Potenti di ogni colore e nazione, diagnosticano terapie politiche e sociali per ristabilire diritti e democrazie in paesi dilaniati dalla ferocia della povertà, dall’ingiustizia oramai globalizzata, che non sottrae alcuna religione dal taglione del mors tua-vita mea. Guerre e stragi, uomini in armi e bambini depredati di ogni sorriso, terre divise e derubate dei propri confini, inni alla pace gridati a tempo di musica, richieste di giustizia licenziate con qualche parola travestita di compassione. Africa in fiamme e Medioriente tra le macerie, terroristi e carnefici miserabili all’opera in Europa, persone innocenti in marcia per la pace, altrettante in guerra per difenderla, altre circondate e maltrattate dagli aguzzini di nero travestiti per distribuire “equamente” il residuo di giustizia.
Specialisti in relazioni spediti qui e là, equazioni e sottrazioni della comunicazione a supporto delle percentuali e delle statistiche, tutte ben contenute nella negazione del dato esponenziale, che accerta l’odio e la vendetta covare sotto il primo strato di pelle, che non si vede, ma si muove sotto carico, pronto a esplodere a ogni nuovo giorno. Scacchieri e pedine si muovono lentamente intorno a paesi dimenticati, città violentate, popolazioni abbandonate in confini inventati e frontiere frantumate. L’immaginario collettivo non riesce a delinearne i contorni, la proporzione di quelle macchie, sagome indistinte, ma in continuo spostamento, il tremore della terra, al suo avanzare e ritrarsi. Improvvisi i colpi sordi dei cannoni di ultima generazione, botti ripetuti, alle spalle, tra le scapole, in mezzo agli occhi. Le nazioni, i paesi, le città, ridotte a periferie di oggi, sono un ricordo sbiadito delle democrazie di domani, schiacciate dalle tante parole che sono state dette, dalle recinzioni che sono sopravvenute, costruite a misura per non ascoltare. Ma a ben pensarci, delle libertà di ieri, ne rimangono pochi limpidi esemplari, ma ci sono ancora, per non farci cadere all’indietro, nel vuoto della memoria. Pochi riferimenti certi e in bella vista nella prateria dimenticata, a sfidare i fucili, i tanti cuori pavidi, i governi dell’insignificanza sociale, dei poteri esposti controvento, per meglio difendere la propria inadeguatezza. Da questa ulteriore maledetta solitudine del sangue forse è necessario imparare qualcosa di più e davvero, un insegnamento a non dissolvere l’opportunità della riflessione ( ancor prima dell’azione ), quella che parte dal cuore, per sentire davvero il bisogno e la necessità di una libertà che appartenga a tutti, indipendentemente dalla religione e soprattutto dal portafoglio che ognuno professa.
Vincenzo Andraous
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