Come si sa, nel sottosuolo sannita tra il Matese, Campobasso e Benevento si trovano faglie attive sismogenetiche che in passato hanno originato terremoti anche distruttivi. L’area citata è sulla fascia di fratturazione crostale attiva che interessa la parte centrale della catena appenninica. La sismicità dell’area è la conseguenza degli spostamenti relativi delle masse continentali che in passato hanno originato la catena appenninica; spostamenti che sono ancora attivi.
Pertanto lungo le faglie sismogenetiche del sottosuolo sannita si accumula continuamente “energia tettonica”.
L’ultimo evento distruttivo tra il Matese e Campobasso si è verificato nel 1805: sono circa 211 anni che nel sottosuolo si sta accumulando “energia tettonica”.
Il terremoto del 16 gennaio 2016 con magnitudo poco superiore a 4°, ed altri eventi sismici che nei giorni passati e anche ieri si sono verificati, sono la conseguenza della tettonica attiva. Come si sa non si può prevedere quanta energia tettonica si sia già accumulata nel sottosuolo e quanta ne manca ancora per innescare un altro terremoto simile a quello del 1805.
E’ la stessa situazione della Val d’Agri, ubicata su faglie sismogenetiche che hanno originato il disastroso terremoto del 1857 (circa 10.000 vittime e magnitudo 7,0) dove però le amministrazioni pubbliche consentono “irresponsabilmente” che nel sottosuolo, interessato da faglie attive le quali sono già sollecitate dai ripetuti riempimenti e svuotamenti del bacino artificiale del Pertusillo, si effettuino reiniezioni ad alta pressione di fluidi di scarto della lavorazione degli idrocarburi.
L’invaso di Campolattaro si trova sul prolungamento delle faglie attive che hanno causato il terremoto del 1805 e in questo quadro va attentamente valutato l’uso delle acque del bacino che fra poco avrà concluso le verifiche di collaudo.
Franco Ortolani
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