A causa del surriscaldamento sono arrivate in Italia le prime coltivazioni di banane e avocado ma sono a rischio le piante di cacao dell’ Africa occidentale dove il clima sta diventando piu’ secco e l’effetto serra taglia la resa delle colture di orzo e luppolo per la birra in Belgio e Repubblica Ceca ed anche i produttori di champagne francesi sono in allarme per l’aumento delle temperature di quasi 1,2 C negli ultimi 30 anni nella zona di coltivazione tanto che autorevoli studiosi hanno ipotizzato lo spostamento fino in Inghilterra della zone di coltivazione piu’ idonee. E ‘ quanto afferma la Coldiretti in relazione a quanto emerso al summit mondiale degli agricoltori “Agricoltura e cambiamento climatico” di Parigi dall’Organizzazione mondiale degli agricoltori (OMA), dal Comitato delle Organizzazioni professionali agricole dell’Unione europea (Copa) e dal Consiglio dell’agricoltura francese in occasione del Vertice COP21 di Parigi.
“L’agricoltura e’ l’attivita’ economica che piu’ di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma e’ anche il settore piu’ impegnato per contrastarli” ha afffermato il presidente della Coldiretti e vice presidente del Copa Roberto Moncalvo nel sottolineare “si tratta pero’ di una sfida per tutti che puo’ essere vinta solo se si afferma un nuovo modello di sviluppo piu’ attento alla gestione delle risorse naturali nel fare impresa e con stili di vita piu’ attenti all’ambiente nei consumi, a partire dalla tavola. Il riscaldamento del pianeta ha effetti anche sui prodotti tipici perche’ provoca il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Si e’ verificato nel tempo – continua la Coldiretti – anche un significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture come l’olivo che e’ arrivato alle Alpi. Negli ultimi dieci anni – spiega la Coldiretti – la coltivazione dell’ulivo sui costoni piu’ soleggiati della montagna valtellinese e’ passata da zero a circa diecimila piante, su quasi 30 mila metri quadrati di terreno. Nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la meta’ della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserva e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee.
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