acqua e spremitura, Tu Youyou pensò che tanto più bassa sarebbe stata la temperatura utilizzata per la solubilizzazione e tanto più puro ed intatto sarebbe stato il principio attivo estratto dalla pianta. Decise dunque di utilizzare dei metodi che utilizzavano temperature più basse di quelle di ebollizione tipiche dei decotti (100° C) per ottenere l’estrazione del principio attivo.
A questo scopo provò prima la soluzione alcolica (etanolo) e successivamente quella eterea (la temperatura di evaporazione dell’etere è di poco superiore ai 30°C). Si accorse che utilizzando queste metodiche il farmaco estratto era assai più potente e verificò che in realtà la molecola efficace sulla malaria era l’artemisina, uno dei principi attivi estratti dal Qinghao che definì in cinese Qinghaosu, sostanzialmente estratto di Qinghao. Quando il lavoro della dottoressa Tu comparve per la prima volta in lingua inglese sul Chinese Medical Journal nel 1979, il professor Nicholas White direttore del Wellcome’s South East Asia Research Unit disse: “Leggo la descrizione di un nuovo composto contro la malaria e dei test in vivo, nei roditori e nell’ uomo, su sottili fogli di carta gialla in un inglese approssimativo. Il tutto è contenuto in cinque pagine quando una compagnia farmaceutica occidentale avrebbe speso 300 milioni di dollari e pubblicato un documento alto come un mattone”.
Nel frattempo la vicenda di come si era arrivati alla scoperta di questa molecola fu dimenticata fino a che, nel 2007, nel corso di un congresso sulla malaria e che si teneva a Shanghai, un gruppo dei ricercatori degli Stati Uniti non chiese ragguagli a proposito della scoperta dell’artemisina ai colleghi cinesi. Fu soltanto alla fine di una lunga ricerca avviata a seguito di questa richiesta che la storia della dottoressa Tu Youyou venne finalmente alla luce.
Gli esperti occidentali hanno ignorato per anni la scoperta fino a quando una multinazionale farmaceutica, la Novartis, non ha cominciato a produrre il farmaco. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva guardato a questa sostanza con molto scetticismo non credendo che una pianta cinese potesse produrre un antimalarico efficace. Poi ha dovuto tornare sui suoi passi e dal 2001 lo raccomanda, in associazione con la lumefantrina per evitare la comparsa di resistenze, come terapia d’elezione per gli attacchi malarici in tutto il mondo e soprattutto nelle zone di resistenza alle terapie classiche, come in Africa. “L’artemisinina è stato il primo nuovo farmaco scoperto in Cina dopo la Rivoluzione Culturale” ricorda la dottoressa Tu, ma non dice che mentre l’ Occidente ignorava la sua scoperta, il farmaco, prodotto all’epoca in Cina, salvava migliaia di vite nel Sud-Est asiatico. “Adesso so che il mio farmaco – continua – può essere d’aiuto soprattutto ai Paesi poveri”. La signora dell’ artemisia non ha smesso di lavorare: è professore all’Istituto della Medicina tradizionale cinese all’Accademia Cinese di medicina tradizionale e sta studiando le potenzialità anti-cancro dell’artemisinina, soprattutto nel tumore al seno. Un effetto su cui si sono concentrati anche ricercatori americani dell’Università di Washington. Come ricorda Lucio Sotte nella Newsletter di Ottobre di Olos e Logos (http://www.oloselogos.it ) a noi sembra interessante che una scoperta del 1972 si sia avvalsa delle conoscenze descritte da Ge Hong nel III secolo dopo Cristo, cosa che dimostra, una volta di più, che la farmacologia cinese è un magnifico “tesoro” che l’antica tradizione medica estremo orientale offre al mondo medico occidentale sia per un suo uso tradizionale che per l’avvio di nuovi grandi progetti di ricerca scientifica.
Basta pensare che nell’ultima edizione della farmacopea cinese sono citate 4952 differenti sostanze medicinali naturali per intuire quali grandi prospettive si possono avviare approfondendo con le moderne tecniche di analisi gli effetti delle migliaia di principi attivi in esse contenuti.
Carlo Di Stanislao
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