Cna, oltre 520.000 imprese gestite da immigrati

“La Cna segue con attenzione, e da anni, la diffusione del lavoro autonomo e dell’imprenditorialita’ tra gli immigrati. E’ un fenomeno in crescita, ancora fortemente concentrato sui settori maturi, dove non sono necessari ingenti capitali”. Lo dichiara Sergio Silvestrini, Segretario Generale della Cna. “Oggi, tra i nati all’estero, per ogni sette lavoratori dipendenti c’e’ all’incirca […]

“La Cna segue con attenzione, e da anni, la diffusione del lavoro autonomo e dell’imprenditorialita’ tra gli immigrati. E’ un fenomeno in crescita, ancora fortemente concentrato sui settori maturi, dove non sono necessari ingenti capitali”. Lo dichiara Sergio Silvestrini, Segretario Generale della Cna. “Oggi, tra i nati all’estero, per ogni sette lavoratori dipendenti c’e’ all’incirca un lavoratore autonomo o imprenditore. E’ un elemento nuovo nella storia dei flussi dell’emigrazione, anche se vado alla storia dell’emigrazione italiana. E’, quindi, un fenomeno, mi piace pensare, che si giova dell’humus della societa’ italiana, naturalmente portata all’intrapresa. Il lavoro autonomo e’ un ottimo strumento di integrazione e per questo non va ostacolato, anzi va favorito, in una logica di semplificazione che riguarda tutte le imprese italiane, quale che sia il luogo di nascita del titolare”. “Le nostre associazioni territoriali – ha concluso Silvestrini – svolgono un ruolo importante di orientamento e di sostegno ai nuovi imprenditori provenienti dagli altri Paesi soprattutto nella gestione dei rapporti con la pubblica amministrazione per accompagnare questo processo nel rispetto delle regole e della legalita’”.

La scelta del lavoro autonomo-imprenditoriale, soprattutto in questa fase di persistente criticita’, spiega la Cna, si configura, probabilmente, innanzitutto come un’alternativa alle difficolta’ nel mondo del lavoro dipendente ma e’ anche una spinta verso l’autonomia e l’inserimento nel tessuto socio-economico. Gli imprenditori di origine straniera, inoltre, stanno seguendo perlopiu’ logiche di sostituzione in settori maturi, come il commercio e l’edilizia, anche per gli esigui capitali di investimento di cui, in genere, dispongono.

Piu’ di otto imprese su dieci di residenti nati all’estero rientrano nella tipologia della ditta individuale, contro cinque su dieci tra le imprese “italiane”. Diversamente dagli imprenditori italiani, tra i quali e’ in diminuzione, gli immigrati preferiscono sempre di piu’ questa forma societaria: tra tutte le imprese avviate nel 2014 da nati all’estero sono l’86,3%. Al secondo posto sono le societa’ di capitali (il 10,8% del totale, con un incremento superiore al 30% sul 2011 e del 14,5% nell’ultimo anno). Le societa’ di persone rappresentano il 7,2% della platea complessiva e in altre forme rientra l’1,7%. Rimane ridotto il numero di imprese ibride, gestite in collaborazione tra immigrati e nativi italiani, che sono solo il 5,9% del totale. Un ostacolo alla crescita delle imprese, in quanto le possibilita’ di sopravvivenza (e di espansione) sono ritenute legate anche al superamento dell’economia ristretta al mondo dell’immigrazione che relazioni multiple e allargate all’esterno, ovviamente facilitano. Nel complesso commercio ed edilizia coprono il 60,1%. In dettaglio il 35,8% (188mila imprese) sono attivita’ commerciali, il 24,3% edili. Seguono, a lunga distanza, la manifattura (42mila imprese, equivalenti all’8% del totale), le attivita’ di alloggio e ristorazione (39mila imprese, il 7,4%), i servizi (27 mila imprese, equivalenti al 5,1%). Nel 2014 proprio i servizi hanno trainato la crescita dell’imprenditoria immigrata, con il 15,4% delle nuove societa’, seguiti da costruzioni (14,8%), commercio (12,1%), alloggio e ristorazione (9,3%), manifattura (7,2%).

La distribuzione dei lavoratori autonomi e delle imprese amministrate da nati all’estero ricalca, ovviamente, la dinamicita’ imprenditoriale ed economica italiana. Oltre la meta’ sono attive nelle regioni settentrionali, il 26,7% nel Centro e il 22,3% nel Sud e nelle Isole. La Lombardia e’ la regione con il maggior numero di societa’ gestite o amministrate da nati all’estero: quasi 100mila complessivamente, equivalenti al 19% del totale nazionale. Seguono Lazio (oltre 67mila/12,8%), Toscana (poco meno di 50mila/9,5%), Emilia-Romagna (47mila/9%), Veneto (44mila/8,5%). In proporzione alla platea imprenditoriale regionale, e’ la Toscana (il 12,1% del totale) a primeggiare, seguita da Liguria (11,2%), Lazio (10,7%) e Friuli Venezia Giulia (10,6%).

La vocazione al lavoro autonomo e all’imprenditorialita’ dei nati all’estero e’ concentrata in poco piu’ di una decina di Paesi. Secondo i dati Sixtema-Cna, le sei collettivita’ piu’ numerose tra i responsabili di imprese individuali (provenienti da Marocco, Cina, Romania, Albania, Bangladesh e Senegal) coprono oltre la meta’ del totale. I nati in Marocco rappresentano il 15,2% complessivo, seguiti dai nati in Cina (11,2%), Romania (11,2%), Albania (7,3%), Bangladesh (6,2%) e Senegal (4,3%). La crescita maggiore negli ultimi anni si e’ registrata tra i nativi del Bangladesh: +28,3% nell’ultimo anno, +245,7% rispetto al 2008. Nella top ten rientrano anche i nati in Svizzera (3,8%) e in Germania (3,2%), ma e’ evidente che si tratta di figli (e discendenti) di italiani emigrati che hanno voluto riscoprire le proprie radici.

Gruppi etnici e attivita’ vanno di solito a braccetto. I marocchini sono impegnati nel commercio in tre casi su quattro, i cinesi sono distribuiti piu’ equamente tra commercio, manifattura e servizi, i romeni e gli albanesi sono concentrati nell’edilizia, i bangladesi e i senegalesi nel commercio (in quest’ultimo caso la percentuale sfiora il 90%). Su un altro piano si ha la conferma del profondo rapporto tra etnia e attivita’. Quasi la meta’ degli immigrati impegnati nella manifattura e’ cinese, cosi’ come nell’edilizia capita complessivamente per romeni e albanesi. Il commercio e’ appannaggio di marocchini, bangladesi e senegalesi.

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