Sono passati 35 anni dal terremoto dell’Irpinia, una tragedia naturale che mobilitò l’intero Paese e sconvolse la vita di migliaia di cittadini di ben quattro regioni. Era una domenica come tante altre, quella del 23 novembre 1980. Famiglie riunite in casa a guardare la Tv, erano le 19,34, altre in chiesa, al cinema o in strada per la passeggiata festiva. Poi d’improvviso la terra cominciò a tremare e lo fece per un minuto e mezzo. Un tempo senza fine, almeno così apparve ai testimoni. La Campania, dopo quei terribili 90 secondi, non fu più la stessa. L’epicentro di quel terremoto, con magnitudo 6.9 pari a circa il decimo grado della scala Mercalli, in Irpinia.
Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza della Campania, Laviamo, Muro Lucano, tutti piccoli paesi irpini vicino l’epicentro, furono rasi al suolo. Danni gravissimi furono registrati anche ad Avellino, Napoli, Benevento, Caserta, Salerno e ancora Matera, Potenza e Foggia. Sotto le macerie rimasero 2570 persone, almeno quelle accertate, 8.848 i feriti, circa 300 mila senzatetto. Una catastrofe aggravata, se possibile, dal freddo e dalla neve che, in molte zone dell’avellinese, era già comparsa. Sotto le macerie le storie di donne, uomini e bambini. A Balvano, ma questo è solo un esempio, il crollo della chiesa di S. Maria Assunta causo’ la morte di 77 persone, di questi 66 tra bambini e adolescenti.
I primi ad organizzarsi per i soccorsi furono gli stessi cittadini. Si scavava a mani nude ovunque ci fosse un palazzo crollato o delle macerie. Grandissima la solidarietà, concretizzatasi in collette alimentari, di vestiario e di tutti i generi di prima necessità. Molti coloro che aprirono le porte delle proprie case, quelle rimaste intatte, ai poveretti, anche intere famiglie, che un tetto lo avevano perso. Uno sforzo immane di solidarietà che coinvolse prima la Campania e poi, da subito, tutta l’Italia. Fu poi la volta dell’esercito, degli aiuti di Stato e del commissario straordinario alla ricostruzione, Giuseppe Zamberletti.
Un fiume di denaro, mai quantificato con certezza come il numero dei morti e dei dispersi, si riversò sulla Campania per una ricostruzione mai realmente terminata. I container, con funzione di casa, rimasero in Irpinia per oltre un decennio. Ad oggi la ricostruzione del patrimonio edilizio ha superato il 90%. Interi quartieri dormitorio, soprattutto a Napoli, furono tirati su dal nulla grazie a speculatori, affaristi senza scrupoli e politici collusi. Il tessuto sociale, quello che il terremoto non poteva distruggere, fu smembrato, invece, da coloro che ‘firmarono’ quella che doveva essere la ricostruzione. Il tessuto industriale, quel poco che c’era, non fu mai ripristinato del tutto e dopo il sisma, dalle regioni coinvolte, riprese inesorabile l’emigrazione verso il nord. La Campania, in quella domenica 23 novembre 1980, cambiò per sempre il suo volto e non fu più la stessa.(Dire)
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