“Ora avete l’occasione di vedere con i vostri occhi cose che non potevate nemmeno immaginare. Io le ho vissute”. Sono le parole di Sami Modiano, sopravvissuto ai campi di Auschwitz e Birkenau durante il Viaggio della Memoria 2016 organizzato dal Miur e dall’Ucei.
Modiano si è rivolto ai docenti e ai 130 ragazzi delle scuole di tutta Italia, direttamente dalla ‘rampa della morte’ di Birkenau. Lì – dopo settimane di viaggio in condizioni ai limiti della sopravvivenza – arrivavano i vagoni con migliaia di deportati. E sempre lì, all’ingresso del campo di sterminio, venivano selezionati e smistati: chi doveva morire, a sinistra, verso le camere a gas.
I pochi che potevano continuare a vivere, a destra. La maggior parte di questi ultimi non sopravviverà comunque al freddo, alle condizioni disumane, alla fame (“una fetta di pane al giorno e un litro di acqua sporca che i tedeschi chiamavano ‘minestra’”) e alla ferocia dei nazisti. Sami è uno dei pochi che ce l’ha fatta.
“Quando il 26 gennaio del 45, dopo sei mesi di prigionia, i russi sono venuti a liberarmi, pesavo 23 chili. Ero uno scheletro. Avete presente gli scheletri che vedete nei documentari?”, dice rivolgendosi agli studenti, “uno di quelli era Sami Modiano”.
Sami al campo di Birkenau ha perso il padre, Giacobbe, e la sorella, Lucia. “Mia sorella era più grande di me e mi faceva anche da madre. Mio padre era tutto per me. Ha cercato di proteggerci, per quanto gli è stato possibile, da questo orrore. Lo ha fatto durante il viaggio dalla Grecia (Modiano era residente all’isola di Rodi) e durante i primi tempi di prigionia. Ma non ce l’ha fatta. Lo hanno ucciso.Ma lui era già morto prima di arrivare qui. Come tutti noi“.
Le temperature sono rigide, i gradi sono ampiamente sotto lo zero, la neve ha imbiancato un paesaggio già spettrale e desolante e gli studenti ascoltano le parole dei sopravvissuti tra le lacrime e la ‘sofferenza’ per un freddo a cui non sono abituati. “Questo clima – spiega ancora Modiano – si affrontava con indosso solo un pigiama a righe e un paio di zoccoli di legno. Con quegli stessi abiti lavoravamo dalle sei del mattino alle 18 della sera. La notte non c’erano coperte, dormivamo in otto per cuccetta e ci riscaldavamo l’uno con l’altro. Spesso capitava che il compagno accanto a me non si rivegliava più. Lo trovavo al mattino che giaceva morto. Era diventata quasi la normalità“.
Le sorelle Andra e Tatiana Bucci erano più piccole di Sami Modiano, ma i loro ricordi sono nitidi allo stesso modo. Piange Tatiana quando ricorda il momento in cui fu separata dai genitori, padre cattolico e madre ebrea, “ma per i nazisti non contava eravamo comunque tutti ebrei”. Piange e non si vergogna di nascondere le lacrime. “Ma nei miei mesi nel campo non ho pianto mai. Non volevo dargliela vinta. E poi dovevo occuparmi di Andra, istintivamente sapevo che dovevo farlo”.
Queste sono le testimonianze dei sopravvissuti ai lager nazisti che ogni anno, nonostante l’età avanzata e nonostante il ricordo che evoca questo orrore, si fanno carico di tramandare la loro esperienza alle nuove generazioni. Migliaia di studenti ogni anno possono vivere in prima persona ciò che altri hanno vissuto sulla propria pelle. Un patrimonio da salvaguardare e da non sottovalutare: “quando queste persone non ci saranno più- ha detto il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini durante la visita ad Auschwitz e Birkenau a cui ha preso parte insieme alla presidente della Camera, Laura Boldrini e ai rappresentanti dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane tra cui il presidente, Renzo Gattegna- sarà compito nostro tenere viva la memoria. Dovremo essere vigili e attenti che non si risveglino mai queste forme di violenza e odio“. (Dire)
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